Grazie alla sua relazione con l’immagine, la parola ha dato vita alle più spettacolari forme espressive, apportando un originale contributo d’innovazione sia alla pittura che alla forma più tradizionale del testo scritto, poetico, letterario e naturalmente artistico. L’arte contemporanea è la filosofia del nostro presente, che si esprime con differenti forme e con molteplici contenuti. La parola può essere resa espressione artistica dal suo autore che la rende tangibile, portando il significato e il significante a essere la stessa cosa, si giunge al piano zero: qualcuno pensa a una parola, la scrive la rende visibile nel suo significato e nel suo significante. Si giunge quindi a una sorta di “gioco” Duchampiano in cui la parola può essere “messa in scena”.
Quali sono stati gli artisti che hanno saputo utilizzare sapientemente la parola nella loro arte? Ecco la seconda parte di un viaggio tra immagini e scrittura.
Gastone Novelli
Gastone Novelli è nato a Vienna il 1° agosto 1925. Dopo essersi trasferito a Roma con la sua famiglia, ha conseguito la maturità classica e nel 1943 ha partecipato attivamente alla Resistenza, venendo catturato e poi liberato l’anno successivo. Nel 1945 si è trasferito a Firenze, dove, due anni dopo, ha ottenuto la laurea in scienze politiche. Il suo percorso artistico ha avuto inizio nel dopoguerra, influenzato dalle idee neocostruttiviste di Max Bill, probabilmente conosciuto durante un soggiorno a Zurigo nel 1947. Nel 1950, Novelli si è trasferito in Brasile, dedicandosi all’arte applicata, all’insegnamento e continuando la sua ricerca nell’ambito dell’astrazione geometrica. Ha partecipato alla Biennale di San Paolo nel 1951 e nel 1953. Nel dicembre del 1954 è tornato a Roma, dove ha fatto la conoscenza di Achille Perilli e Corrado Cagli. L’anno successivo ha tenuto mostre personali alla Galleria La Cassapanca a Roma e allo Studio B24 a Milano. Nel 1957, Gastone Novelli ha compiuto diversi viaggi a Parigi, incontrando importanti figure come Tristan Tzara, André Masson, Man Ray e Hans Arp. Ha esposto opere di chiara ascendenza informale alla Galleria La Salita di Roma, fondato la rivista “L’esperienza moderna” insieme a Perilli, e iniziato a collaborare con scrittori e poeti. Negli anni successivi, è entrato in contatto con la cultura figurativa americana grazie alla presenza a Roma di artisti come Cy Twombly, Willem de Kooning e Robert Rauschenberg. Nel 1959 ha esposto alla Galleria l’Ariete di Milano e ha partecipato a numerose mostre collettive in Italia e all’estero. Nel 1960 ha tenuto una personale alla Galleria La Tartaruga di Roma e ha partecipato alla mostra “Crack” alla Galleria Il Canale di Venezia. Nel 1962, Gastone Novelli ha esposto alla Alan Gallery di New York e ha compiuto un viaggio in Grecia. Due anni dopo, una significativa antologica delle sue opere è stata allestita al Kunstverein di Friburgo; ha partecipato alla Biennale di Venezia ottenendo il Premio Gollin. Nel 1966, ha iniziato a realizzare le sue prime opere di matrice politica, in sintonia con il clima di contestazione dell’epoca. L’anno successivo si è stabilito a Venezia e ha pubblicato il libro a fumetti I viaggi di Breck. Invitato a partecipare alla Biennale del 1968, in segno di protesta, ha rifiutato di esporre le sue opere e le ha rivolte verso le pareti. Gastone Novelli muore a Milano il 22 dicembre dello stesso anno. “Dipingere, affermava Novelli, è scrivere con un alfabeto ancora da inventare“. La sua produzione, soprattutto durante gli anni Sessanta, si basa sulla ricerca delle origini del linguaggio, la passione per la semiotica e gli anagrammi. Nelle opere di questo periodo, emerge spesso un’ossessiva ripetizione di una o più lettere, con particolare attenzione alla “A”, che a volte viene disposta in griglie o scacchiere, altre volte si libera per invadere l’intera superficie della tela o del foglio. Gastone Novelli fa della parola il vero protagonista delle sue opere, riempiendo in mille modi diversi gli spazi liberi o a scacchiera delle sue grandi tele bianche. Il legame amichevole di Novelli con le parole si manifesta attraverso il suo gioco continuo con esse, sempre seguendo nuove regole. Una singola lettera può trasformarsi in qualcosa di grandioso o minuscolo, le parole non sono più confinate nelle righe, ma possono danzare liberamente nello spazio. Da alcune lettere, per caso, può nascere una parola, mentre altre possono persino dimenticare di avere un significato. Novelli afferma con forza: “Cancello per sempre la parola!” e lo fa davvero, senza nemmeno ricorrere alla gomma. Egli “maschera” la parola, nascondendola tra segni e disegni, fino a farla scomparire completamente. Il valore delle opere di Gastone Novelli dipende da diversi fattori, tra cui la rarità, la qualità, la fama del pittore e la domanda del mercato. Come per molte opere d’arte, il valore delle opere può variare notevolmente a seconda dell’opera specifica e del contesto dell’asta. In generale, le opere hanno prezzi tra i 3mila euro fino a 50mila euro. Le sue opere sono principalmente vendute in Italia.
Gastone Novelli, Dalmazia (1966), pittura, tecnica mista, 30×40 cm
Courtesy Matteo Lampertico Fine Art
Vincenzo Agnetti
Vincenzo Agnetti nasce a Milano il 14 settembre 1926 e avvia la sua formazione nel Liceo artistico di Brera, conseguendo il diploma. Prosegue gli studi alla scuola del Piccolo Teatro di Milano sotto la guida di Giorgio Strehler, esperienza che influenza profondamente la sua educazione artistica. Questa esperienza teatrale si riflette sia nel carattere scenografico di molte delle sue opere, sia nell’importanza attribuita all’osservatore come partecipante attivo, coinvolto fisicamente e, soprattutto, mentalmente. Nelle sue prime ricerche pittoriche, Agnetti si avvicina all’Informale, una corrente artistica dominante nella metà del XX secolo. Tuttavia, Agnetti presto percepisce i limiti della pittura come mezzo espressivo e si distanzia da essa, preferendo dedicarsi alla produzione poetica e critico-letteraria. Negli anni ’50 e ’60, Agnetti stabilisce un legame di amicizia e collaborazione con Enrico Castellani, Piero Manzoni e Agostino Bonalumi, fondando il gruppo artistico Azimut, un punto di riferimento per sperimentazioni avanzate nella Milano dell’epoca. Nel 1962, si trasferisce in Argentina con la sua famiglia, lavorando nel campo dell’automazione elettronica fino al 1967. Durante questa fase, chiamata “Arte no” o “Liquidazionismo”, Agnetti si allontana quasi completamente dal mondo dell’arte, dedicandosi principalmente a lavori nel campo dell’automazione elettronica. Questo periodo è documentato nei suoi numerosi quaderni, intitolati Assenza, contenenti pagine caotiche e disorganiche di idee e progetti, testimonianza di un’intensa attività di scrittura. Il concetto di “dimenticato a memoria” è presente nelle oltre duemila pagine scritte, un ossimoro che riflette la cultura come apprendimento del dimenticare. Nei diari scritti in Argentina si trova lo sfogo di una mente sempre attiva, che crea e poi cancella, depositando pensieri mai più toccati. Il ritorno in Italia segna l’inizio di una nuova fase artistica per Agnetti, che produce opere diverse, spesso dando spazio alle parole per esprimere immagini. Ad esempio, il ritratto del 1971, intitolato Ritratto, realizzato con feltro inciso e dipinto, rappresenta un tragico testamento del dramma umano. La ricerca artistica di Agnetti supera il puro colore e la relazione con la tela. Le sue attività sono guidate dalla volontà di liberare la mente e esplorare nuove possibilità. Il valore dell’opera d’arte non risiede più nella sua componente fisica, ma nell’impalpabile presenza dell’idea. La mostra del 1970 alla Galleria Blu di Milano segna l’inizio della serie degli Assiomi, opere composte da lastre di bachelite nera con frasi tautologiche o contraddittorie incise e trattate con colori ad acqua o nitro. Queste opere riflettono una serietà volontaria e un rigore di fondo, evidenziati sia dall’approccio quasi scientifico con l’uso di linee, punti, grafici e numeri, sia dal materiale stesso, freddo e statico. Gli Assiomi si distinguono dai Feltri, opere caratterizzate da frasi letterario-poetiche accostate a materiali più morbidi e caldi. Le opere di Vincenzo Agnetti sono caratterizzate da una profonda ricerca concettuale, abbracciando temi filosofici, sociali e linguistici. Questa complessità concettuale ha contribuito a consolidare il suo status nel mondo dell’arte e ha reso le sue opere oggetto di analisi e ammirazione da parte di critici e studiosi. Il valore di mercato delle opere di Agnetti è stato rafforzato dalla loro presenza in importanti aste internazionali e gallerie d’arte di prestigio. La sua capacità di esplorare e trasporre in modo unico concetti astratti e filosofici nelle sue creazioni ha attirato l’attenzione di un pubblico diversificato, creando una domanda costante sul mercato. La sua scomparsa prematura ha accentuato l’interesse per la sua opera, contribuendo a far emergere il suo ruolo significativo nel contesto dell’arte contemporanea. Opere su tela di piccole e medie dimensioni possono valere dai 10mila ai 30mila euro Opere di grandi misure, invece, dai 30mila euro fino a superare i 100mila euro per grandi capolavori. Opere su carta, invece, possono valere dai 3mila ai 15mila euro, a seconda della tecnica, delle misure e della qualità dell’opera.
Vincenzo Agnetti, Assioma – La luce era più lenta perché anche il vuoto riusciva a frenarla (1971)
Bachelite incisa e dipinta con vernice nitro bianca
Courtesy Archivio Vincenzo Agnetti e MuseoCity
Cy Twombly
Cy Twombly nasce il 25 aprile 1928 a Lexington, Virginia (USA). Tra il 1948 e il 1951, frequenta la School of the Museum of Fine Arts di Boston, la Washington and Lee University di Lexington e l’Art Students League di New York, dove fa la conoscenza di Robert Rauschenberg. Su consiglio di quest’ultimo, nel 1951-52 inizia a studiare al Black Mountain College in North Carolina, dove ha come insegnanti Franz Kline, Robert Motherwell e Ben Shahn. La Kootz Gallery di New York gli dedica la sua prima mostra personale nel 1951. In questo periodo, la sua opera è influenzata dall’espressionismo in bianco e nero di Kline e dall’immaginario giocoso di Paul Klee. Nel 1952, una borsa di studio del Virginia Museum of Fine Arts gli permette di viaggiare in Nord-Africa, Spagna, Francia e Italia. Al suo ritorno nel 1953, entra nell’esercito come crittografo. Tra il 1955 e il 1959 lavora a New York e in Italia, stabilendosi infine a Roma. Durante questo periodo, Twombly inizia a creare le sue prime sculture astratte, dipinte in bianco, indipendentemente dal materiale o dalla forma. In Italia, sviluppa opere di grandi dimensioni, allontanandosi dai suoi precedenti scarabocchi espressionisti e adottando lettere e numeri come elementi, ispirandosi alla poesia, alla mitologia e alla tradizione classica. Questo lo porta a creare un proprio vocabolario di segni metaforici, talvolta con sfondo sessuale, liberati dall’iconografia tradizionale. Nel 1964, Twombly partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1968, il Milwaukee Art Center ospita la sua prima retrospettiva, seguita da altre importanti mostre come quelle del Kunsthaus Zürich nel 1987, del Musée National d’Art Moderne di Parigi nel 1988, del Museum of Modern Art di New York nel 1994, della Pinakothek der Moderne di Monaco nel 2006, della Tate Modern di Londra nel 2008 e dell’Art Institute of Chicago nel 2009. Nel 1995, a Houston, viene inaugurata la Cy Twombly Gallery, dedicata all’esposizione delle opere realizzate a partire dal 1954. L’artista scompare a Roma il 5 luglio 2011. l valore di mercato delle opere di Cy Twombly è stato rafforzato dalla loro presenza in importanti aste internazionali e dalla continua esposizione in gallerie d’arte di prestigio. Le sue tele, spesso di grandi dimensioni, sono ricercate da collezionisti di tutto il mondo, e gli acquirenti sono attratti non solo dalla maestria tecnica dell’artista, ma anche dalla profondità concettuale delle sue creazioni. Si ricordano due battute all’asta di rilevata importanza; con due opere provenienti direttamente dalla serie Blackboard (vale a dire le sue opere più costose di sempre), venduti rispettivamente per 70,5 milioni di dollari (Sotheby’s, 2015) e 69,6 milioni di dollari (Christie’s, 2014).
Cy Twombly, Roma Il muro (1962), olio, smalti, graffiti e carboncino su tela
Piero Manzoni
Piero Manzoni nasce a Soncino il 13 luglio 1933 e cresce tra Cremona e Milano, in un contesto cattolico e aristocratico. Dopo aver ottenuto la maturità, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano, ma il suo interesse per la letteratura, i concerti, il cinema e il teatro lo avvicina al mondo artistico, in particolare alla pittura e all’astrattismo. Capisce che la giurisprudenza non è la sua strada e nel 1955 si iscrive alla facoltà di Filosofia a Roma. Tuttavia, già alla fine dell’anno, ritorna a Milano senza completare gli studi, decidendo di dedicarsi al suo vero desiderio: diventare un artista. Nella Milano della seconda metà del Novecento, Manzoni si lascia influenzare dalle nuove correnti artistiche come lo Spazialismo, rappresentato da Lucio Fontana, amico di Manzoni, oltre all’Arte Concettuale e al Minimalismo. Affascinato da questo fervore artistico, abbraccia l’arte dell’astrazione e della provocazione, sfidando le convenzioni artistiche con opere che suscitano riflessioni sulla natura dell’arte stessa. Nel 1956, Manzoni inizia a creare opere con impronte di oggetti, utilizzando olio e materiali eterogenei su tela, espandendo poi il suo repertorio nel 1957 con i primi “quadri bianchi”, evoluti in tele di caolino intitolate Achrome. Questa serie di opere, a cui Manzoni attribuisce il termine “Achrome” (senza colore), riflette la sua ricerca dell’assoluto e invita gli osservatori a immaginare una superficie senza confini, l’equivalente visivo dell’assoluto. Manzoni, infatti, non intende esprimere nell’opera un moto esistenziale o un valore emotivo, la sua è una ricerca dell’assoluto che intende confrontarsi col pensiero relativo allo statuto teorico dell’opera d’arte. La tela per Manzoni è un frammento di infinito, l’osservatore non deve limitarsi a osservare quello che vede, ma immaginare una superficie senza confini, l’equivalente visivo del concetto di assoluto. Coerentemente con queste premesse, l’
artista costruisce un’opera di radicale azzeramento espressivo: la superficie bianca è impregnata soltanto di caolino, la materia che si utilizza solitamente prima di stendere la pittura vera e propria. Il titolo dell’opera assume così un valore assoluto, è il titolo stesso a dare un senso all’opera che rappresenta. La carriera di Manzoni prosegue con la creazione di opere sempre più celebri. Nel 1958, espone in una mostra personale in Olanda e, dal 1960, il suo stile diventa decisamente provocatorio. Introduce le Linee, una semplice linea nera tracciata su un foglio rettangolare, arrotolato e chiuso in un cilindro con la lunghezza della linea riportata. Dal 1960 in avanti, la sua espressione artistica diventa più audace, con creazioni come Fiato d’artista, palloncini da lui gonfiati e sigillati su una base di legno. Nasce poi l’idea della Consumazione dell’Arte, in cui Manzoni imprime la propria firma su uova sode consumate durante le esposizioni. Introduce anche le Sculture Viventi, modelli con la sua firma posizionati su un piedistallo. La “semplice” firma dell’artista rende quindi opera d’arte il corpo umano, sono le lettere che divengono il canone estetico con cui misurarsi. Artisti che per secoli si sono confrontati con i canoni del classicismo per scolpire corpi perfetti, idealizzati o imponenti vengono superati da un solo gesto, ovvero l’apporre la firma dell’artista: è quindi l’artista che sceglie cosa può diventare scultura. Nel maggio del 1961, crea l’opera forse più controversa, Merda d’artista, barattoli di latta contenenti feci, numerati e firmati dall’artista. 90 barattoli di latta, uguali alle lattine della carne in scatola, su cui applicò un’etichetta con scritto in lingua italiana, inglese, francese e tedesca: “Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Sulla parte superiore del barattolo è riportato inoltre un numero progressivo da 01 a 90 insieme alla firma dell’artista. La parola scritta ancora una volta diviene il mezzo per definire l’opera e con cui comunicare direttamente con il pubblico. Piero Manzoni emerge come una delle figure più rilevanti dell’arte italiana del dopoguerra, all’interno del mercato internazionale dell’arte, ha ottenuto notevoli risultati nelle aste tre sue opere hanno superato la soglia dei 10 milioni di dollari. Il mercato d’asta, pertanto, sembra rispecchiare in modo accurato il ruolo e l’importanza storica di Piero Manzoni. È importante sottolineare che tali risultati straordinari sono stati raggiunti principalmente con gli Achrome. Per coloro che desiderano possedere un’opera di Manzoni senza dover necessariamente disporre di un budget milionario, è possibile rivolgersi alle opere meno celebrate, come i cotoni, i cloruri di cobalto e i polistiroli, che sono reperibili a prezzi più accessibili, sebbene ancora nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro. Le opere concettuali, come le Linee, i Fiati d’artista e le Impronte, sono invece accessibili anche con un budget inferiore a 100mila euro. Un’eccezione notevole è la famosa e controversa Merda d’artista, che è stata venduta in asta per oltre 300mila euro nel dicembre 2016 da Il Ponte a Milano.
Piero Manzoni, Linea 5,70 (Novembre 1959), inchiostro su carta, tubo di cartone
Maurizio Nannucci
Maurizio Nannucci nasce a Firenze il 20 aprile 1939 e dopo aver completato i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e a Berlino, si dedica per molti anni al teatro sperimentale, contribuendo con la progettazione di scenografie. Nei primi anni Sessanta, definisce gli elementi chiave della sua ricerca visiva, esplorando le interconnessioni tra arte, linguaggio e immagine e dando vita ai primi Dattilogrammi, nei quali la parola riacquista la forza simbolica. In questo periodo, entra in contatto con gli artisti del movimento Fluxus, si appassiona alla poesia visuale e collabora con lo Studio di Fonologia Musicale di Firenze (S 2F M) nella produzione di musica elettronica, concentrandosi sull’utilizzo della voce e delle parole per la creazione di installazioni sonore. Nel 1967, nella sua prima mostra personale presso il Centro Arte Viva di Trieste, Nannucci introduce i primi testi realizzati con lampade al neon, evidenziando la temporalità della scrittura piuttosto che la materialità degli oggetti. Nel 1968, fonda a Firenze la casa editrice Exempla e la Zona Archives Edizioni, che pubblicano le edizioni di artisti illustri come Sol LeWitt, John Armleder, James Lee Byars, Robert Filliou e Ian Hamilton Finlay. Nannucci concepisce le edizioni e i multipli come manifestazioni della pratica artistica che considera un processo mentale, applicabile alla produzione di massa di oggetti quotidiani per esplorare ambiti al di là dell’arte tradizionale. L’oggetto artistico perde la sua unicità, ma acquisisce presenza e nuova libertà. Sempre interessato alla relazione tra opera, architettura e paesaggio urbano, negli anni Novanta Nannucci collabora con diversi architetti, tra cui Auer & Weber, Mario Botta, Massimiliano Fuksas e Renzo Piano. Tra le sue numerose installazioni permanenti, si possono citare quelle presso l’Auditorium del Parco della Musica di Roma, l’Aeroporto di Fiumicino a Roma e la Bibliothek des Deutschen Bundestages di Berlino. Ha partecipato ripetutamente alla Biennale di Venezia, a Documenta a Kassel e alle Biennali di San Paolo, Sydney, Istanbul e Valencia. Le opere di Nannucci, spesso caratterizzate da scritte luminose, installazioni di parole e frasi, sono il riflesso di una ricerca concettuale che va oltre la mera estetica visiva. La loro presenza in aste e gallerie d’arte è stata accompagnata da una crescente consapevolezza dell’importanza di Nannucci nel contesto dell’arte contemporanea italiana e internazionale. Gli acquirenti che si avvicinano alle opere di Maurizio Nannucci apprezzano la sua abilità nell’esplorare il potenziale espressivo del linguaggio e della luce, e ciò si riflette nei valori di mercato delle sue creazioni. L’artista continua a influenzare il panorama artistico contemporaneo, e la sua presenza nel mercato è testimone dell’interesse persistente verso la sua pratica innovativa e concettuale.Le sue opere sono principalmente vendute in Austria.
Maurizio Nannucci, Changing Place, Changing Time, Changing Thoughts, Changing Future (2003), tubi al neon variabili
Collezione privata, Stetten, Germania. Prestito a lungo termine alla Collezione Peggy Guggenheim
LE OPPORTUNITÀ PER TE.
Quanto influisce il decesso dell’artista nel valore di mercato di un’opera?
Hanno maggior valore le opere dei periodi più giovanili o di quelli più tardi?
Gli advisor selezionati da We Wealth possono aiutarti a trovare le risposte che cerchi.
TROVA IL TUO ADVISOR
In copertina: Piero Manzoni mentre firma una Scultura vivente, durante le riprese per il Filmgiornale SEDI, Milano, 13 gennaio 1961. Courtesy Archivio Piero Manzoni.