Nell’ottobre del 2018 l’ex governatore Jerry Brown aveva approvato una riforma che obbligava le aziende quotate con sede nel Golden State di includere almeno una donna nel proprio Consiglio di amministrazione entro il 2019
Lo scorso aprile la Corte ha annullato anche una legge che richiederebbe alle aziende californiane di includere nel board un numero minimo di appartenenti a minoranze etniche o razziali o Lgbt
La decima edizione del “Report on corporate governance of italian listed companies” della Consob rivela come a fine 2021 si contavano 131 società adeguatesi alla quota di genere dei due quinti introdotta dalla legge Golfo-Mosca
Dietrofront in California sulle quote rosa. Il giudice Maureen Duffy-Lewis della Corte Superiore della Contea di Los Angeles, con una sentenza datata 13 maggio, ha dichiarato incostituzionale la legge che richiede alle aziende quotate di fare spazio alle donne nei board. Negando anche una connessione con un potenziale miglioramento delle performance finanziarie (contrariamente a quanto diversi studi dimostrerebbero). E mettendo in dubbio un’iniziativa di corporate governance che ha conosciuto un vero e proprio slancio negli ultimi anni non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa.
La California era stata pioniera su questo fronte in America. Nell’ottobre del 2018 l’ex governatore Jerry Brown aveva approvato una riforma che obbligava le aziende quotate con sede nel Golden State di includere almeno una donna nel proprio Consiglio di amministrazione entro la fine dell’anno successivo. Dal 2021, invece, le aziende con sei o più amministratori avrebbero dovuto fare spazio ad almeno tre donne (prevedendo anche multe superiori ai 100mila dollari). Ma, stando a quanto risulta al Financial Times, il giudice Duffy-Lewis ha sostenuto che lo Stato non sia riuscito a dimostrare una connessione tra la presenza di donne nel board e il miglioramento delle prestazioni, sottolineando che la ricerca accademica sull’argomento fosse inconcludente.
La vicenda era stata guidata da Judicial Watch, un’organizzazione no-profit conservatrice, per conto di diversi contribuenti californiani. Come dichiarato dal presidente Tom Fitton, si tratterebbe della seconda decisione del tribunale della California sull’incostituzionalità delle quote di genere. “Gli attacchi senza precedenti della sinistra radicale alla legge anti-discriminazioni hanno subito un’altra sconfitta pungente”, ha aggiunto. Come ricordato inoltre dal Corriere della Sera, nel novembre 2019 furono presentate due denunce con l’obiettivo di bloccare la legge sulla diversità di genere nei board (una dalla Pacific Legal Foundation, non profit politicamente libertaria, e un’altra proprio da Judicial Watch). Lo scorso aprile, in aggiunta, la stessa Corte ha annullato una legge che richiederebbe alle aziende californiane di avere un numero minimo di persone appartenenti a minoranze etniche o razziali o Lgbt nel proprio Consiglio di amministrazione.
Eppure, sono diverse le iniziative su questo fronte (non solo negli Stati Uniti). Basti pensare al Nasdaq, che lo scorso anno ha introdotto una nuova politica per rafforzare la diversità di genere e la presenza di minoranze ai vertici delle società quotate, richiedendo l’inclusione di almeno una donna ma anche di almeno un membro che si auto-identifichi come Lgbtq+ nei Consigli di amministrazione. In Italia vige invece la legge Golfo-Mosca che nel 2011 imponeva la presenza del 30% del “sesso meno rappresentato” nei board delle società quotate, poi portato al 40% con la Legge n. 160/2019. Secondo una ricerca Sda Bocconi realizzata in partnership con Valore D, le consigliere sono passate da circa il 7% nel 2011 al 37% nel 2020. E la decima edizione del Report on corporate governance of italian listed companies della Consob rivela come a fine 2021 si contassero 131 società adeguatesi alla quota di genere dei due quinti.