Quali effetti derivanti dalla pandemia dureranno nel lungo termine e quali invece si riassorbiranno più velocemente? È questa la domanda chiave a cui devono rispondere gli investitori per indirizzare correttamente le loro scelte spiega Alan Wilson, gestore di portafoglio azionario di Capital Group.
Qual è quindi lo scenario più probabile con cui gli investitori dovranno confrontarsi? Elevata inflazione, crisi del lavoro, contemporaneo e inusuale calo di azioni e obbligazioni sono le principali aree indagate dagli analisti di Capital Group per tratteggiare le possibili evoluzioni dello scenario di riferimento.
Quando tornerà al 2% l’inflazione?
Un team di esperti di Capital Group ha analizzato i livelli dei prezzi al consumo in 22 paesi in relazione alla crescita della massa monetaria o di M2 (insieme di valuta, monete, assegni e depositi di risparmio, nonché quote di fondi del mercato monetario, detta anche liquidità secondaria). In poche parole, la rapida crescita della massa monetaria, favorita da misure di stimolo governative dell’era pandemica, da prestiti bancari massicci e da tassi d’interesse bassi ha favorito l’impennata dell’inflazione. Così nei paesi in cui ci sono stati più stimoli all’economia l’inflazione ha raggiunto livelli più elevati.
“L’inflazione è causata da una quantità eccessiva di denaro che rincorre un numero insufficiente di beni, e questo è esattamente ciò a cui stiamo assistendo oggi” ha spiegato Julian Abdey, gestore di portafoglio azionario di Capital Group ricordando la lezione del premio Nobel Milton Friedman: L’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario.
Per alcuni analisti il picco dell’inflazione è prossimo (a giugno, l’inflazione primaria degli Stati Uniti ha raggiunto il 9,1% su base annua, il livello più alto dal 1981) e la Fed e le altre banche centrali stanno inasprendo le politiche monetarie. Quanto è lontano l’obiettivo di un’inflazione al 2%?
“Dipende molto da come la Fed reagirà in futuro”, sostiene Abdey. “Vedo diversi scenari, tra cui uno più inflazionistico, ma anche la possibilità di un ritorno alla deflazione. Se la Fed mantenesse il suo atteggiamento aggressivo e inasprisse troppo le misure, potrebbe verificarsi una brutta recessione. D’altro canto, se dovesse invertire la rotta, le elevate aspettative inflazionistiche potrebbero radicarsi nell’economia reale”.
Intanto la Fed a inizio novembre ha proseguito la politica di inasprimento ritoccando all’insù i tassi di 75 punti base.
Crisi del lavoro e rialzo dei tassi
Tra gli effetti della pandemia vi è anche la carenza di manodopera. Negli USA circa 47 milioni di lavoratori hanno lasciato il loro lavoro per occupazioni meglio retribuite, pensionamenti anticipati o avviamento di piccole attività in proprio. Il mercato del lavoro USA ha però un tasso di disoccupazione vicino al minimo storico del 3,7%. Il motivo è che l’economia statunitense — come molte altre economie sviluppate— non ha tenuto il passo con i trend di crescita precedenti alla pandemia, spiega Jared Franz, economista di Capital Group secondo cui “considerando la crescita media annua della forza lavoro pre-COVID, dovremmo avere quattro o cinque milioni di lavoratori in più rispetto a quelli attuali”.
L’aumento dei salari, però, è una variabile che incide sull’aumento dell’inflazione e quindi, per raffreddare il mercato del lavoro potrebbero esserci rialzi dei tassi superiori alle aspettative. Il che vuol dire che se l’economia statunitense dovesse andare incontro a una recessione per i prossimi due anni questa crisi del lavoro verrebbe superata ma certamente non nel modo più indolore.
Opportunità post pandemia sul mercato: selezionare farà la differenza
Secondo Nick Grace, gestore di portafoglio azionario Capital Group, sul mercato azionario stanno emergendo opportunità post-pandemiche in vari settori, dalla transizione a fonti energetiche più sostenibili ai grandi cambiamenti industriali. I numerosi anni di investimenti insufficienti nelle materie prime potrebbero portare a un nuovo superciclo delle stesse.
Per Grace “molte delle distorsioni dei prezzi a cui abbiamo assistito nel 2020 e nel 2021 stanno volgendo al termine il che non significa che i prezzi non possano scendere ulteriormente. Tuttavia, c’è già stata una grande distruzione dei prezzi e credo che molti degli eccessi siano stati eliminati dal mercato”.
“Molte di queste società non sopravviveranno”, ha sottolineato, “ma alcune usciranno da questa crisi più forti e più redditizie. Il nostro compito è quello di identificarle attraverso una ricerca fondamentale bottom-up e sono fiducioso sulla nostra capacità di farlo”.
Un compito non semplice: secondo i dati Ocse comunicati a settembre 2022, la crescita mondiale dovrebbe ulteriormente rallentare nel 2023 mentre l’inflazione dovrebbe gradualmente attenuarsi.
Diversificazione del portafoglio: perché azioni e obbligazioni sono sotto pressione
Tra le cause principali della pressione a cui sono sottoposte azioni ed obbligazioni nel 2022 (vedi grafico sotto) vi sono, neanche a dirlo, l’inflazione e l’aumento dei tassi. Se la Fed riuscirà a tenere sotto controllo i prezzi al consumo, dovrebbe tornare la correlazione storicamente negativa tra azioni e obbligazioni alla base di un’efficace diversificazione di portafoglio, spiega Pramod Atluri, gestore di portafoglio a reddito fisso di Capital Group.
Per Atluri, inoltre, è probabile che l’inflazione scenda mentre la Fed e le altre banche centrali continuano ad aumentare i tassi d’interesse e a ridurre i loro bilanci.
“A mio avviso, il sostegno monetario e fiscale diminuirà nel corso del prossimo decennio, mentre i politici valuteranno cosa è andato storto”, aggiunge. “Si tratterebbe di un grande cambiamento rispetto a quello che abbiamo sperimentato nell’ultimo decennio, che è stato in gran parte definito da un intervento da parte del governo. Un intervento più limitato potrebbe portare a mercati più volatili di quelli a cui gli investitori sono abituati”.