Il 70% dei business angel opera nel Nord Italia, principalmente tra Lombardia (687 soggetti attivi) e Piemonte (240)
Francesco Cerruti, Italian tech alliance: “Sarebbe auspicabile prevedere vantaggi fiscali in caso di exit”
I business angel italiani sono 1.671, hanno partecipato a oltre 120 round di finanziamento solo tra il 2018 e il 2022 e investito più di 45 milioni di euro. Si tratta di persone benestanti, solitamente ex imprenditori e imprenditrici o professionisti e professioniste che, in cambio di una percentuale di equity, impiegano parte del proprio capitale in promettenti imprese nascenti. Facendone volare, numeri alla mano, ricavi e dipendenti. A restituirne la mappatura aggiornata a livello nazionale è il nuovo report Business angel in Italia: l’impatto dell’angel investing a cura di Growth capital in collaborazione con Italian tech alliance con il Social innovation monitor del Politecnico di Torino e la University of East Anglia.
La mappa (aggiornata) dei business angel
Il 70% opera nel Nord Italia, principalmente tra Lombardia (687 business angel) e Piemonte (240). Al terzo posto il Lazio con 174 soggetti attivi, seguito dall’Emilia-Romagna con 92. La maggior parte dei business angel sono uomini (ben l’86%), con un’età media di 52 anni. Il 94% detiene un titolo di istruzione superiore, di cui il 43% un master di secondo livello, il 40% una laurea magistrale o un master di primo livello e il 4% un dottorato. Quanto all’esperienza lavorativa, il 45% sta svolgendo attualmente l’attività di manager o dipendente di un’azienda privata, mentre il 33% è un imprenditore e il 17% un consulente o libero professionista. Il 66% è iscritto a un Business angel group (o Bag, ovvero organizzazioni che riuniscono business angel con interessi simili e disponibilità a investimenti congiunti in aziende innovative, spesso con personale dedicato alla ricerca e alla selezione delle opportunità di investimento) o a un Business angel network (o Ban, community che favoriscono lo sviluppo di iniziative imprenditoriali connettendo business angel e imprenditori o imprenditrici a caccia di finanziamenti).
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Come (e quanto) investono i business angel
Nell’ultimo quinquennio, quasi il 10% dei round di investimento conclusi in Italia ha visto la partecipazione di uno o più Ban o Bag, passando dai 20 round del 2018 ai 30 del 2022. Sempre tra il 2018 e il 2022 l’ammontare investito in round con la presenza di Ban o Bag ha sfiorato il 20% del totale investito, balzando dai 29 milioni del 2018 (su 502 milioni di investimenti complessivi) ai 529 milioni del 2022 (su un totale di oltre 1,8 miliardi di investimenti). Quanto ai settori, Bag e Ban puntano principalmente in aziende delle aree digital (27 round censiti), life science (25), fintech (17) e smart city (16).
I ricercatori si sono spinti poi a esaminare le performance delle startup analizzate nel periodo 2018-2021, individuando quattro variabili di interesse: crescita del fatturato, numero di dipendenti, Ebitda e immobilizzazioni immateriali. Quello che è emerso è infatti che le società in cui hanno investito Bag o Ban hanno quintuplicato la performance nel triennio considerato, crescendo quindi di più delle società senza Bag o Ban. “Una parte di questa crescita potrebbe essere dovuta al ruolo delle organizzazioni di business angel nell’aprire nuove opportunità e facilitare il raggiungimento di nuove o maggiori porzioni di mercato”, si legge nell’analisi. Nel dettaglio, la crescita mediana in termini di fatturato ha superato il 400% tra le società che hanno ricevuto capitali di un Bag o Ban, a fronte del 190% per le controparti. Lo stesso vale per numero di dipendenti (+120% tra le società investite da un Bag o Ban a fronte del +100% delle controparti), Ebitda (+120% contro il +20%) e immobilizzazioni immateriali (+350% contro il +290%).
“I business angel sono ormai riconosciuti come elementi chiave per l’ottenimento di capitali per sostenere la crescita di piccole e giovani imprese, in particolare dei round seed ed early stage, meno presidiati dai venture capital tradizionali rispetto ai round d’investimento delle fasi più avanzate”, dichiara Francesco Cerruti, direttore generale di Italian tech alliance. “Sarebbe auspicabile prevedere vantaggi fiscali in caso di exit, l’esenzione dal vincolo di holding period in casi speciali e, come accade già nel Regno Unito, una differenziazione dei benefici a seconda del ticket di investimento del business angel e della dimensione dell’aumento di capitale”, suggerisce Cerruti. “Numerose sono le tematiche ancora da approfondire e le azioni da intraprendere per agevolare una maggiore crescita di questa importante risorsa per la nostra economia”, interviene Davide Viglialoro, direttore scientifico della ricerca. “I benefici del sostegno all’angel investing al femminile, un ruolo crescente dell’impact investing e l’avvento di nuovi attori e nuove tecnologie nell’ecosistema rappresentano alcune delle principali opportunità che i e le business angel stanno e dovranno sempre più saper cogliere”.