L’88% delle operazioni d’investimento che riguardano i boomer viene effettuato face to face, una percentuale che scende al 66% nel caso dei millennial
Ronchetti: “La soluzione è costruire dei team composti da banker senior e banker junior, che si affianchino a vicenda nel dialogo col cliente”
Circa il 75% della ricchezza posseduta dai clienti private, nello specifico dai boomer (nati tra il 1946 e il 1964), scivolerà nei prossimi 10 anni nelle mani dei millennial. Una generazione, quella dei nati tra il 1981 e il 1996, che intrattiene oggi un rapporto con la banca “molto più disincantato”, secondo Nicola Ronchetti, founder & ceo di Finer – Finance Explorer. E che cerca un’interazione multicanale, servizi personalizzati e una consulenza sempre più rapida. We Wealth ha coinvolto due tra le reti con la maggiore quota di clienti millennial rispetto al totale, Banca Widiba (38,6%) e Banca Generali (12,8%), per scoprire quali sono le strategie messe in campo per portare a bordo i più giovani. E quali gli strumenti per dialogare con le nuove generazioni.
“La generazione dei boomer ha sempre vissuto il rapporto con la banca come qualcosa di molto formale, quasi in una posizione di sudditanza psicologica”, racconta Ronchetti. “Oggi, invece, la relazione non è più in giacca e cravatta. Mentre l’88% delle operazioni d’investimento che riguardano i boomer vengono effettuate face to face, questa percentuale scende al 66% nel caso dei millennial. Una differenza di 22 punti percentuali che viene scaricata sugli strumenti digitali”. Ciò significa, continua Ronchetti, che per conquistare i figli degli attuali clienti bisogna possedere “piattaforme super efficienti”. E su queste fondamenta bisognerà poi costruire una suite di servizi che punti sulla web collaboration. E sulle app, utilizzate dal 52% dei boomer e dal 79% dei millennial con patrimonio superiore al milione di euro.
“Qui si arriva al secondo punto: le reti sono attrezzate? Se è vero che sul fronte delle piattaforme digitali si evidenzia una certa equivalenza tra gli operatori, la vera differenza la fanno i consulenti. Tanto più le reti hanno professionisti con un’età media tra i 60 e i 65 anni, tanto più relazionarsi con una clientela giovane diventa complesso”, osserva Ronchetti. Puntare su una rete di consulenti più giovani non rappresenta però necessariamente la soluzione, aggiunge. “La soluzione è costruire team composti da banker senior e banker junior, che si affianchino a vicenda nella relazione. Questo perché il senior possiede una maggiore esperienza e una maggiore conoscenza dei mercati, ma il consulente millennial può sostenerlo nel dialogo col cliente. Inoltre, i clienti più giovani spesso si informano sui social network sulla reputazione dei banker. Canali che i consulenti-boomer non utilizzano”, conclude Ronchetti.
Nel caso di Banca Widiba, come anticipato in apertura, il numero di millennial sulla customer base si attesta a fine luglio al 38,6% del totale. I consulenti millennial, invece, sono 59 (l’11% della rete). “Quando abbiamo fondato Widiba nel 2014 abbiamo chiesto alla nostra community, costituita principalmente da giovani, quali fossero le loro esigenze. Per costruire una banca che si allineasse ai loro bisogni”, ricorda Luigi Provenza, chief commercial officer investiment & wealth management dell’istituto. “Di conseguenza, abbiamo disegnato un’offerta principalmente mobile first, che utilizzasse come interfaccia grafica quella del cellulare, puntando su un elevato livello di personalizzazione dei servizi. I clienti possono infatti personalizzare il numero del conto, trovare sempre qualcuno in grado di rispondere alle loro domande e selezionare il layout della carta di credito. Senza dimenticare che gli under 30 non hanno alcun costo da sostenere”.
Strizzare l’occhio a una popolazione più giovane, continua Provenza, rappresenta una scelta strategica. Dello stesso avviso Marco Bernardi, vice direttore generale di Banca Generali, che spiega come negli ultimi anni sempre più clienti nati dopo il 1980 si siano inoltre avvicinati al private banking. “I motivi non sono solo legati a logiche di passaggio generazionale, ma dipendono dalla volontà di costruire patrimoni sempre più consistenti e complessi”, spiega. Per cui sono necessari banker che, nelle parole di Provenza, siano in grado di offrire una “consulenza a tutto tondo”, andando parallelamente a toccare i temi più sensibili ai millennial, come l’Esg, che interessa il 75% degli stessi, stando a una ricerca di Banca Widiba. “Si rileva un po’ di timore per il futuro, motivo per cui bisogna puntare sulla formazione, aiutando i millennial a comprendere come mettere da parte i propri risparmi, non per parcheggiarli, ma per costruire il patrimonio con un’adeguata pianificazione finanziaria”, aggiunge Provenza.
Questa generazione di nativi digitali è anche molto più attenta ai megatrend del futuro. Specie in ottica digitale. “Questo differente approccio al risparmio si riflette – aggiunge Bernardi – anche nella relazione consulente-cliente, che è diversa da quella che generalmente afferisce a generazioni più mature. Infatti, non solo notiamo che c’è una maggiore predisposizione verso le piattaforme e gli strumenti digitali, ma anche che questi apprezzano maggiormente tutti gli strumenti in grado di smaltire le fasi burocratiche, preferendo magari concentrare il proprio tempo per incontri fisici in cui si guarda più in profondità alle strategie”, racconta Bernardi. Il dialogo con questa generazione, conclude, segue anche canali più innovativi come i social media e il web. “Anche per questo motivo come Banca Generali abbiamo scelto di affiancarci a un guru digitale come Marco Montemagno, per affrontare i cambiamenti del risparmio in un percorso di educazione finanziaria 3.0 interamente pensato per dialogare con le nuove generazioni sui social media”.
Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.
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