Gli effetti della guerra commerciale sulle imprese italiane sono ancora limitati. Ma dallo scontro Trump-Biden del prossimo autunno potrebbero emergere nuove tensioni e opportunità
Nel 2019 l’amministrazione repubblicana impose l’innalzamento dei dazi dal 10 al 25% su 200 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina
Le nostre aziende potrebbero rispondere alla crescente domanda nei settori della moda, del design ma anche dei prodotti ad alto contenuto tecnologico e specialistico
Sulla stessa linea d’onda anche Antonino Laspina, direttore di Ice New York, secondo il quale i prodotti oggetto della contrapposizione tra i due paesi sono scarsamente sostituibili con quelli made in Italy e il riassestamento delle catene globali del valore avviene di solito su una scala temporale non immediata. Tuttavia, le possibili conseguenze della trade diversion “lasciano la possibilità di ipotizzare segmenti di opportunità per le nostre aziende, in grado di rispondere a esigenze manifatturiere con soluzioni tecnologiche e qualitative molto competitive che possono anche incontrare con successo i trend che stanno disegnando una nuova fisionomia della domanda in settori quali la moda, il design, ma anche prodotti ad alto contenuto tecnologico e specialistico”. Qualora, inoltre, si faccia sempre più strada una cultura del green, sostenuta con forza da Joe Biden, “è lecito pensare che i beni cinesi possano, anche a seguito dei dazi, essere sostituiti con prodotti italiani nelle fasce più alte dei consumatori statunitensi”, spiega Laspina.
Considerando poi l’appuntamento di quest’autunno, si aprono due scenari possibili. Tenendo conto delle dichiarazioni rese nel corso della campagna elettorale dai due leader in corsa per la Casa Bianca, secondo Caselli un’eventuale vittoria di Biden risulta essere più vicina a una logica di libero scambio e alle raccomandazioni della World trade organization, l’organizzazione mondiale del commercio. Una situazione da cui le imprese italiane potrebbero trarre un vantaggio, in particolare quelle con una forte vocazione all’export. “Nella logica di una vittoria di Trump, invece, salvo sorprese cui il presidente americano ci ha abituato negli ultimi quattro anni, mi aspetto uno scenario un po’ meno favorevole al libero commercio mondiale, vale a dire una presidenza americana rafforzata e una logica di scontro più forte con la Cina”, continua Caselli.
In questo contesto, di conseguenza, l’inasprimento dei dazi e delle barriere commerciali potrebbe incidere in modo particolare sui settori più “made in Italy” ed “export-oriented”, tra cui abbigliamento, arredo, food e winery. Al contrario, l’impatto sui settori strategici come la difesa, i trasporti e le telecomunicazioni, “è un po’ più difficile da definire perché, giocando la partita con negoziazioni paese-paese, dipende dagli accordi strategici stipulati con gli Stati Uniti”, aggiunge il prorettore. Senza considerare poi l’impatto potenziale della pandemia. “C’è un elemento che rappresenta il grande incomodo, l’invitato silente: tutto questo vale a meno che non parta la recessione negli Stati Uniti”, spiega Caselli. Poi conclude: “In tal caso, inevitabilmente anche Trump, che non ha mai fatto i conti con una situazione simile, si troverebbe a dover attuare delle politiche un po’ meno protezionistiche e un po’ più orientate al libero scambio. Tutto nella speranza di dare sostegno rapidamente al prodotto interno lordo americano”.