Un’inflazione generalmente più contenuta e quindi rendimenti reali più elevati rendono i mercati emergenti interessanti. Ne è convinta Capital Group, che rileva alcuni aspetti di valore in questi paesi nel confronto con le economie sviluppate nel contesto attuale.
“Riteniamo che la maggior parte dei paesi dei mercati emergenti sia in una posizione relativamente forte per affrontare le prossime sfide, alla luce di fondamentali per lo più solidi”, sostiene Kirstie Spence, gestore di portafoglio a reddito fisso specializzato nel debito dei mercati emergenti di Capital Group.
Il primo aspetto a favore di questi mercati riguarda proprio l’inflazione, principale cruccio degli investitori in questo momento. Se fino a qualche mese fa si pensava che l’impennata dei prezzi fosse transitoria, ora l’inflazione sembra destinata a rimanere più elevata per un periodo più lungo. Lo ha dimostrato ancora una volta l’ultimo dato sui prezzi al consumo negli Stati Uniti che ha registrato a maggio un +8,6%, il massimo livello da dicembre 1981, sorprendendo al rialzo e alimentando la pressione sulla Federal Reserve (la banca centrale americana) in termini di intervento, ovvero di rialzi dei tassi attesi.
Guardando ai mercati emergenti, invece, si rileva come il periodo recente sia stato caratterizzato da un’inflazione relativamente e generalmente più contenuta rispetto a quella dei paesi sviluppati, come mostra il grafico seguente.
Andamento inflazione mercati emergenti versus Stati Uniti. Fonte: Capital Group
Perché questa differenza? Secondo Capital Group, le ragioni sono due. Innanzitutto, perché i paesi dei mercati emergenti si trovano ad affrontare una ripresa economica più debole (sia per una minore spesa pubblica sia per tassi di vaccinazione Covid inferiori) e quindi più gestibile sul fronte della domanda e di conseguenza sui prezzi. Nella teoria economica, infatti, una ripresa debole, così come una produzione più contenuta rispetto ad altre aree, è solitamente associata a tassi di inflazione più bassi.
In secondo luogo, perché le banche centrali dei mercati emergenti sono state più proattive nell’aumentare i tassi di interesse. Se Federal Reserve, Bank of England e Bce hanno trascorso l’ultimo decennio cercando di portare l’inflazione al livello target, le banche centrali dei mercati emergenti hanno per lo più proseguito il loro impegno a lungo termine per ridurre l’inflazione, agendo in anticipo, malgrado la debolezza delle condizioni interne.
Un atteggiamento diverso dettato da una serie di ragioni, tra cui un maggior impegno per dimostrare la loro credibilità ed evitare che le aspettative di inflazione si radichino e filtrino in altri settori. Ma non solo. I tassi d’interesse più elevati aiutano a proteggere i paesi dei mercati emergenti dai deflussi di capitale a fronte dell’aumento dei tassi negli Stati Uniti. I paesi dei mercati emergenti vanno infatti spesso incontro a deflussi di capitale durante i periodi di aumento del costo del denaro da parte della Federal Reserve, perché un aumento dei tassi statunitensi generalmente implica una riduzione del differenziale dei tassi d’interesse con i paesi dei mercati emergenti, riducendo la compensazione che gli investitori ricevono per il maggiore rischio paese. Pertanto, le banche centrali dei mercati emergenti devono anticipare l’aumento dei tassi di interesse in attesa dell’azione della Federal Reserve.
In conclusione, “il debito in valuta locale dei mercati emergenti appare interessante con elevati differenziali di rendimento reale”, affermano da Capital Group.
E il tasso di cambio? Considerando il punto di partenza dei tassi di cambi dei mercati emergenti e i probabili risultati di crescita discreti per la maggior parte di questi paesi, i movimenti sulle valute dovrebbero contribuire positivamente ai rendimenti totali di quest’anno.