Secondo Intermonte difficilmente il Mef deciderà di cedere la totalità della propria quota in Poste, rinunciando al flusso annuo di dividendi
L’operazione rientrerebbe negli obiettivi indicati nella Nadef per i prossimi tre anni, circa 20 miliardi in termini di incassi da privatizzazioni
Maxi-privatizzazione in vista per Poste Italiane. Stando a quanto risulta a Il Sole 24 Ore, il Tesoro starebbe valutando la cessione della sua partecipazione, pari al 29,26%. Una quota che, al valore attuale di Borsa, corrisponde a circa 3,8 miliardi di euro. Secondo gli analisti di Intermonte è in realtà improbabile che il Mef “decida di cedere la totalità della propria quota in Poste, rinunciando così totalmente al flusso annuo di dividendi (250 milioni di euro nel 2022)”. Ad ogni modo, al momento non è noto se il business della consulenza finanziaria sarà o meno colpito dalla privatizzazione.
L’ultimo report annuale di Magstat ha visto balzare Poste Italiane pb al quarto posto del mercato italiano del private banking e dei family office, preceduta da Fideuram Ispb, Unicredit wm&pb e Banca Generali pb e seguita da FinecoBank. Un risultato rilevante se si considera che si tratta di un servizio avviato solo cinque anni fa. I cinque operatori finanziari coprono complessivamente il 41,3% del mercato, pari a 509,4 miliardi di euro. Tornando a Poste, le masse gestite e amministrate si attestavano sui 562 miliardi a fine 2022. Scorrendo invece l’ultima trimestrale, i ricavi totali dei servizi finanziari ammontavano a 1,4 miliardi nel terzo trimestre del 2023, in calo del 3,1% su base annua. I ricavi dei servizi assicurativi, pari a 371 milioni nello stesso periodo, risultavano in crescita del +6,5% “con una raccolta netta positiva e un tasso di riscatto contenuto, inferiore alla metà del tasso di mercato, in un contesto sfidante”, si legge nella nota. I ricavi netti del comparto assicurativo danni sono invece saliti del 27%, anche grazie a maggiori premi lordi nel business della protezione.
Poste Italiane: cosa potrebbe succedere ora
“Al contrario di quanto avvenuto per la cessione del 25% di Mps (avvenuta lo scorso 20 novembre con un’operazione lampo a un prezzo di 2,92 euro per un controvalore complessivo vicino ai 920 milioni, ndr), crediamo che nel caso di Poste il coinvolgimento del retail sarebbe d’obbligo”, scrivono gli analisti di Intermonte. “Attualmente l’11% del capitale di Poste è detenuto da investitori retail, una buona parte dei quali ha partecipato alla prima tranche di privatizzazione avvenuta nel 2015”. Per Intermonte, l’operazione potrebbe dunque svolgersi tramite Offerte pubbliche di vendita (Opv), ma difficilmente il Tesoro deciderà di cedere la totalità della sua quota. “Riteniamo che possa decidere di vendere una quota rilevante, mantenendo allo stesso tempo una quota di circa il 10% che, sommata al 35% attualmente in mano a Cdp, assicurerebbe comunque un controllo da parte del governo sulla governance societaria”. Un’ipotesi determinata anche dal fatto che attualmente Poste Italiane è il maggiore detentore di debito pubblico italiano, stimato da Intermonte superiore a 130 miliardi di euro di cui circa il 52% nella divisione assicurativa e circa il 48% nella divisione finanziaria.
Intermonte concorda con l’ipotesi del quotidiano economico-finanziario secondo cui le tempistiche dell’Opv potrebbero coincidere con la presentazione del nuovo piano strategico, recentemente annunciata dall’amministratore delegato Matteo Del Fante per il 20 marzo 2024. “La possibile cessione di una quota rilevante della partecipazione del Mef in Poste potrebbe frenare il prezzo del titolo fino a quando non ci saranno maggiori informazioni su tempistiche e modalità”, aggiungono gli analisti di Intermonte. “Riteniamo che l’interesse per il collocamento potrebbe essere elevato considerando il livello di dividend yield atteso e che l’aumento del flottante possa rappresentare un elemento positivo a livello prospettico aumentando il peso negli indici e riducendo il tema del controllo del governo sul titolo”, concludono.