Dopo la pandemia, il nuovo cigno nero per il mercato degli appalti è rappresentato dall’aumento eccezionale dei costi delle materie prime, componentistica ed energia, inaspriti ulteriormente dal conflitto in Ucraina.
Quello dell’edilizia, e più in generale degli appalti di opere pubbliche, è un comparto strategico nella fase di ripresa e rilancio post-covid – nel quadro di una filiera impegnata nella rigenerazione urbana e nella riqualificazione, anche energetica, degli immobili – che sino a pochi mesi fa ha conosciuto una crescita davvero importante, sostenuta segnatamente dagli incentivi e agevolazioni fiscali e dalle risorse in arrivo del Pnrr.
Tuttavia – come hanno recentemente evidenziato le associazioni di categoria – solo negli ultimi mesi del 2022 il prezzo del ferro per il cemento è salito del 40%, il bitume di oltre il 30%, il gas naturale dell’875%, l’energia elettrica del 524%, il petrolio dell’81% e il gasolio del 119%. Oltre agli aumenti ingentissimi, la stessa consegna dei materiali è divenuta aleatoria, con il rischio che il prezzo effettivo venga fatto al momento in cui i materiali arrivano in cantiere.
Dall’inizio dell’anno, dunque, molte gare di appalto vanno deserte e i lavori non sono aggiudicati.
Per gli appaltatori che hanno invece già sottoscritto contratti chiusi e a forfait prima dei rincari il dilemma è quello di dover scegliere tra l’esecuzione del contratto – che determinerebbe perdite davvero ingenti in ragione dei costi aumentati vertiginosamente – e l’inadempimento (anche se negoziato) dell’appalto, con i conseguenti costi di penali, escussioni di garanzie e performance bond e, ne casi più rilevanti, il ravvisarsi di un illecito professionale grave al casellario delle stazioni appaltanti, che potrebbe essere addirittura causa di esclusione dalle gare future.
Molte imprese hanno sospeso i lavori in attesa di qualche intervento di salvaguardia, ma anche questa misura temporanea determina evidenti ritardi e danni a tutto l’indotto.
Il governo è intervenuto con alcune misure emergenziali nel decreto n.21/2022 del 21 marzo 2022 (cosiddetto Ucraina-bis), attualmente in corso di ulteriore modifica in sede di conversione in legge. In particolare, è stata introdotta la possibilità per le stazioni appaltanti di anticipare fino al 50% della quota richiesta dalle imprese, nei limiti del 50% delle risorse disponibili. È saltata invece all’ultimo minuto dal decreto la norma tanto invocata dalle imprese, che avrebbe consentito di sospendere gli appalti in attesa delle compensazioni. Probabilmente si è temuto un rallentamento generalizzato dei progetti in corso finanziati dal Pnrr.
Il rischio di una frenata, se non di un brusco arresto, è molto serio. E siamo in un paradosso, poiché oggi più che mai si sente la mancanza di infrastrutture e opere pubbliche, anche per far fronte alla crisi energetica, che potrebbero essere finanziate con il piano.
Indubbiamente il piano procede più lentamente del previsto. Stando ai dati ufficiali, si erano ipotizzati interventi per 13,7 miliardi di euro (tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti aggiuntivi), mentre allo stato sarebbero stati impiegati solo 5,1 miliardi, riguardanti per lo più progetti già in essere.
Gli uffici studi dei ministeri paiono meno pessimisti sul medio termine, tenuto conto del risparmio accumulato dalle famiglie nel biennio 2020-2021, che potrebbe favorire un recupero della spesa per consumi più rapido se l’incertezza, soprattutto sul fronte geopolitico, si riducesse. L’aumento dell’inflazione determina in ogni caso la necessità di adeguati interventi anche da parte delle Banche centrali.
Ma cosa sarebbe necessario fare per mettere in sicurezza gli investimenti del Pnrr?
Sicuramente una misura fortemente invocata dalle imprese è quella di prevedere meccanismi di compensazione anche per i contratti in esecuzione, al fine di scongiurarne l’interruzione.
Inoltre, occorrerebbe – anche in via temporanea – adeguare i meccanismi di revisione prezzi con rilevamenti mensili e di modifica di volta in volta dei prezzari delle materie prime. In sostanza è dunque necessario un sistema che consenta di calcolare il prezzo di applicazione al momento della realizzazione dell’opera, e non in fase di preventivo o di offerta, arginando il rischio-aumenti per le imprese e quello di assenza di offerte per gli appaltanti.
Ritardare significherebbe mettere a rischio l’esistenza di molte imprese e, quindi, la tenuta dell’occupazione in un settore che è cruciale in questa fase storica particolarmente delicata”
Il futuro economico del nostro paese affonda le sue radici nella capacità di sostenerne il tessuto produttivo oggi.