La vocazione del territorio di Montalcino a produrre vini di grande qualità era conosciuta da oltre duemila anni. Montalcino godeva di un’ampia notorietà tra gli estimatori del buon vino per un vino bianco piuttosto dolce, il Moscadello (moscato bianco), noto già al tempo dell’impero romano e la cui fortuna e fama aumentano con l’affermazione della signoria dei Medici. Francesco I, per motivi diplomatici, ne inviò varie partite alla Regina Elisabetta d’Inghilterra e Cosimo III fece altrettanto con la Regina Anna e con le dame favorite di Re Carlo II. La coltivazione della vite e la produzione di vino a Montalcino sono favoriti dalle caratteristiche morfologiche, geologiche e climatiche, ma anche perché da Montalcino passava la via Cassia, che portava a Roma e il buon vino era una preziosa derrata da vendere ai viaggiatori.
Ma la vera storia del Brunello di Montalcino inizia con la famiglia Biondi Santi, in particolare con Clemente Santi con approccio scientifico impiantò vitigni selezionati nella tenuta di famiglia, il Greppo, dove sperimentò anche nuovi metodi di vinificazione. Il suo vino ebbe successo tanto che il vino rosso “Brunello” 1865, della Tenuta Il Greppo (è la prima volta che compare il nome Brunello) vince un prestigioso premio alla Esposizione universale di Parigi del 1867. Per quello che conosciamo oggi come Brunello bisogna tuttavia aspettare Ferruccio Biondi-Santi, figlio di Caterina Santi (figlia di Clemente) e del medico fiorentino Jacopo Biondi, che seleziona un clone particolare di Sangiovese, le cui uve vinificate in purezza danno inizio, con l’annata 1888, al Brunello di Montalcino propriamente detto. Alla tenuta Il Greppo sono ancora custodite due bottiglie del 1888.
Ferruccio Biondi Santi decide di selezionare il Sangiovese Grosso per i suoi vini ed iniziò esperimenti in vigna e in cantina dimostrando che il Sangiovese Grosso poteva essere utilizzate da solo per un vino dal lungo invecchiamento, limitando le rese per ottenere uve più ricche e selezionando solo i grappoli migliori per le riserve, approccio poco comprensibile a quel tempo. Lasciando a lungo il vino a contatto delle bucce durante la fermentazione fa un vino per l’epoca innovativo, ricco di tannini e con un elevato grado di acidità, destinato all’invecchiamento.
Il figlio di Ferruccio, Tancredi, fonda nel 1926 a Montalcino la cantina cooperativa “Biondi Santi & C. Cantina Sociale”, cercando di fare proseliti tra i proprietari della zona esortandoli a piantare vitigni di Sangiovese Grosso (Brunello) ed unirsi a lui. A Tancredi capitano la fillossera, la Grande Depressione del 1929 e la Seconda Guerra Mondiale, ma continua a produrre un Brunello che si afferma nel mondo. Il Brunello di Montalcino Riserva 1955 è ancora considerato uno dei grandi vini del secolo. Nel 1970 Tancredi Biondi Santi fa quello che già facevano i grandi vini francesi e officia la cerimonia della ricolmatura delle vecchie annate per i millesimi 1888, 1891, 1925 e 1945 insieme al figlio Franco, al notaio Nanni Guiso, Mario Soldati e Luigi Veronelli.
C’è un’altra figura importante nella storia di Montalcino che vale la pena di ricordare: Giovanni Colombini, proprietario della Fattoria dei Barbi. Nel 1936 divenne Podestà di Montalcino e fece restaurare la Fortezza, l’Abbazia di Sant’Antimo, la chiesa di Sant’Agostino e il Palazzo Comunale. Fu il pioniere della vendita diretta portando i prodotti agricoli sulla tavola del cliente e vendendo il Brunello per corrispondenza facendo conoscere il Brunello nel mondo e aprendo tutti i principali mercati. Fu il primo in Italia a credere nel turismo del vino e ad aprire la sua cantina ai visitatori nel 1960. Era convinto che solo con una produzione grande fosse possibile promuovere nel mondo i prodotti di qualità. E nel 1968 raggiunse l’obiettivo delle 100.000 bottiglie di Brunello prodotte, un numero significativo a quel tempo.
- Anzitutto fu abolita la mezzadria: questo indebolì i proprietari tradizionali e solo pochi riescirono a riconvertirsi. Tra questi a Montalcino la famiglia Biondi Santi e la famiglia Colombini, ma molti però dovettero chiudere.
- Poi ci fu un evento locale, ma devastante per Montalcino; nel 1964 venne aperta l’Autostrada del Sole, e all’improvviso da Montalcino non passò più nessuno. Il paese perse improvvisamente quei milioni di transiti all’anno su cui aveva prosperato. Per dare l’idea della crisi; in dieci anni il Comune perse il 70% della popolazione. Un territorio che era stato sempre ricco divenne in pochi anni povero e trascurato.
- Il terzo evento, questo positivo, nel 1966 al Brunello di Montalcino viene concessa la DOC e l’anno dopo nel 1967 viene costituito il Consorzio di tutela. Il Disciplinare del Brunello è da subito molto severo, un disciplinare da grande vino che tra le altre cose prevede l’obbligo di un lungo invecchiamento in botte, quattro anni, prima di passare in bottiglia. Se lo si voleva mettere in commercio prima, non si aveva il diritto di chiamarlo Brunello. Si apriva la strada a quello che oggi è il Rosso di Montalcino.
Per la cronaca, nel 1967 meno di 70 ettari erano dedicati alla produzione di Brunello di Montalcino. Un ettaro costava 1 milione e 800mila lire (che attualizzati diventano circa 17,000 euro). Oggi ci vogliono da 750.000 euro ad 1 milione. Una rivalutazione reale di circa 50 volte in poco più di 50 anni. Caspita!
Quindi riassumendo alla fine degli anni 60 ci sono evidenti segnali di crisi. Ma le crisi spesso portano opportunità. In questo caso opportunità di investimento in una zona che ha prezzi bassi, consente la produzione di vini con reputazione di essere di alta gamma ed è obiettivamente meravigliosa.
Quanto alla dinastia Biondi Santi: una menzione speciale la merita Franco Biondi Santi. Sin dagli anni ‘50 affianca il padre Tancredi nella produzione di Brunello di Montalcino. Diventa l’uomo mito del Brunello e, in generale, del vino italiano per la qualità estrema dei suoi vini e per le battaglie a difesa dell’identità del Brunello. Franco è un filosofo del vino, un sognatore, un eccezionale agronomo ed enologo. È un personaggio conosciuto in tutto il mondo come il gentleman del Brunello per il suo stile inconfondibile e la cultura che si riflettono nei suoi vini. La prima vendemmia di Franco Biondi Santi è il 1970, che, per chi ha avuto la fortuna di berlo di recente, è ancora un grande vino. I Brunelli di Franco hanno eccezionali caratteristiche organolettiche e portano una firma inconfondibile. Sono Brunelli incredibilmente longevi e buoni.
Fino agli anni ’70, quindi, la storia del Brunello di Montalcino si identifica con la famiglia Biondi Santi e, anche per le sue capacità commerciali, con la famiglia Colombini della Fattoria dei Barbi.
Negli anni 70, la produzione del Brunello compie un passo in avanti. Cominciano ad arrivare nuovi imprenditori, anche grazie ai prezzi relativamente bassi dei terreni, il blasone del vino e la bellezza del territorio, ed è un flusso che non si ferma, come l’acquisto nel 1972 dell’azienda agricola Case Basse da parte di Gianfranco Soldera, che comincia a produrre un grande vino portando idee e approcci nuovi.
Ma alla fine degli anni 70, precisamente nel 1978, a Montalcino succede qualcosa di nuovo, una vera e propria svolta. Due italo-americani, John ed Harry Mariani, si innamorano di Montalcino, ed iniziano il progetto Castello Banfi. Acquistano 2.850 ettari, 850 dei quali dedicati a vigneto, 25.000 mq di cantina e nel dicembre del 1983 acquistano il Castello di Poggio alle Mura, che diventerà simbolo dei vini Banfi nel mondo. L’azienda Castello Banfi che viene guidata e portata al successo da Ezio Rivella, grande sia come enologo che come manager, porta una svolta su cui vale la pena di riflettere. Per quanto John e Harry fossero venuti a Montalcino per produrre Moscadello, producono anche un Brunello di ottima qualità e da una parte danno un contributo importante a consolidare la presenza del Brunello sul mercato americano, ma dall’altra soprattutto introducono a Montalcino uno stile imprenditoriale nuovo. Castello Banfi svolge un ruolo importante per esempio anche nell’enoturismo. Nel Castello arrivano ogni anno decine di migliaia di turisti del vino. E a Montalcino questa nuova mentalità di pensare in grande trova un terreno fertile anche perché il tipo di imprenditore presente a Montalcino, di base più che un agricoltore è un commerciante.
Il Brunello di Montalcino, vino esportato in tutto il mondo, si afferma come vino di alta gamma prodotto da una certa quantità di produttori.
Nel 1980, il 1° luglio, al Brunello di Montalcino viene concessa la DOCG. Il Brunello di Montalcino fu così il primo vino italiano ad ottenere la DOCG, superando di poco anche il Barolo e il Barbaresco, che la ottengono subito dopo. Il disciplinare subisce alcune modifiche, semmai restrittive rispetto al precedente. Negli anni ‘80 nel giro di pochi anni nuove aziende si aggiungono a quelle che già operano sul mercato e oltre ad imprenditori italiani arrivano anche imprenditori stranieri.
Castello Banfi è stata la prima società straniera a investire capitali importanti a Montalcino ma nel corso dei decenni arrivano svizzeri, tedeschi, inglesi, argentini, panamensi e brasiliani. Molti vigneti soprattutto a partire dagli anni 90 vengono riconvertiti e le cantine rimodernate.
Il Brunello di Montalcino rappresenta il primo vino rosso italiano di alta qualità e alto prezzo venduto in milioni di bottiglie su tutti i mercati del mondo. È stato il primo vino “varietale” italiano ad essere accettato nel mondo dell’alta qualità. Fino ad allora c’era il monopolio delle grandi uve francesi (Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Nero e Chardonnay).
L’Italia per la verità aveva già avuto vini di successo internazionale come Tignanello, Sassicaia o Monfortino. Ma si trattava di un successo legato al singolo vino e alla singola azienda e non alla zona di provenienza.
Con il Brunello di Montalcino parliamo di “produzione di massa” di vino di fascia alta. Nessuno in Italia aveva mai prodotto prima così tante bottiglie di vino di alto prezzo. Il Brunello di Montalcino ha creato un intero segmento del mercato mondiale del vino, un segmento che prima non esisteva.
Molto si deve ad una “fertilità imprenditoriale” senza pari: dal 1975 al 2000 sono nate da cinque a dieci nuove cantine all’anno dalle provenienze più disparate, che si sono da subito dotate di tutto ciò che c’era di più moderno nel campo dell’enologia. E ogni nuova struttura spostava l’asticella della qualità un pochino più in alto. Quasi tutti i migliori enologi hanno lavorato a Montalcino, e questo ha innescato competizione ed interesse nei media. Sono salite alla ribalta nuove aziende, altre si sono confermate nella qualità. Tra queste, con il rischio di dimenticarne qualcuna, Biondi Santi Tenuta Greppo, Fattoria dei Barbi, Castello Banfi, Case Basse, Castelgiocondo, Pian delle Vigne, Argiano, Poggio Antico, Poggio di Sotto, Altesino, Il Poggiolo, San Felice, Campogiovanni, Caparzo, Mastrojanni , Conti Costanti, Siro Pacenti, Casanova di Neri, Ciacci Piccolomini d’Aragona, Lisini, Fanti, Valdicava, Uccelliera, Terralsole, Livio Sassetti Pertimali, La Togata, La Serena e Collesorbo.
Il Brunello di Montalcino è partito come la visione di una famiglia, la famiglia Biondi Santi, ma dagli anni 70 non ha più avuto un’azienda leader anche perché da allora, nessuno ha superato stabilmente il 10% del Brunello venduto.
Montalcino, e questa è la sua forza, ha saputo arricchirsi accogliendo tanti nuovi contributi venuti da ogni parte del mondo, ma mantenendo sempre la propria identità. Montalcino ha ormai tanti grandi protagonisti, e se ne aggiunge sempre qualcuno di nuovo.