Nel 2020 a livello aggregato sono stati venduti 38 miliardi di euro di prestiti in sofferenza, comportando un calo del 33% dell’esposizione del settore agli npl
Il 30 giugno 2021 andrà in scadenza la moratoria sui prestiti. Le posizioni interessate ammontano a 2,9 milioni, per un totale di 300 miliardi di euro, il 17% dei prestiti totali del sistema
Ci sono molte ragioni per ipotizzare un consolidamento del sistema: se Monte Paschi venisse acquistata da Unicredit e Bper da Bpm, i primi tre gruppi bancari rappresenterebbero il 50% del sistema bancario italiano
Crediti deteriorati in calo
È quanto emerge dal report Italian banks resilient in 2020 but not out of the woods di Scoperatings, agenzia di rating leader a livello europeo. Le esposizioni deteriorate nette (NPE) sono diminuite di oltre il 33% dato che prende in considerazione i nove principali gruppi bancari italiani, con una copertura dei crediti deteriorati sostanzialmente stabile su base annua al 53%. A livello aggregato sono stati venduti 38 miliardi di euro di prestiti in sofferenza nel 2020, con Monte Paschi, Intesa e Unicredit che contano per metà delle transazioni totali. I progressi più vistosi li ha registrati Monte Paschi, la quale ha concluso con Amco un jumbo-deal per circa 8 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi, riducendo la sua esposizione del 66%. Anche Intesa, a seguito della fusione con Ubi, ha diminuito la sua esposizione con ora il rapporto di crediti deteriorati lordi pro forma è al 4,4%, al di sotto della previsione del 5% dell’Autorità bancaria europea. Dopo molti anni, BP Sondrio, BPER e Creval sono riusciti finalmente a riportare i loro rapporti lordi NPE alla media nazionale. Infine anche UniCredit, Banco BPM, Credem e Mediobanca hanno ridotto, seppur in misura minore, la loro esposizione (10% -20%).
La sfida della redditività
Anche prima della crisi del Covid-19, la sfida per molte banche italiane era quella di generare una redditività adeguata. Oggi lo è ancora di più. Scoperatings stima che in media, considerando il costo del capitale, gli istituti bancari italiani siano stati distruttrici di valore da più di dieci anni a questa parte. La causa è principale è stata che sulla scia delle grandi crisi finanziarie e sovrane, contro le quali hanno dovuto contabilizzare ingenti accantonamenti, è seguito un importante accumulo di npe. Ma vi sono anche altri motivi condivisi anche con le altre banche europee: requisiti di capitale più elevati, un aumento dei costi di regolamentazione e bassi tassi di interesse a causa della posizione di politica monetaria della Bce. In un simile contesto, le poche banche che hanno riportato rendimenti superiori alla media sono state quelle con modelli di business diversificati che abbracciano attività a pagamento, come Intesa e Mediobanca, o player di nicchia. Nel 2020, i ricavi delle banche italiane hanno subito un ulteriore colpo a causa della debole attività dei clienti, del basso reddito da negoziazione e della riduzione dei dividendi da investimenti azionari. La componente più resiliente dei ricavi è stata il reddito da interessi. Il calo in questo caso è stato attenuato dal supporto delle Tltro a prezzi attraenti e dagli elevati volumi di prestito.
Le ragioni per credere nel consolidamento
Infine il settore bancario italiano rimane uno dei più frammentati nell’Unione europea. Alla fine del 2019, c’erano ancora 485 banche diverse che operavano in tutto il paese, secondo i dati della Banca d’Italia. A livello teorico la ragione per credere che il 2021 sarà all’insegna del consolidamento è che spesso le recessioni sono foriere di operazione straordinarie, dato che le entità più deboli subiscono il deterioramento della qualità degli attivi e l’erosione del capitale e sono costrette a combinarsi con attori più forti che hanno più forza finanziaria per resistere alle perdite. Scoperatings tuttavia si aspetta che il consolidamento possa avvenire anche tra banche con fondamentali solidi, come è stato per Intesa-Ubi. In un contesto di redditività strutturalmente sfidata, le unioni possono portare vantaggi significativi, tra cui:
- Sinergie di entrate derivanti da una maggiore vendita incrociata di servizi e prodotti e da un aumento del potere di determinazione dei prezzi derivante da guadagni di quota di mercato.
- Sinergie di costo da economie di scala rispetto ai costi centrali e reti di filiali densamente sovrapposte.
- Aumento progressivo degli investimenti digitali, che è fondamentale per la sostenibilità dell’attività bancaria e può dare un vantaggio competitivo
A parte questi driver del settore, ci sono considerazioni finanziarie che aumentano materialmente le probabilità di più accordi in Italia:
- L’approccio di vigilanza al consolidamento è considerato più favorevole rispetto al passato. Nel gennaio 2021, la BCE ha pubblicato la sua guida sulla vigilanza in materia di consolidamento, attenuando le preoccupazioni circa il potenziale aumento dei requisiti patrimoniali per le banche sottoposte a fusioni e acquisizioni
- La legge di bilancio 2021 ha introdotto un incentivo fiscale che consente alle società coinvolte di convertire le imposte differite attive (in e fuori bilancio) in crediti d’imposta fino al 2% del valore contabile delle attività coinvolte.
- Infine, a seguito delle limitazioni nei pagamenti dei dividendi nel 2020 e nel 2021, le banche più forti hanno accumulato un capitale in eccesso che potrebbe essere utilizzato nelle fusioni. In questo contesto, le basse valutazioni delle azioni bancarie contribuiscono a rendere finanziariamente sostenibili le acquisizioni.
Per Scoperatings, l’opportunità per i poli bancari più grandi come Unicredit e Bpm, è rappresentata da Monte dei Paschi, che il governo italiano dovrà riprivatizzare entro la fine del 2021. Se Monte dei Paschi dovesse essere acquisita da Unicredit e Bper da Bpm, come si vocifera, circa il 50% del mercato sarà concentrato nelle mani di tre gruppi bancari (un ulteriore 15% è rappresentato da CDP).