Il tutto parte da un avviso di accertamento per le imposte dirette notificato all’imprenditore di una società di famiglia, dato che aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi
La Cassazione nel caso in esame ha ribadito alcuni principi dell’impresa di famiglia e ha concluso che l’operato dell’Agenzia delle entrate è stato corretto
Il caso
Il tutto parte da un avviso di accertamento per le imposte dirette notificato all’imprenditore della società, dato che aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi. L’imprenditore, una volta ricevuta la notifica da parte dell’Agenzia delle entrate, fa subito ricorso chiedendo che il reddito accertato non gli fosse attribuito interamente ma diviso pro quota in base ai vari partecipanti dell’impresa di famiglia.
L’Iter giudiziario
Il ricorso è stato rigettato sia dalla commissione tributaria provinciale sia da quella regionale. I diversi giudici hanno infatti respinto il ricorso proprio perché l’imprenditore non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e dunque il ricorso dell’Agenzia delle entrate era più che legittimo. Significa dunque che non avendo fatto il documento il soggetto in questione non poteva pretendere che fosse applicato il meccanismo di imputazione previsto per le imprese di famiglia. E di conseguenza l’Amministrazione finanziaria agiva nel giusto.
L’imprenditore non rassegnandosi ha però fatto ricorso in Cassazione.
La Cassazione
I giudici chiariscono alcuni punti in materia delle imprese di famiglia, disciplinate da codice civile all’articolo 230-bis. La disciplina fiscale di questo soggetto è poi ben disciplinata dall’articolo 5 del Tuir. Questo oltre che stabilire l’imputabilità dei redditi per ciascun famigliare in modo proporzionale alla quota di partecipazione agli utili, specifica anche i requisiti che bisogna rispettare per accedere a questo determinato regime fiscale.
- I familiari che lavorano nell’impresa di famiglia devono risultare nominativamente, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore, o da un atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti.
- La dichiarazione dei redditi dell’imprenditore deve indicare le quote di partecipazione agli utili che spettano a ciascuno dei familiari, oltre che l’attestazione di queste sono proporzionate alla qualità e alla quantità del lavoro effettivamente fatto nell’impresa, nel periodo d’imposta.
- Ciascun familiare deve inserire all’interno della propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.
Partendo da questi presupposti la corte di Cassazione ha ancora ribadito come: “i proventi derivanti dall’esercizio di un’impresa familiare vanno imputati ai singoli partecipanti a condizione che sussistano i presupposti giuridici indicato dall’art. 5, comma 4, del Dpr. n. 917/1986 per la qualifica di questi ultimi come collaboratori familiari, ossia l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa, le quote loro attribuite nonché l’attestazione, nella dichiarazione annuale di ciascuno dei partecipanti, di aver lavorato per l’impresa familiare”.
E dunque partendo dal presupposto che nel caso in esame il contribuente ha omesso la dichiarazione dei redditi, non si può considerare l’impresa come di famiglia. E dunque è corretto che le venga attribuito il nome di ditta individuale.