Quanto costa davvero la consulenza finanziaria? La risposta non è banale, perché solo una piccola minoranza degli italiani decide di pagare direttamente il consulente finanziario, come fa con il commercialista o il medico. Questo non significa che il servizio che, tipicamente, si riceve in banca o presso un’agenzia assicurativa sia esattamente gratuito.
Per questo, fra gli obblighi di trasparenza previsti dalla direttiva Mifid II esiste anche quello di rendere noti eventuali incentivi che il consulente percepisce dalle società di gestione, i cui fondi vengono proposti ai risparmiatori. Non ci sarebbe nulla di particolarmente interessante in queste informazioni, se non fosse che i prodotti finanziari che sono contraddistinti da questo schema di retrocessioni, nella media europea, sono più costosi “di circa il 35%” rispetto a quelli privi di incentivi. In poche parole, il cliente paga sotto forma di commissioni e riducendo così i suoi ritorni a lungo termine. Questi dati sono contenuti in un rapporto che la Commissione europea ha fatto realizzare in vista di una revisione normativa per gli investimenti dei piccoli risparmiatori, “Disclosure, inducements, and suitability rules for retail investors study”. Nel momento in cui scriviamo una possibile abolizione delle retrocessioni a livello comunitario è oggetto di discussione parlamentare. Anche se tali incentivi sono già illegali in Olanda, la loro larga diffusione a livello europeo ha presto affievolito le chance di un divieto che, indubbiamente, colpirebbe molti attori finanziari di primo piano.
Le conclusioni del rapporto della Commissione europea, al termine di un’ampia analisi sul campo e operazioni di acquisto in condizioni di anonimato (mystery shopping) indicano che “l’applicazione di incentivi si riflette in costi più elevati per gli investitori al dettaglio: quasi tutto il costo del pagamento degli incentivi sembra essere trasferito agli investitori al dettaglio, visto che i prodotti per i quali vengono pagati gli incentivi sono in media più costosi del 35% circa rispetto ai prodotti di investimento per i quali non vengono pagati incentivi”. Secondo l’Efama, si legge nello stesso studio, i gestori di fondi in Europa trattengono in media il 41% del totale delle commissioni ricorrenti, mentre ai distributori/consulenti va il 38% attraverso le retrocessioni.
L’aspetto più controverso dell’attuale normativa è che, pur obbligando il consulente a suggerire fondi adeguati al profilo di rischio dichiarato dal risparmiatore, non esiste un obbligo a fornire l’opzione dal miglior rapporto “qualità/prezzo”. Tale ricerca è affidata all’investitore finale che, se tutti gli step vengono svolti correttamente, viene anche informato della presenza di accordi di retrocessione. Lo studio ha evidenziato come questo genere di trasparenza sull’esistenza degli incentivi non modifichi l’orientamento prevalente a seguire la raccomandazione fornita dal consulente. La trasparenza della Mifid II assume che, essendo informati sugli incentivi, “i consumatori saranno consapevoli dei vantaggi che il consulente può trarre dalla vendita di un determinato prodotto, contribuendo così a una scelta più consapevole”, si legge nello studio, “tuttavia, ciò è parzialmente discutibile in quanto la maggior parte dei consumatori non comprende il concetto degli incentivi“. Secondo i sostenitori dell’abolizione delle retrocessioni, questo sistema genera costi eccessivi sui risparmiatori, poco inclini a cercare per conto proprio le migliori opportunità, dopo un confronto con uno o più consulenti.
Cosa succede dove le retrocessioni non esistono
Nel Regno Unito e in Olanda, dove le retrocessioni sono state abolite si sono verificati una serie di fenomeni, ha ricostruito il rapporto della Commissione europea. “I costi dei prodotti in questi mercati sono diminuiti, offrendo così un miglior rapporto qualità-prezzo ai clienti”, ma allo stesso tempo, si è ridotto l’utilizzo della consulenza, in termini più generali, con un maggiore ricorso a “prodotti di sola esecuzione”. Ciononostante, “non si registra una tendenza negativa in termini di livelli di investitori retail”: si continua a investire tanto quanto prima, dunque, ma in modo diverso.
In Italia si è calcolato come il 38% degli investitori abbia deciso di investire in seguito alla raccomandazione di un consulente/broker (la massima percentuale in Europa) contro il 12% dell’Olanda (la più bassa). Nemmeno in Olanda la consulenza finanziaria indipendente, pagata a parcella e per la quale già ora è vietata la remunerazione attraverso retrocessioni, ha una rilevanza “di massa”: secondo la NL trade association la percentuale diventa rilevante, rappresentando il 45-65% del totale della consulenza offerta, solo per i prodotti di investimento assicurativi e “altri prodotti complessi”.
Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.
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