L’inflazione non è così pericolosa come potrebbe sembrare. A dirlo sono i portfolio manager di Capital Group. Oggi, per la prima volta dopo 30 anni, la minaccia dell’inflazione elevata torna a preoccupare gli investitori e i loro portafogli, ma fa meno paura di quella del secolo scorso.
Previsioni e aspettative sull’inflazione
Le previsioni sono ottimiste: “l’inflazione complessiva misurata dall’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti dovrebbe diminuire gradualmente nei prossimi mesi, fino a rientrare in un intervallo compreso tra il 2,50% e il 2,75% entro la fine del 2022” affermano gli esperti di Capital Group a seguito del picco dell’Indice dei prezzi al consumo (Ipc) pari al 5,4% annuo raggiunto a settembre 2021 (livello che non veniva toccato dagli inizi degli anni Novanta). L’alto indebitamento e l’atteso inizio del tapering il prossimo novembre da parte della Federal Reserve americana (Fed) dovrebbero rallentare la crescita economica e conseguentemente anche i tassi di interesse dovrebbero rimanere relativamente bassi, confermano gli esperti. Se queste previsioni fossero corrette, è probabile che il primo rialzo del costo del denaro avverrà non prima del 2023.
Nel fare queste considerazioni, i portfolio manager della casa d’investimento statunitense utilizzano misure differenti rispetto alle più classiche rilevazioni di inflazione, distinguendo tra “flexible inflation” e “sticky inflation”. Nel primo caso, si fa riferimento ai prodotti come cibo, energia e automobili, i cui prezzi possono essere soggetti ad ampie oscillazioni nel tempo. Nel secondo caso, si tratta di una misura che caratterizza, ad esempio, affitti, costi di assicurazione e spese mediche e che può non essere transitoria.
I rischi da non scordare
L’attenzione dei soggetti economici rimane alta, dato che l’inflazione resta il maggiore rischio nel breve termine per i portafogli degli investitori. Inoltre, se l’inflazione non fosse incidentale, essa potrebbe avere ripercussioni tangibili sull’economia. Strumenti che fungono da copertura contro l’aumento dell’inflazione (ad esempio, asset inflation linked o Buoni del tesoro poliennali indicizzati all’inflazione europea, Btp€i) potrebbero quindi rappresentare secondo gli esperti un “paracadute” per i portafogli obbligazionari del prossimo anno.
La storia dell’inflazione insegna
Eventuali modifiche al portafoglio azionario, puntualizzano, devono invece tenere in considerazione alcuni aspetti importanti. In primo luogo, storicamente prezzi più alti hanno favorito le materie prime, i settori che beneficiano di tassi di interesse più elevati (come le banche) e le aziende con potere di determinazione dei prezzi in categorie indispensabili come semiconduttori e marchi di consumo popolari. In secondo luogo, nella storia degli Stati Uniti si è raramente assistito a prolungati periodi di inflazione elevata (tanto esemplare quanto unico è il periodo compreso tra gli anni ’70 e gli anni ’80). Durante gli ultimi 100 anni l’inflazione è rimasta per la maggior parte del tempo sotto il 5%, scesa poi sotto il 2% a seguito della crisi del 2007-2009, nonostante gli interventi della Fed. In terzo luogo, la Grande Depressione ha dimostrato come le pressioni deflazionistiche possano essere più difficili da gestire. “È soprattutto agli estremi, quando l’inflazione è pari o superiore al 6%, che le attività finanziarie tendono a reagire” sottolineano in Capital Group: “durante i periodi di maggiore inflazione, le azioni e le obbligazioni statunitensi hanno generalmente fornito solidi rendimenti” concludono.
Inflazione sticky vs flexible, variazione anno su anno in %. Fonte: Capital Group.