I pir nella loro versione 1.0 avevano raccolto 11 miliardi di euro nel loro anno di debutto (2017), per arrivare a quasi 15 miliardi nel 2018. Nel 2019, l’universo dei pir registra un deflusso di 700 milioni. Nel primo trimestre 2020, i disinvestimenti si attestano a -234 milioni
Per cercare di re-innestare la raccolta di risparmio convogliata nei piani individuali di risparmio, nella primavera del 2020 il governo vara i pir alternativi, noti anche come “3.0”. Si può investire in questi strumenti tramite contratto di risparmio amministrato, Fia, Eltif, Sis, polizze assicurative vita, piattaforme di equity crowdfunding
Il mercato pare gradire: nel secondo trimestre 2020 la raccolta è pari a 59 milioni. Un dato positivo, ma non compensativo dei deflussi pregressi (il saldo del primo semestre 2020 è di -175,5 milioni). Per dare corpo a una tendenza già invertita, il governo punta sul potenziamento degli incentivi fiscali. Ma…
La raccolta dei pir 3.0 porrà fine all’odissea?
Nella loro versione base – rimasta in vigore assieme alla evoluta – i piani individuali di risparmio consentono alle persone fisiche residenti in Italia di non pagare tasse sui primi 30.000 di guadagno, nel limite di 150.000 euro di investimenti. A due condizioni: destinare il 21% del portafoglio a titoli non del Ftse Mib e mantenere gli investimenti in portafoglio per almeno cinque anni. I pir nella loro versione 1.0 avevano raccolto 11 miliardi di euro nel loro anno di debutto (2017), per arrivare a quasi 15 miliardi nel 2018.
Ad interrompere il circolo virtuoso dei pir era intervenuto nel 2019 il governo Lega-Cinque Stelle, con l’introduzione dei pir 2.0, forieri di nuovi vincoli poi rivelatisi paralizzanti per lo strumento (fra cui quello del 3,5% di investimenti nel venture capital. Peccato che a fine 2019, su 18,7 miliardi di euro investiti nei piani individuali di risparmio, erano appena 70 milioni di euro quelli destinati a società non quotate). Nel 2019, l’universo dei pir registra un deflusso di 700 milioni. Nel primo trimestre 2020, i disinvestimenti si attestano a -234 milioni (dati Assogestioni).
Come funzionano i pir alternativi (o pir 3.0, o pir-pmi)
Per cercare di re-innestare la raccolta di risparmio convogliata nei piani individuali di risparmio, nella primavera del 2020 il governo – grazie alla spinta di Assogestioni – vara i pir alternativi, noti anche come “3.0”. L’ultima versione dei pir prevede 300.000 € di investimenti massimi all’anno, per un massimo di 1,5 milioni di euro in cinque anni. Non è ammessa la cointestazione degli investimenti. Ogni singola società o gruppo non può eccedere un quinto (20%) del proprio portafoglio. Si può investire in questi strumenti tramite contratto di risparmio amministrato, Fia (fondi di investimento alternativi), Eltif (European long term investment fund), Sis, polizze di assicurazione vita, piattaforme di equity crowdfunding. Asset investibili sono imprese italiane o europee diverse da quelle presenti negli indici di Borsa Ftse Mib o Ftse Mid Cap ed equivalenti europei. Destinatari delle risorse dei pir sono dunque azioni e obbligazioni di società quotate sui listini Aim (alternative investment market) o Star (segmento titoli ad alti requisiti), oltre che equity, private debt, finanziamenti diretti, crediti e cartolarizzazioni.
Il mercato pare gradire: nel secondo trimestre 2020 la raccolta è pari a 59 milioni. Un dato positivo, ma non compensativo dei deflussi pregressi (il saldo del primo semestre 2020 è di -175,5 milioni). Per dare corpo a una tendenza già invertita, il governo punta sul potenziamento degli incentivi fiscali.
La detassazione degli eventuali 300.000 euro di guadagno non è ancora legge
Gli eventuali guadagni detassabili col decreto Rilancio salgono a 150.000 per passare a 300.000 con quello Agosto (non ancora legge, a differenza del decreto Rilancio). La soglia massima incentivabile è di 1,5 milioni di euro. Secondo molti osservatori, è questo uno dei freni al mancato decollo dei pir alternativi: il timore di ulteriori cambiamenti “in corsa”. I tecnici del Senato paventano le minori entrate fiscali dovute all’aumento della soglia di detassazione. Nel dossier del servizio del Bilancio di Palazzo Madama sul decreto Agosto si legge che il previsto incremento della soglia di esenzione dal prelievo sui capital gain andrà chiarita sotto diversi aspetti. In particolare, i tecnici lamentano un possibile effetto sostituzione tra pir alternativi (chiamati pir-pmi) e pir tradizionali, a detrimento del gettito fiscale.
La parola agli analisti
A detta degli esperti di Equita Sim sui dati della raccolta dei pir pesa ancora un approccio molto prudente e conservativo nelle scelte di investimento da parte della clientela retail. Il motivo è l’incertezza persistente della crisi pandemica. Forse è ancora presto per capire l’andamento dei nuovi prodotti di investimento, e per un vero riscontro bisognerà aspettare i mesi autunnali. “Ci aspettiamo – dicono gli analisti di Equita – che nella seconda parte dell’anno le reti torneranno a intensificare nuovamente gli sforzi commerciali sul prodotto, dato che il nuovo impianto dei pir (i 3.0), in vigore da gennaio 2020, è valido per il rilancio dei prodotti”. Le attese sono comunque positive, dato che Equita si aspetta “un ritorno a una raccolta netta positiva per i pir tradizionali, seppur limitata, dato il contesto di mercato ancora molto incerto”. Del resto i pir alternativi “sono in fase di lancio, quindi non ci aspettiamo flussi significativi nel 2020” quanto piuttosto “un impatto più marcato dal 2021 in avanti”. Infine gli esperti di Equita rivelano di stimare, per quanto riguarda i pir alternativi “una raccolta netta di 2-3 miliardi all’anno” [il governo stima invece una raccolta di 4,5 miliardi nel 2020 e di 5,6 nel 2021, ndr], fino a raggiungere masse in gestione per 210-15 miliardi in cinque anni”.