“Garantire un consiglio ben diversificato significa riconoscere il valore della diversity, che va oltre il genere e include l’etnia, la nazionalità, la disabilità, il background socioeconomico, l’orientamento sessuale e molto altro”. Lo afferma T. Rowe Price, secondo cui avere un consiglio poco diversificato in azienda rappresenta non solo un problema per l’inclusione, ma anche un rischio dal punto di vista della competitività all’interno del mercato. Un aspetto quindi da tenere in forte considerazione per valutare la sopravvivenza futura dell’impresa.
Sempre più donne nei board? Cosa dicono i dati
Nonostante si vedano sempre più donne occupare posizioni ai vertici societari, i dati dimostrano come ci sia ancora molto lavoro da fare. Secondo le analisi della Cranfield School of Management, nelle società quotate all’interno dell’indice FTSE 100, ben il 45,5% dei non executive directors (NED) è di sesso femminile, ma la percentuale crolla al 16,8% se si guarda esclusivamente alle poltrone dei direttori esecutivi.
Negli ultimi anni diversi governi hanno implementato delle politiche che spingessero in questa direzione: nel 2021, ad esempio, la Commissione americana sulla sicurezza e sullo scambio (SEC), la corrispondente della nostra Consob, ha imposto alle aziende quotate sul Nasdaq di pubblicare i dati relativi al livello di diversity del loro consiglio direttivo. Le imprese sono state così costrette a dare informazioni precise sul livello di inclusione e anche a giustificarne l’assenza. Da questa parte dell’Atlantico, l’Unione europea ha concordato che entro il 2026 almeno il 40% dei NED, oppure il 33% tra NED ed executive directors, di tutte le società quotate dovranno essere del sesso meno rappresentato.
Qual è oggi la situazione nel mondo? “Nell’area Asia-Pacifico, in particolare in Giappone, stato su cui abbiamo concentrato i nostri studi, la percentuale di direttrici è molto bassa, rispetto agli altri paesi sviluppati”, illustra Jocelyn Brown, Head of governance di T.Rowe Price. Come si vede dal grafico, nel 2021 solo il 9,3% dei membri del consiglio erano donne e nonostante la percentuale si sia alzata al 12,7% nel secondo quadrimestre del 2022, i dati rimangono ancora molto bassi, specialmente se confrontati con le nazioni più virtuose, come l’Australia.
Cosa ci aspetta? Una diversità che va oltre il genere
L’unico modo per fare dei reali passi avanti è quello di legiferare, secondo T.Rowe Price. “In Europa e nel Regno Unito, si vede un prospetto ben strutturato, il livello di aspettative è più alto e, proprio per questo, il focus è sempre di più su un livello di diversity che vada oltre il genere”, spiega Brown.
Non basta più che nel consiglio ci sia almeno il 40% di donne e che almeno una di loro si trovi in una posizione senior, come definito dall’Autorità di condotta finanziaria inglese (FCA), ma occorre anche che almeno un membro del board rappresenti una minoranza etnica. Negli Stati Uniti, in meno di un anno, tra gennaio e settembre 2021 il livello di diversity per quanto riguarda l’etnia è più che raddoppiata, secondo un’analisi dell’Harvard Law School Forum in Corporate Governance.
Per abbracciare un concetto di diversità ancora più ampio, bisognerebbe quindi includere anche membri della comunità LGBTQ+ e i lavoratori con varie disabilità. “Tuttavia è importante sottolineare che più del 90% delle disabilità non sono immediatamente visibili e solo una piccola percentuale di questi individui le dichiarerà pubblicamente”, sottolinea Brown. Lo stesso vale per l’orientamento e l’identità di genere, rendendo quindi complicato misurare in modo chiaro la diversity in questi ambiti.
Compito degli investitori è comunque considerare anche questi fattori nelle loro scelte, premiando le aziende che si impegnano quotidianamente per aumentare il livello di inclusività. Non solo per un discorso di sostenibilità e sensibilità sociale, ma anche perché il fattore inclusione inciderà sempre di più sulle capacità di un’azienda di competere sul mercato.