Per gli investitori è importante seguire la partita europea della moderazione ai prezzi energetici: in mancanza di accordi significativi i Paesi ad alto debito come l’Italia, e i relativi mercati, sarebbero i più colpiti dalla decisione.
Fino al prossimo 13 dicembre, la proposta della Commissione europea sul tetto al prezzo del gas resterà in sospeso: nessun accordo è stato raggiunto dai ministri dell’Energia dei 27 stati membri, divisi in due fazioni arroccate su posizioni difficilmente conciliabili. Nella disputa, la Commissione aveva proposto un tetto assai elevato, a 275 euro a Mwh, un prezzo che il future Ttf di riferimento, in questo 2022 di rincari mai visti prima, ha superato solo fra il 19 e il 29 agosto (al 25 novembre il prezzo è sui 122 euro).
Un tetto molto elevato che non scatterebbe quasi mai non soddisfa Italia, Francia, Portogallo, Spagna e Grecia. Si tratta di Paesi che si approvvigionano di gas in modo assai variabile: la Francia non ne dipende che per una piccola percentuale nella generazione energetica nazionale. Ad accomunare la posizione dei Paesi favorevoli al tetto, piuttosto, è l’elevato debito pubblico e la minore disponibilità di risorse nazionali per finanziare sussidi che possano calmierare i costi per famiglie e imprese. Questa è la principale differenza fra la posizione italiana e quella della Germania, che ha varato un piano anti rincari nazionale da 65 miliardi di euro, e degli altri Paesi europei che si oppongono al tetto sul gas. Gli analisti del think tank Bruegel, Simone Tagliapietra, Georg Zachmann e Jeromin Zettelmeyer, hanno ricostruito le ragioni che stanno alla base del contrasto in seno agli stati membri, che in teoria dovrebbero avere un interesse comune ad abbassare il costo dell’energia.
Chi guadagna e chi perde con il tetto al gas
Il punto di arrivo desiderato, abbassare i costi pur incoraggiando una riduzione della domanda, potrebbe essere raggiunto fissando un limite oltre il quale il gas non contribuisce più alla formazione del prezzo dell’elettricità. Il principale vantaggio, che alletta i Paesi ad elevato debito, è che questa soluzione non comporterebbe un esborso di risorse pubbliche. In questo meccanismo a rimetterci sono soprattutto i produttori “inframarginali”, che non usano il gas per generare energia, i quali con l’abbassamento artificiale dei prezzi dell’elettricità, incassano di meno. Al contrario, le società che acquistano gas sui mercati internazionali ricevono un sussidio pari alla differenza fra il tetto stabilito e il prezzo di mercato pagato. Tale sussidio viene sì pagato dai consumatori tramite l’acquisto di energia, ma questi ultimi pagano comunque meno di prima perché soltanto i produttori che utilizzano il gas ricevono il sussidio (mentre prima venivano alimentati i profitti dei produttori di energia inframarginali).
Secondo gli esperti di Bruegel questo sistema già adottato in Spagna e Portogallo funziona perché questi Paesi esportano poca energia all’estero e hanno un’elevata generazione energetica da fonti rinnovabili,ma non potrebbe essere applicato a livello europeo. Dal momento che l’energia elettrica viene importata ed esportata internamente fra i diversi stati membri, un price cap così congegnato farebbe pagare gli aiuti ai produttori energetici anche di altri Paesi. Ad esempio, spiegano gli osservatori del think tank, i consumatori francesi che importano energia dalla Germania potrebbero beneficiare del tetto al gas e pagare relativamente pochi sussidi, dal momento che in Francia poca energia viene prodotta attraverso il gas. In sintesi, in questo esempio, “i consumatori tedeschi e olandesi pagherebbero per ridurre le bollette elettriche dei consumatori francesi”.
Al contrario, i Paesi del Nord Europa trovano più conveniente sostenere con risorse proprie famiglie e imprese, dato che hanno debiti pubblici più contenuti e maggiori disponibilità “di cassa”. Questo pone gli Stati (e le imprese) europee su piani diversi: l’Italia, ad esempio, avrebbe molte meno possibilità di sostenere le sue imprese colpite dal caro-energia, rispetto alla Germania. Una forma di livellamento del terreno di gioco, e quindi di solidarietà, sarebbe auspicabile secondo Bruegel. L’idea migliore, però, non sarebbe quella del tetto al prezzo del gas, non solo perché alcuni Paesi lo pagano molto più di altri, ma anche perché potrebbe scoraggiare la ricostituzione delle scorte in vista dell’inverno 2023-24, in quanto potrebbe danneggiare i potenziali esportatori di gas non russi di cui l’Europa avrà sempre più bisogno.
Le soluzioni auspicate dagli analisti di Bruegel assumono la forma di un fondo comune Ue “per proteggere i consumatori dai prezzi elevati del gas, incentivando al contempo il risparmio energetico e accelerando la diffusione di soluzioni pulite”. In alternativa “l’Ue dovrebbe mettere in comune la sua domanda di gas in un programma di acquisto congiunto per avere più potere contrattuale rispetto alle forniture esterne”.
In quale direzione stanno andando i 27
Per il momento i 27 sembrano aver fatto passi avanti su quest’ultima proposta, mentre non c’è parola di un fondo comune anti-rincari. Stando al comunicato diffuso il 24 novembre, il Consiglio ha concordato i sommi capi di una riforma che consentirebbe “agli Stati membri e le società energetiche di acquistare congiuntamente il gas sui mercati globali” per avere “una maggiore influenza quando si tratta di acquistare gas sui mercati globali e” per assicurare “che gli Stati membri non facciano offerte più alte gli uni degli altri”.
Di sicuro, la mancanza di accordi europei in grado di rendere meno onerosa l’energia per i Paesi più indebitati, come l’Italia, renderà relativamente più sicure le economie degli stati più solidi come la Germania. La partita sul gas in sede europea, a seconda dell’esito, potrebbe favorire o mettere in difficoltà il governo italiano, con possibili ricadute anche sui conti e i mercati.
Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.
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