Una domanda cruccia anche gli investitori istituzionali più navigati: “perché l’India è sempre così costosa?”. La fronte si aggrotta ulteriormente se vi si aggiunge una seconda considerazione, data la brillante performance delle azioni indiane nell’ultimo decennio: “perché il paese continua a fornire rendimenti più elevati rispetto ai suoi pari tra i mercati emergenti?”. Avventuriamoci quindi in questa dinamica paradossale per vedere qual è il legame tra i due fenomeni, solitamente reciprocamente contraddittori nel lungo termine.
India, uno sguardo alle valutazioni dei titoli azionari
Quando diciamo “costosa” parliamo ovviamente delle valutazioni delle azioni indiane, notoriamente elevate se confrontate con quelle di altri paesi come la Cina e il Brasile. Tale fatto attira infatti l’attenzione di tutti gli analisti nel momento in cui questi si approcciano al mercato sud-asiatico, poiché il premio azionario è stato evidente negli ultimi dieci anni, quando i multipli Price/Earnings (P/E) si attestavano in media a 16x in India e a circa 11x nei mercati emergenti nel loro insieme (vedi il grafico sotto). Tale osservazione iniziale ha trattenuto molti investitori globali dal costruire un’esposizione in quella che a fine anno si stima sarà la quinta economia del mondo, o li ha portati ad aspettare il momento giusto, invano.
Multipli P/E previsti/attesi a 12 mesi. Fonte: UTI International
Nel frattempo, i rendimenti indiani non sembrano prestare troppa attenzione alle valutazioni e hanno seguito la propria strada, prendendo le distanze dal resto dei paesi emergenti e raggiungendo un convincente +101,90% in 10 anni (al 30 settembre 2022), contro il +14,65% degli altri mercati in via di sviluppo nello stesso periodo.
Rendimenti totali cumulati. Fonte:Bloomberg.
I 4 motivi di un’India così costosa
Così come per molte cose nella vita, l’India sembra essere costosa per buone ragioni e incarna una sorta di qualità extra per cui un investitore è disposto a pagare quando accetta il relativo premio. Viene naturale chiedersi quali siano queste buone ragioni, quindi ecco un breve elenco che gli analisti di UTI International hanno condiviso con noi:
1. Composizione dell’indice
In primo luogo, l’India comprende prevalentemente non attività di produzione o di materie prime (che esternalizzano e lavorano con margini ridotti e rendimento ridotto sul capitale proprio, Return On Equity – ROE), ma di attività rivolte ai consumatori che vendono al mercato e ai consumatori interni e che, di conseguenza, hanno un forte potere di determinazione dei prezzi che si manifesta nella stabilità dei margini e del ROE. Queste qualità tendono a riflettersi in valori P/E più elevati. Inoltre, il numero di imprese statali (State-Owned Enterprises, SOE), generalmente gestite e governate da un management non all’altezza, è uno dei più bassi tra i pari, come ci si dovrebbe aspettare dalla più grande democrazia al mondo.
2. Stabilità del ROE
Questo fattore è conseguenza del punto precedente. Pochissime economie sono in grado di dimostrare un livello medio di P/E del 16% nel lungo termine, e ciò in India è avvenuto nonostante i grandi investimenti che il paese ha intrapreso per stare al passo con la forte modalità di crescita che ha mantenuto nell’ultimo decennio.
Percentuale di crescita del ROE. Fonte: Motilal Oswa Secutiries. Nota: i dati sopra rappresentano il ROE per l’indice Sensex.
3. Stabilità nella crescita
La storia dell’India non è cambiata tanto quanto quella degli altri mercati emergenti. Un quarto di secolo fa vi erano almeno 12 mercati emergenti, in un periodo in cui Brasile e Russia erano economicamente molto più grandi dell’India. Intorno al periodo della crisi asiatica (fine anni Novanta) la maggior parte delle economie asiatiche come Thailandia e Vietnam (1997-1998) è caduta fuori dal radar, portando a un universo di mercati emergenti leggermente più concentrato. In seguito alla crisi della Lehman sono rimaste in gioco prevalentemente Cina e India, che hanno continuato a crescere a ritmi considerevoli. Tuttavia, negli ultimi 2-3 anni anche la Cina ha iniziato a vacillare per una serie di motivi (non solo geopolitici), mentre l’India, dopo aver mantenuto una crescita media del Prodotto Interno Lordo (PIL) del 6,5% negli ultimi 30 anni, è ancora destinata a essere l’economia in più rapida crescita per il prossimo decennio.
La crescita incalzante dell’economia indiana in base al PIL. Fonte: Fondo Monetario Internazionale
4. Volatilità della rupia indiana
All’interno del paniere dei mercati emergenti, la rupia indiana (INR, linea nera tratteggiata nel grafico qui sotto) è una delle valute con la volatilità più bassa e, considerando che l’India ha ora una delle più grandi riserve Forex al mondo, la sua fluttuazione dovrebbe continuare a rimanere sugli stessi livelli almeno per il prossimo futuro.
Volatilità trimestrale per le valute dei mercati emergenti contro il dollaro statunitense. Fonte: Bloomberg, UTI MF Research
In conclusione
L’attesa che le valutazioni indiane scendano ha portato molti investitori a perdere un’opportunità nel lungo periodo. A dire il vero, l’aspettativa generale è che il divario tra le valutazioni dell’India e quelle del resto delle economie emergenti si ridurrà in 18-24 mesi. Tuttavia, questo sarà più una conseguenza di un aumento delle valutazioni degli altri mercati in via di sviluppo (poiché i loro multipli degli utili hanno oscillato abbastanza al di sotto della loro media) piuttosto che del temporaneo sovraprezzo delle valutazioni indiane.