Il 37% (circa 75 miliardi) delle risorse andrà al green. La quota maggiore andrebbe ad alimentare il superbonus del 110%, ma anche il piano contro il dissesto idrogeologico e la mobilità verde nelle città
Solo il 10% andrebbe alle infrastrutture per la mobilità. Una quota irrisoria, se si pensa ai 100 miliardi necessari per i progetti di alta velocità per il sud, ferrovie, strade, porti, logistica. Altre voci di spesa dovrebbero trovare collocazione in un piano per l’acqua, la depurazione, l’housing sociale
“Il Next generation Eu rappresenta una grande occasione di sviluppo per l’economia italiana. Sfruttarla appieno richiederà uno sforzo notevole di progettazione, implementazione e monitoraggio da parte delle amministrazioni”
Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola sta coordinando già da agosto il lavoro del comitato interministeriale per gli Affari europei (Ciae). I ministeri dovranno lavorare per obiettivi e indicare i costi secondo una sequenza annuale che va dal 2020 al 2026. È necessario ribadire che i fondi del recovery plan non saranno utilizzabili per la riforma del fisco.
Chi è pessimista sul recovery fund è per esempio Bernabè. L’ex ad di Telecom (in un’intervista a MF) afferma che sui fondi europei si stanno creando “troppe aspettative”, perché l’Italia negli anni non ha sviluppato una capacità di effettuare investimenti pubblici. Una ventata di propositività arriva invece da Bankitalia. Fabrizio Balassone, capo del servizio struttura economica, in un’audizione al Senato sulle linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza, afferma che “il Next generation Eu rappresenta una grande occasione di sviluppo per l’economia italiana. Sfruttarla appieno richiederà uno sforzo notevole di progettazione, implementazione e monitoraggio da parte delle amministrazioni”. Certo, “non è un compito facile: le linee guida e i criteri di selezione andranno precisati ulteriormente per essere efficaci nella concreta selezione dei progetti”.
Secondo Bankitalia, “è indispensabile che l’utilizzo del fondo avvenga in una prospettiva di equilibrio di lungo periodo delle finanze pubbliche”. Poiché, “nonostante le favorevoli condizioni finanziarie a cui sono rese disponibili le risorse del programma, l’Italia, terzo paese dell’Unione, sarà chiamata a contribuire significativamente al suo finanziamento, oltre che a restituire i fondi che prenderà in prestito. Anche per questo sarà cruciale garantire un impiego efficiente delle risorse”.
Oltre alla questione di porre in essere scelte efficaci e di evitare gli sprechi, c’è lo scoglio operativo dell’iter burocratico che tradurrà in soldi veri il Next generation fund Eu. L’Italia vorrebbe affrettare i tempi e snellire la procedura di monitoraggio delle spese. La nota di aggiornamento al Def (Nadef) esige risorse certe e pronte. Ma in sede europea il percorso si sta facendo irto di ostacoli. Polonia e Ungheria respingono le condizionalità legate al rispetto dello Stato di diritto. Come se non bastasse, parrebbe che i paesi “frugali” (Olanda, Finlandia, Danimarca, Austria) stiano cercando di rallentare le operazioni concludenti di trasferimento dei fondi. L’Italia invece fa pressione su Bruxelles per cercare di velocizzare l’esborso dei fondi. La partita si gioca sul terreno della governance del fondo europeo di ripresa. E l’Ecofin (il consiglio dei ministri delle finanze dell’Ue) di martedì 6 ottobre si preannuncia battagliero.