Il conflitto Russia-Ucraina resta al centro dell’attualità. L’attenzione si posa sull’evolversi delle sanzioni economiche, sulle conseguenze diplomatiche e sulle dinamiche di volatilità che sul finire di febbraio hanno affossato i principali indici globali, in primis europei.
Secondo Andrea Delitala e Marco Piersimoni, Head of investment advisory e Senior portfolio manager di Pictet Asset Management, l’impatto della crisi sull’area euro si propaga attraverso tre canali principali.
Il primo canale è quello delle relazioni commerciali che tuttavia, al momento, non sembra essere preponderante. “Ad oggi, la Russia rappresenta meno del 3% delle esportazioni complessive dei Paesi della regione a moneta unica, percentuale che è andata calando rapidamente negli ultimi anni (nel 2014, prima della questione della Crimea, era quasi il doppio)”. Le conseguenze per l’export europeo, a conti fatti, dovrebbero essere sopportabili.
Il secondo canale di trasmissione è relativo alle relazioni finanziarie. Anche in questo caso, la preoccupazione non sembra eccessiva: “I crediti verso la Russia delle banche della zona euro pesano per l’1% circa del Pil della regione e costituiscono approssimativamente il 2% dell’ammontare totale dei crediti di questi istituti”. Tra i rischi, in tal senso, da monitorare l’eventualità di un crisi di liquidità isolata al settore bancario russo e alle sue filiali.
Il terzo canale riguarda infine l’impatto sull’economia causato dalle materie prime, tra tutti quello forse più rilevante. “Detto che un rincaro del petrolio nell’ordine del 40% porterebbe a una riduzione della crescita dell’area euro di mezzo punto percentuale, occorre considerare che la Russia è un vero e proprio gigante anche nella produzione di materie prime non energetiche. Da lì proviene il 44% del palladio estratto a livello globale, un metallo raro cruciale per il settore automobilistico”.
Una nota positiva sul fronte delle materie prime riguarda il fatto che le importazioni europee di gas russo sono quasi dimezzate rispetto al 2021 (ora pari al circa 26% dell’approvvigionamento totale): “Delle quattro rotte di importazione attive, solo Nordstream 1 lavora di fatto a pieno regime (in realtà anche la rotta turca, ma con dimensioni molto inferiori)”. Nell’immediato, sarà però complicato per l’industria energetica europea sostituire l’approvvigionamento dalla Russia con quello proveniente da altri Paesi, come Stati Uniti o Qatar.
Proprio la mancanza di diversificazione delle fonti di approvvigionamento potrebbe essere uno dei temi cruciali dei prossimi anni.
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