Il trasferimento di capitali verso ordinamenti a fiscalità privilegiata sottrae a tassazione, ogni anno nel mondo, oltre 427 miliardi di dollari
Affidarsi ad un professionista esperto può essere determinante per regolarizzare capitali detenuti illecitamente all’estero ed evitare di andare incontro a sanzioni tributarie e conseguenze di carattere penale
Secondo le stime di Tax Justice Network, il trasferimento di capitali verso ordinamenti a fiscalità privilegiata sottrae a tassazione, ogni anno nel mondo, oltre 427 miliardi di dollari.
Un simile fenomeno non solo è indice rivelatore di una bassa lealtà fiscale (tax morale) dei cittadini più facoltosi, ma incide negativamente sulla comunità. L’abuso del diritto tributario, infatti, dunque la condotta posta in essere da imprese e privati per ottenere vantaggi fiscali indebiti mediante l’utilizzo distorto di schemi giuridici, condiziona la vita economica di molti ordinamenti e, incidendo negativamente sulle entrate erariali – dunque sulla capacità dello Stato di distribuire risorse pubbliche -, alimenta divari sociali e disuguaglianze.
Ebbene, l’inchiesta Pandora Papers offre l’occasione per fare il punto su alcune questioni di natura fiscale, che involgono, in senso ampio, tanto il tema dell’evasione e elusione fiscale – fenomeno complesso che si radica in numerosi contesti mediante il ricorso a strategie di pianificazione fiscale aggressiva -, tanto il tema della tax compliance.
L’obiettivo consiste nell’individuare quali sono gli strumenti più efficaci messi a disposizione dal legislatore per incentivare i contribuenti a regolarizzare i capitali detenuti illecitamente all’estero.
Al riguardo, We Wealth ha intervistato l’avvocato Antonio Martino, of counsel e responsabile del settore Private Clients dello studio legale e tributario DLA Piper.
Il caso dei Pandora Papers è solo l’ultimo di casi analoghi in cui il fisco è venuto a conoscenza dei nominativi di contribuenti che detenevano capitali non dichiarati all’estero. Ma da dove arrivano e cosa sono queste “liste”?
Negli ultimi anni, l’Amministrazione fiscale italiana ha ricevuto “liste” più o meno corpose e complete di contribuenti italiani che detenevano patrimoni talvolta ingenti in giurisdizioni che non fornivano alcuna forma di collaborazione in campo tributario e penale e che applicavano un tax rate effettivo a soggetti residenti o operanti all’estero pari a zero o estremamente ridotto. Questi elenchi erano basati su documenti oggetto di furto poi acquisiti dalle autorità estere (si pensi alla “lista Vaduz”, alla “lista Falciani” o alla più recente “lista Dubai”), o su documenti rivenuti in Italia nel corso di operazioni di polizia (si pensi alla “lista Pessina”); o, ancora, su documenti oggetto di trafugamento e pubblicati dai giornali (come nel caso dei “Panama Papers” e degli attuali “Pandora Papers”).
Tali “liste” in realtà, contrariamente alla loro definizione, raramente sono costituite da semplici elenchi riportanti le informazioni sull’identità dei contribuenti nazionali infedeli e sull’origine, l’ammontare e l’evoluzione dei loro patrimoni illegalmente detenuti in una giurisdizione estera. Consistono, piuttosto, in un insieme più o meno ordinato e completo di documenti relativi a depositi esteri dai quali si possono ricavare le suddette informazioni, magari integrandole con quelle già presenti nei sistemi informatici dell’Anagrafe tributaria.
Il limite è il rispetto della legge, come per qualsiasi altro strumento giuridico di cui il nostro ordinamento dispone. Il trust, oltre che essere uno strumento perfettamente lecito, è uno strumento “tipico” dell’ordinamento come ha affermato la Cassazione e può essere usato anche per finalità filantropiche e di protezione di soggetti deboli (si pensi alla legge sul “dopo di noi”).
Quando non è possibile giustificare le operazioni di spostamento della materia imponibile verso altri ordinamenti, a certe condizioni, si potrebbe andare incontro a illeciti tributari. Al fine di evitare possibili conseguenze negative a carico del contribuente, il legislatore ha introdotto alcuni strumenti volti a far rientrare o regolarizzare spontaneamente capitali detenuti illecitamente all’estero. Quali sono?
Lo strumento messo a disposizione dal legislatore è quello del ravvedimento operoso che si può attivare, in linea di massima, solo se il contribuente ha presentato la dichiarazione nei periodi d’imposta in cui vi è stata la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale delle attività finanziarie o patrimoniali detenute all’estero e la sottrazione a tassazione dei redditi che sono stati utilizzati per costituire tali attività o per incrementarle o che comunque derivano dall’impiego delle stesse. Appare opportuno specificare che nel caso in cui tali attività fossero detenute in paesi black listed, il termine di decadenza della potestà dell’amministrazione finanziaria di contestare le violazioni agli obblighi di monitoraggio e di recuperare a tassazione i redditi connessi è raddoppiato. Inoltre, per le attività detenute in paesi black listed, le sanzioni sono raddoppiate e vige la presunzione di legge secondo la quale il valore delle attività detenute in tali paesi in violazione degli obblighi di monitoraggio sono da considerarsi reddito sottratto a tassazione; salvo la prova contraria che deve essere prodotta dal contribuente.
Collocare redditi derivanti da royalties e dividendi in paesi a fiscalità privilegiata può voler dire sottrarre all’attenzione delle autorità fiscali del territorio di residenza determinati capitali. Ebbene, quali sono le conseguenze negative a carico dei contribuenti in caso di accertamento da parte dell’autorità?
Oltre agli effetti tributari (accertamento delle imposte non versate, maggiorate degli interessi, e applicazione delle sanzioni), non sono affatto da escludersi delle conseguenze di carattere penale sia con riferimento ai reati tributari di infedele o omessa dichiarazione o addirittura di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sia con riferimento al reato di autoriciclaggio.
In considerazione delle attenuanti e considerando anche le cause di esclusione dalla punibilità da taluni dei suddetti reati tributari in caso di ravvedimento operoso, l’adozione di tale strumento deve essere preso in considerazione magari con l’aiuto di un professionista esperto.
Nel caso in cui non fosse stata presentata la dichiarazione per i periodi d’imposta ancora aperti esiste l’ulteriore rimedio di una spontanea collaborazione con l’amministrazione finanziaria. Infatti, sebbene non siano invocabili i vantaggi offerti dalla procedura di voluntary disclosure, l’amministrazione fiscale ha stabilito che tale forma di collaborazione spontanea rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 7 comma 4 del Dlgs. 472/1992 prevedendo un abbattimento delle sanzioni fino al 50%.
Anche in questo caso è bene comunque affidarsi ad un professionista.