Il 42% degli italiani è disposto a modificare il proprio portafoglio o a considerare nuovi strumenti finanziari per supportare la ripresa
Il 35% è positivo sul livello di sostegno ottenuto durante la pandemia
Il 35% degli investitori “fai da te” ha sentito la mancanza di una consulenza professionale
In questo contesto, il 35% di coloro che si rivolgono a un consulente finanziario è positivo sul livello di sostegno ottenuto durante la pandemia, mentre il 25% dichiara di aver dovuto stimolare il supporto desiderato. Un supporto di cui hanno sentito la mancanza anche gli italiani che normalmente gestiscono gli investimenti in autonomia, pari al 35% del campione.
A chi si rivolgono gli italiani?
Per ottenere una consulenza il 46% degli italiani si rivolge alle banche e il 42% ai consulenti finanziari indipendenti, contro una media europea rispettivamente del 43% e del 40%. In Asia, invece, gli investitori tendono principalmente ad affidarsi ai consigli di amici e familiari (38%), mentre in Europa la percentuale scende al 24%. Se si considerano le differenze generazionali, gli italiani over 71 sono più propensi a fare affidamento alle proprie conoscenze (58%) rispetto ai millennial (26%). Inoltre, gli investitori “esperti” o “avanzati” tendono a privilegiare “un più solido mix di professionisti”, si legge nel report, e sono meno “propensi a svolgere ricerche in autonomia e a consultare un amico o un membro della famiglia”.
Formazione finanziaria: un impegno individuale
Ma se per la consulenza gli italiani si rivolgono agli esperti, quando si parla di formazione in materia di questioni finanziarie personali l’ago della bilancia sembra ribaltarsi. Il 68% dei consumatori ritiene che dovrebbe trattarsi di un impegno individuale, mentre il 62% sostiene che la responsabilità spetti alle società finanziarie. Lo stesso vale per le conoscenze finanziarie generali, con il 72% che ritiene di essere personalmente responsabile della propria formazione. Infatti, anche se il 51% dichiara che il sistema formativo e scolastico dovrebbe “essere responsabile di divulgare una conoscenza finanziaria – continuano i ricercatori – solo il 40% attinge realmente a tale fonte”, e lo stesso vale per il governo o ente regolatore (46% contro il 35%). In controtendenza i millennial, che nel 47% dei casi ritengono responsabili i datori di lavoro, quasi tre volte in più rispetto agli over 71 (15%).
Una consulenza in prossimità della pensione
L’indagine, ha rivelato inoltre che il 34% degli intervistati a livello globale dichiara che chiederebbe una consulenza professionale in prossimità della pensione, mentre il 33% lo farebbe in caso di eredità o in occasione di un acquisto importante, come una nuova auto o una seconda proprietà ai fini di investimento. I millennial, invece, sono due volte più propensi ad affidarsi a un consulente finanziario in caso di eredità rispetto ai non-millennial, e lo stesso vale per la nascita di un figlio.
Atteso un rendimento annuo del 7,9% entro il 2025
Nonostante il sostegno dei consulenti finanziari, durante la pandemia risulta significativa la percentuale di investitori che hanno preferito correre ai ripari: il 22% ha riallocato una parte significativa del portafoglio su investimenti con rischio inferiore, anche se si tratta di una percentuale più bassa rispetto alla media globale (28%) ed europea (25%). Ma tra febbraio e marzo c’è anche chi ha deciso di non modificare il proprio portafoglio (32%) e chi ne ha approfittato per volgere lo sguardo verso investimenti più rischiosi (9%). I millennial, in questo contesto, sono considerati i più reattivi e meno pazienti: solo il 21% è rimasto inerme, contro il 44% degli over 37.
“Non si può negare l’evidenza che l’impatto del covid-19 sulle economie e i mercati, ma anche in altri ambiti, sarà probabilmente consistente nei prossimi anni – spiega Rupert Rucker, head of income solutions di Schroders – La pandemia è considerata da molti come un caso emblematico di cigno nero, ma oggi più che mai è necessario rimanere ancorati ai nostri principi di investimento”. Secondo Rucker, “occorre guardare al di là del frastuono e focalizzarsi sul mantenere un equilibrio negli investimenti sul lungo periodo”. Ma attenzione. Diversi fattori potrebbero minare la fiducia nelle società di investimento, tra cui l’inattendibilità delle informazioni fornite e la scarsa sicurezza informativa (64%) ma anche un’insufficiente comunicazione sul possibile impatto dello shock pandemico sugli investimenti (54%).