Eccesso di domanda, carenza di offerta. Risparmi in eccesso che dovranno essere reinvestiti. Rialzo galoppante dell’inflazione, che potrebbe portare all’aumento dei salari. Mercato del lavoro che deve ancora riassorbire pienamente lo shock della pandemia. Sono queste alcune tra le variabili macroeconomiche che dovrebbero caratterizzare lo stato di salute dei mercati finanziari per i prossimi 12 mesi. Quale sarà la diagnosi a fine anno? Ecco 6 sintomi da monitorare, secondo Bruno Cavalier, Chief economist e Laurent Denize, Global chief investment officer di ODDO BHF Asset Management.
Il 2022 dei mercati, la diagnosi? 6 sintomi da monitorare
1. L’eccesso di domanda globale
Dopo lo shock della pandemia sui mercati finanziari del marzo 2020, le restrizioni alla mobilità dettate dall’emergenza sanitaria, oltre che le variazioni nel reddito disponibile e il risparmio precauzionale delle famiglie, hanno contribuito al congelamento della domanda di beni e servizi a livello globale. Per alcune categorie di spesa la domanda è rimasta repressa per buona parte dell’anno, mentre i beni primari hanno registrato una impennata nella richiesta a livello globale, spinti anche dai sussidi erogati ai cittadini in difficoltà. Nel 2021, il divario tra la domanda di beni e quella di servizi è aumentato ulteriormente, seppur entrambi in ripresa. Ciò spiega perché sono stati proprio i beni primari a caratterizzare il galoppare dell’inflazione, a dicembre 2021 al 7% negli Usa.
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters
2. La carenza di offerta globale
In seguito alla crisi del 2008, all’indice del commercio globale di merci servirono 23 mesi per tornare a regime, contro i 7 mesi necessari in seguito alla pandemia. Tale rapido recupero è dovuto alla mancata distruzione delle merci fisiche (diversamente da quanto accadrebbe per un disastro naturale), all’assenza di razionamenti del credito (a differenza della grande recessione). La ripresa è avvenuta nonostante alcuni stress nella catena di approvvigionamento, equivalenti agli stress di liquidità nei mercati finanziari. Nei prossimi mesi, tuttavia, tali tensioni nel comparto logistico “dovrebbero normalizzarsi o ritirarsi, grazie all’assestarsi del ritmo della domanda di beni, alla diminuzione nell’intensità delle restrizioni alla mobilità e alla lenta espansione della capacità produttiva” spiega Denize. Se nel 2021 la ripresa a V della domanda ha portato a uno scontro con una ripresa a U dell’offerta, “nel 2022 quest’ultima si adatterà alla prima e l’inflazione riprenderà a scendere. Ma fino ad allora, spetta alle banche centrali avviare una normalizzazione della politica monetaria che non metta a rischio l’attuale ripresa economica”.
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters
3. L’inflazione, transitoria o strutturale
“L’aumento dei prezzi sarà il tema caldo del prossimo anno” continua Denize. “I dati in crescita sull’inflazione nascono dalla combinazione di vari fattori: modelli di consumo che cambiano a causa dei lockdown, interruzioni nelle catene globali di approvvigionamento e strutture di oligopolio in diversi mercati”. Ma come si caratterizzerà l’inflazione nel 2022, transitoria o strutturale? Un tema accentua il rischio per la seconda: la transizione energetica. È infatti all’aumento dei prezzi dell’energia, specialmente generata da combustibili fossili, che è in parte imputato il galoppare dell’inflazione. Un rigido inverno e alcune tensioni geopolitiche hanno infatti portato all’aumento della domanda per gas naturale e carbone che, d’altro canto, hanno subìto ingenti tagli alla produzione per volere delle istituzioni, che puntano sul rinnovabile. La conseguenza? Maggiore domanda, scarsità dell’offerta, prezzi in crescita.
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters
4. La piena occupazione
Il mercato del lavoro sarà tra i principali osservati del prossimo anno, in quanto ritenuto dagli esperti tra gli indicatori più importanti della ripresa economica. “In seguito allo shock della pandemia, le amministrazioni hanno reagito in due maniere differenti” commenta Cavalier. “Da una parte vi era il modello americano, il cui obiettivo è stato proteggere il reddito delle famiglie di fronte all’aumento della disoccupazione. Questo ha avuto delle ripercussioni significative sulla mobilità e disponibilità della forza lavoro, che negli Usa ha visto accelerare i pensionamenti con un’impennata dei tassi di dimissioni, così come il blocco del flusso di lavoratori immigrati. Dall’altra vi era invece il modello europeo, in cui si è cercato di proteggere l’occupazione adeguando l’orario di lavoro effettivo”.
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters
5. I risparmi in eccesso
“A causa della pandemia, il tasso di risparmio del reddito disponibile è aumentato, risultando in un accumulo di risparmio in eccesso equivalente al 12% del Prodotto interno lordo pre-2020 negli Usa e al 6% nell’Eurozona” aggiunge Cavalier. Tuttavia, “alla fine del 2021 il tasso di risparmio è tornato al suo livello pre-crisi negli Usa (7,5%) e si sta riavvicinando ad esso nell’Eurozona”. Cosa accadrà nel 2022? Resterà da valutare quanto i risparmi dei cittadini saranno influenzati dall’effetto reddito (quando la quantità di beni domandati varia per effetto della variazione del potere di acquisto) e dall’effetto ricchezza (quando a una performance di portafoglio più elevata corrisponde una maggiore spesa dei consumatori nei confronti di beni non essenziali, dato che psicologicamente essi tendono a considerarsi più abbienti; una tendenza che si verifica con più probabilità durante fasi rialziste dei mercati).
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters
6. L’aumento dei salari
Sesto e ultimo sintomo, l’aumento dei salari conseguente all’aumento dei prezzi. “Negli Usa, il potere contrattuale è aumentato per i lavoratori non qualificati, settori in cui la carenza di manodopera è maggiore. Nonostante l’accelerazione sia forte, non è eccessiva rispetto ai guadagni di produttività” conclude Cavalier. La tendenza non sembra tuttavia avere ancora raggiunto l’Eurozona, dove vi è poca o nulla differenza tra i salari negoziati e quelli distribuiti ai lavoratori dalle società. “Una eccezione è rappresentata dalla Germania, dove si registrano adeguamenti dei salari minimi di circa il +25%”.
Fonti: ODDO BHF AM, ODDO BHF Securities, Thomson Reuters