Guardando all’intera compagine aziendale, nelle società di gestione del risparmio le donne rappresentano il 48,6% a fronte del 51,4% degli uomini
La maggior parte sono collocate a livello impiegatizio (56,8%) mentre la loro presenza tende a decrescere man mano che si risale la gerarchia organizzativa
Le società di gestione del risparmio, quando si parla di board al femminile, battono non solo le banche ma anche le assicurazioni. Eppure, il soffitto di cristallo stenta ancora a incrinarsi. Rendendo evidente quello che Ulrike Sauerwald, head of research and knowledge management di Valore D intervenuta durante la 12esima edizione del Salone del Risparmio, definisce un “tubo che perde” man mano che si risale la gerarchia organizzativa. Un’occasione per presentare la ricerca Diversity & inclusion nelle Sgr condotta con Assogestioni, che fotografa gli impegni finora assunti in materia di parità di genere utilizzando l’Inclusion impact index, strumento diagnostico digitale sviluppato in partnership con il Politecnico di Milano.
Guardando all’intera compagine aziendale per genere, nelle società di gestione del risparmio le donne rappresentano il 48,6% a fronte del 51,4% degli uomini. Per il settore dei servizi finanziari nel suo complesso si parla del 48% contro il 52%, con l’assicurativo che fa da traino raggiungendo una piena parità di genere e il bancario che invece vanta il 47,9% di donne contro il 52,1% di uomini. Nelle Sgr, in particolare, la maggior parte delle professioniste sono collocate a livello impiegatizio (56,8% di donne contro il 43,2% di uomini) mentre la loro presenza tende a decrescere man mano che si raggiungono posizioni di leadership: nel caso dei quadri si registra il 41,1% di donne a fronte del 58,9% degli uomini, quota che si riduce al 20,3% contro il 79,7% per i dirigenti.
Quanto ai Consigli di amministrazione, come anticipato in apertura, le Sgr vantano la maggiore percentuale di donne (sebbene ancora contenuta) pari al 26,8%. Il comparto bancario e quello assicurativo raggiungono invece rispettivamente il 26,2% e il 18%. Si tratta tuttavia prevalentemente di consiglieri indipendenti (41,9%), seguiti dai consiglieri con ruoli non-esecutivi (25%) e dai consiglieri con ruoli esecutivi (5,6%). “Un dato interessante è quello relativo alle assunzioni”, spiega Sauerwald. “L’inserimento di donne dirigenti supera la quota di donne dirigenti attualmente presenti, quindi il gender gap nella fascia dirigenziale col tempo si assottiglia. Per le assunzioni a livello di quadro e dirigente prevalgono gli uomini. Tra l’altro, rispetto al totale delle assunzioni degli uomini oltre il 50% si trova nella fascia dei giovani tra i 18 e i 29 anni, mentre le donne vengono assunte maggiormente nella fascia 30-49”. Quanto infine al divario retributivo di genere, si calcola una differenza nella media generale del 34%, ben superiore rispetto al 22,7% delle banche e al 23,2% delle assicurazioni (anche se, precisa Sauerwald, si tratta di un dato calcolato col metodo “unadjusted” che non considera livello di istruzione, esperienza lavorativa e ore di lavoro).
“Il soffitto di cristallo è ancora un dato oggettivo”, interviene Cinzia Tagliabue, presidente del comitato diversity di Assogestioni e ceo di Amundi Sgr. “Ma abbiamo compiuto passi significativi. Le linee guida in materia di diversità e inclusione nelle Sgr, Sicav e Sicaf adottate a settembre 2019 hanno aiutato. Iniziamo a scorgere donne in posizioni apicali che possono influenzare le azioni delle aziende ma anche rappresentare dei role model. Stiamo andando nella direzione giusta ma serve ancora un acceleratore. Speriamo possa essere la Certificazione della parità di genere”. A intervenire a tal proposito in apertura della conferenza anche Elena Bonetti, ministro delle Pari opportunità e la famiglia. “Parlare di sviluppo sostenibile, inclusivo e resiliente significa parlare di uno sviluppo che non lascia indietro nessuno. Con questa logica abbiamo costruito la prima Strategia nazionale della parità di genere, all’interno della quale la certificazione rappresenta sicuramente uno degli strumenti più innovativi. Uno strumento che vuole attivare un processo di riorganizzazione del mondo delle imprese, che sappia mettere a sistema l’energia, i talenti e l’esperienza lavorativa delle donne”. Donne, continua, che sono state costrette a rinunciare alla propria carriera lavorativa per mancanza di servizi, per mancanza di welfare, per un carico familiare lasciato unicamente sulle loro spalle e per pregiudizi più o meno inconsci. “Non basta più denunciare, serve agire con forza e chiarezza”, conclude Bonetti.