Grazie alla sua relazione con l’immagine, la parola ha dato vita alle più spettacolari forme espressive, apportando un originale contributo d’innovazione sia alla pittura che alla forma più tradizionale del testo scritto, poetico, letterario e naturalmente artistico. L’arte contemporanea è la filosofia del nostro presente, che si esprime con differenti forme e con molteplici contenuti. La parola può essere resa espressione artistica dal suo autore che la rende tangibile, portando il significato e il significante a essere la stessa cosa, si giunge al piano zero: qualcuno pensa a una parola, la scrive la rende visibile nel suo significato e nel suo significante. Si giunge quindi a una sorta di “gioco” Duchampiano in cui la parola può essere “messa in scena”.
Quali sono stati gli artisti che hanno saputo utilizzare sapientemente la parola nella loro arte? Ecco la terza parte di un viaggio tra immagini e scrittura.
Alighiero Boetti
Alighiero Boetti, conte di nobili origini, nasce a Torino nel 1940. Dopo aver abbandonato gli studi universitari, si dedica all’arte negli anni Sessanta e diviene un membro prominente del movimento dell’Arte Povera. La sua carriera raggiunge l’apice negli anni Settanta, con il riconoscimento internazionale del collettivo. Boetti, artista concettuale prolifico, sperimenta tecniche come il ricamo e il collage, producendo molteplici versioni di opere, in particolare legate ai servizi postali. I temi delle sue opere spaziano dall’ideologia al riutilizzo di materiali non convenzionali, dalla geopolitica alla riflessione su se stesso, dalla cultura araba alla geometria. Un viaggio in Afghanistan è determinante per Boetti, che vi torna regolarmente fino al 1979, quando l’occupazione sovietica impedisce ulteriori visite. In Afghanistan, nel 1971, rimane affascinato dall’antica arte del ricamo a filo di lino praticata dalle donne locali. Decide quindi di commissionare il lavoro a 500 donne che lo avrebbero eseguito rigorosamente a mano: nascono così i famosi arazzi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo. In diversi formati, gli arazzi sono suddivisi in griglie in cui vengono inserite frasi e motti inventati dallo stesso artista. Attraverso delle parole apparentemente semplici ma di natura discordante, l’artista riflette su aspetti di carattere politico, sociale, culturale e linguistico, invitando a sua volta lo spettatore a interrogarsi e fruire attivamente delle opere, senza subirle in modo passivo e disinteressato. In un continuo gioco di doppio speculare fatto di destro e sinistro, di alto e basso, di parole e immagini, riflette sulla duplicità della natura umana e della società, tra coerenza e contraddizione. Alcune di queste frasi sono diventate celebri, come nel caso di Da Figura a Veritas e Languidi Sguardi Assassini. Ma le Mappe sono forse le opere più famose di Boetti, per l’impatto pop della iconografia del planisfero e per la fresca vivacità delle pezzature cromatiche formate dalle bandiere di tutti gli stati del mondo. Il punto di partenza, nel 1969, è una carta politica del mondo (come quelle che si appendevano nelle classi) dove ogni stato è colorato con i colori delle proprie bandiere. Qui esposta una bellissima Mappa del 1980. La prima mappa ricamata dalle ricamatrici afgane è del 1971-72. Dopo questa ne seguono molte altre fino al 1994, sempre di grande dimensione, che documentano i cambiamenti dei confini politici (e anche eventualmente delle bandiere). “Il lavoro della Mappa ricamate – ha scritto l’artista – è per me il massimo della bellezza. Per questo lavoro io non ho fatto niente, non ho scelto niente, nel senso che: il mondo è fatto com’è e non l’ho disegnato io, le bandiere sono quelle che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto niente assolutamente; quando emerge l’idea base, il concetto, tutto il resto non è da scegliere”. L’idea di scegliere come tema per un opera delle carte geografiche viene probabilmente da Jasper Johns che già nel 1961 dipinge delle mappe degli Stati Uniti e che realizza anche un immenso planisfero sezionando il globo secondo le strutture triangolari della cupola geodetica di Buckminster Fuller. Le opere di Alighiero Boetti più frequentemente reperibili sul mercato attuale sono gli arazzi, in particolare quelli di dimensioni più contenute. I piccoli arazzi di Boetti, spesso denominati “4 lettere” o “5 lettere”, sono ampiamente conosciuti per la loro affascinante cromia e per le frasi suggestive che adornano la loro superficie.
Le quotazioni per gli arazzi “4 lettere” o “5 lettere” di Boetti variano generalmente tra i 15mila euro e i 35mila euro. Tuttavia, quelli caratterizzati da colori particolari, come il bianco e nero, o frasi rare nella loro composizione, possono raggiungere valori anche superiori, arrivando fino a 100mila euro.
Oltre a questi, esistono arazzi di Alighiero Boetti di dimensioni maggiori, con un formato più verticale di circa 100×30 cm. Questa categoria di opere è ancora più ambita, e le valutazioni oscillano tra i 50mila euro e i 150mila euro. Le opere più costose di Alighiero Boetti sono rappresentate dagli arazzi di grandi dimensioni che ritraggono le celebri Mappe o Tutto. Questa tipologia di arazzi è estremamente ricercata e può raggiungere valori considerevoli. Le quotazioni per gli arazzi Mappe o Tutto di Boetti iniziano da 500mila euro e possono arrivare fino a 2 milioni di euro, evidenziando la crescente pregiudiziale artistica e il notevole interesse di mercato nei confronti di queste opere iconiche.
Alighiero Boetti, Viaggi postali (1969-1970); nove buste con francobolli,
11 x 22 cm quelle piccole, 26 x 40 cm quelle grandi; New York, MoMA
Alighiero Boetti, Oggi ventiseiesimo quinto mese anno uno nove otto nove (1989)
Arazzo, ricamo, 110 x 110 cm
Alighiero Boetti, Mappa (1978), Arazzo, ricamo, 95 x 133 cm
Bruce Nauman
Artista statunitense nato a Fort Wayne (Indiana) il 6 dicembre 1941, Bruce Nauman è stato un protagonista della stagione antiformale che si è sviluppata nella seconda metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti. La sua vasta produzione artistica comprende sculture, azioni, environment e film, attraverso i quali esplora temi legati al corpo e al linguaggio. Considerato uno dei più interessanti protagonisti del periodo postminimalista, Naumann ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 1999 e il Praemium Imperiale per la scultura nel 2004. Dopo la sua formazione presso la University of Wisconsin (1960-64), inizialmente orientata verso la matematica, Nauman si dedica all’arte. Dal 1964, interruppe la pittura per concentrarsi sulla creazione di oggetti e performance, collaborando con William Allan e Robert Nelson nella realizzazione di alcuni film. Le azioni che sottendono i suoi lavori, dagli anni Sessanta fino agli anni Dieci del Duemila, sono sempre state attentamente studiate, anche nei loro aspetti legati alla fruizione. L’importanza della regola, dell’istruzione e dello schema è evidente anche in opere che si presentano come testi scritti, istruzioni spazializzate tramite neon o collage, concepite e presentate come oggetti d’arte in forma testuale (ad esempio, Please, pay, attention,please del 1973 e Human, need, desire del 1983 al MoMA di New York). Il linguaggio riveste un ruolo fondamentale nella sua pratica artistica, esplorato nelle sue ambiguità e spesso espresso attraverso giochi ironici di parole. L’attenzione di Naumann per il linguaggio, la comunicazione e la processualità linguistica emerge anche in opere legate al parlato, come la videoinstallazione Thank you del 1992, For beginners (all the combinations of the thumb and fingers) del 2010, e For beginners (instructed piano) sempre del 2010. In quest’ultima, il musicista Terry Allen esegue al pianoforte una partitura composta dall’elenco di istruzioni dettate dalla voce di Nauman, relative al posizionamento delle mani sulla tastiera. Negli ultimi lavori, Nauman ha proseguito la sua riflessione sul rapporto tra istruzioni e azioni, tra parola-suono e movimento, nonché tra esperienze sensoriali, visive e sonore, e lo spazio. Questo si riflette nell’installazione sonora For children (Pour les enfants) del 2013, esposta alla Fondation Cartier di Parigi, dove la voce dell’artista ripete regolarmente la dedica-titolo del lavoro.
Bruce Nauman, One Hundred Live and Die, 1984. Collection Benesse Holdings, Inc/ Benesse House Museum, Naoshima
Joseph Kosuth
Nato il 31 gennaio 1945 a Toledo, Ohio, Joseph Kosuth è un influente artista statunitense riconosciuto come uno dei principali esponenti dell’arte concettuale, termine da lui coniato. Dopo aver studiato belle arti alla School of Visual Arts di New York, nel 1965 espose la sua prima opera concettuale, One and three chairs, che rappresenta una sedia appoggiata al muro, una fotografia della stessa sedia appesa alla parete e la riproduzione del suo lemma nel vocabolario. Le creazioni di Kosuth si distinguono per la loro enfasi sul pensiero e sui concetti, piuttosto che sulla rappresentazione o sull’emozionalità. La sua ricerca artistica si concentra sull’idea stessa, come dimostrato dalla serie di opere basate sulle definizioni dei lemmi nei vocabolari. Tra le sue opere più celebri figura Art as idea as idea del 1966, un titolo che riflette la sintesi della sua filosofia artistica. Nel corso della sua carriera, Kosuth ha contribuito alla teorizzazione dell’arte concettuale, diventando redattore della rivista “Art-Language” nel 1969 e scrivendo saggi come “Art after philosophy” nello stesso anno. Sostenitore dell’idea che l’arte sia una tautologia, ha affermato che solo l’arte può continuare il percorso della filosofia attraverso la pluralità dei mezzi espressivi artistici. A partire dagli anni Novanta, Kosuth ha introdotto nelle sue opere frasi di personaggi celebri della cultura contemporanea, spesso integrate con l’uso del neon, divenuto uno dei suoi materiali distintivi. Questo elemento luminoso ha contribuito a rendere le frasi ancor più appariscenti agli occhi degli spettatori e, al contempo, a mantenere un legame sottile con la cultura di massa. Tra le sue installazioni più significative figura la serie Ex Libris, che presenta citazioni realizzate con il neon e collocate negli spazi pubblici delle grandi città. Le opere di Kosuth sono esposte in prestigiosi musei internazionali, come il MoMA di New York, la Tate Gallery di Londra, il Guggenheim Museum di New York, il Whitney Museum of American Art di New York e il Centre Pompidou di Parigi. Nel 2009, al Museo del Louvre di Parigi, ha presentato l’installazione ni apparence ni illusion, diventata permanente nel 2012. Attualmente, Joseph Kosuth vive e lavora tra Roma e New York, e le sue opere sono altamente ricercate sul mercato dell’arte contemporanea. Iconiche sono le serie dei lemmi tratti dal vocabolario e le scritte realizzate con il neon, che rappresentano il punto culminante della sua innovazione nel mondo dell’arte. Le sue opere sono regolarmente battute nelle aste internazionali, con record notevoli come la vendita, nel 2008, di Five words in yellow neon per 370mila dollari da Sotheby’s a New York. Le opere più ricercate sono la serie dei Lemmi tratti dal vocabolario e le sue scritte realizzate con il neon. Esse costituiscono sicuramente le sue rappresentazioni iconiche. Le sue opere sono battute dalle più importanti case d’asta internazionali e sono presente in tutti i più importanti musei e collezioni private. Le sue opere sono principalmente vendute negli Stati Uniti.
Joseph Kosuth, One and Three Chairs (1965)
Joseph Kosuth, Art as idea as idea (1966)
Joseph Kosuth, Wittgenstein’s color (1989). Courtesy Sotheby’s
Sabrina Mezzaqui
Sabrina Mezzaqui è un’artista italiana nata a Bologna nel 1964 e attualmente residente a Marzabotto. La sua attività artistica è iniziata nell’ambiente bolognese durante gli anni di studio all’Accademia di Belle Arti di Bologna, influenzata dalla guida dell’insegnante Alberto Garutti. Ha esordito con le sue prime esposizioni personali negli anni 1996-97 presso la Galleria Graffio e altri spazi espositivi di Bologna. Negli anni successivi, ha ampliato la sua presenza artistica con numerose mostre personali e collettive sia a livello nazionale che internazionale, consolidando legami significativi con le gallerie Galleria Continua (presente a San Gimignano, Beijing, Les Moulins e Habana) e Galleria Massimo Minini di Brescia. La produzione artistica di Sabrina Mezzaqui abbraccia diversi media sin dai primi lavori, includendo fotografia, video, performance e scultura. Molti dei suoi lavori incarnano una riflessione sul trascorrere del tempo, coinvolgendo il senso del lavoro manuale attraverso la ripetizione prolungata di gesti minuziosi, come infilare perline, ritagliare, piegare e
disegnare piccoli motivi. Nelle sue opere, spesso emergono scritture di brevi testi, memorie e riferimenti letterari, incluso l’uso di libri rimaneggiati. L’amore per la parola si manifesta attraverso l’intervento sugli oggetti libro e la citazione di opere scritte. L’affinità con la parola scritta, già evidente nei lavori del suo primo periodo artistico, si è progressivamente consolidata fino a diventare il tratto distintivo dell’operato di Sabrina Mezzaqui oggi.
Diciassette haiku (2017),(estratto da Jorge Luis Borges, La Cifra, in Tutte le opere, Meridiani Mondadori, vol. II).
Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
Autobiografia del rosso (2017) (made by elefanterossoproduzioni.info).
Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
Pietro Terzini
Nato nel 1990, Pietro Terzini emerge come una delle personalità artistiche più audaci e apprezzate sui social network, particolarmente popolare tra la Gen Z. Dopo una carriera di sei anni come Head of Digital nelle società di Chiara Ferragni, Terzini ha deciso di esplorare la moda da una prospettiva unica e personale. Grazie al suo sguardo acuto e a una sottile satira contemporanea, questo giovane architetto ha trasformato i retroscena del fashion system in opere d’arte ready-made, grafiche e confezioni di brand di moda e non solo. Tra le sue creazioni più celebri spiccano le rivisitazioni delle shopping bag dei marchi più prestigiosi, da Hermès a Chanel, passando per Louis Vuitton, Bottega Veneta, Tiffany&Co. Il suo interesse per questi oggetti ha avuto inizio osservando le buste e le scatole di grandi firme mentre lavorava in ufficio, con l’intento di donare nuova vita a un packaging destinato al dimenticatoio. Terzini ha dichiarato di voler creare qualcosa che funzionasse sia sui social media che in forma fisica. Così, partendo da questo piccolo pensiero, è nato il suo lavoro con uno stile creativo unico, Terzini ha contribuito a ridefinire il concetto di moda e l’esperienza visiva associata a essa. Le sue creazioni, caratterizzate dalla reinterpretazione di icone come le shopping bag di lusso, sono diventate manifestazioni tangibili della sua visione irriverente. Terzini realizza anche installazioni di grande scala come la sua impresa a Torre Velasca e Spiga 26, dove ha creato una conversazione diretta con cittadini e visitatori. La versatilità e l’incisività del linguaggio visivo e comunicativo di Terzini si sposano perfettamente con l’obiettivo di rendere la sua arte accessibile in chiave contemporanea. I prezzi delle opere di Terzini vanno dai 3mila a 14mila euro.
Pietro Terzini, Torre Velasca, 2022
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In copertina: Pietro Terzini, Torre Velasca, 2022