E fino a che punto spinge nel far prevalere le emozioni a discapito
della razionalità? Se si parla di passione per l’arte, la risposta è semplice: un punto non esiste.
Breve evoluzione del collezionismo
La storia ne è testimone. Fin dall’antichità, la pratica di raccogliere oggetti dal valore artistico è uso comune, a prescindere dalla cultura di appartenenza. Nel Rinascimento, in Italia, collezionismo rima con mecenatismo. E così le più importanti signorie e famiglie utilizzano l’arte per dimostrare di “meritare” il proprio potere, proteggendo artisti e intellettuali che con il loro genio rivoluzioneranno per sempre l’arte e le sue innumerevoli forme.
Dallo studiolo rinascimentale, luogo di ritiro per il principe intellettuale, la pratica del collezionismo si disciplina maggiormente, fino alle Wunderkammer diffuse nel Nord Europa, piccoli cabinet contenenti le più varie rarità del mondo, preziosità raccolte con estrema passione e assoluta dedizione dai curiosi proprietari: pietre preziose, minerali, strumenti, invenzioni meccaniche, reperti archeologici, monete e altre mirabilia.
A partire dalla rivoluzione industriale, al collezionismo si affaccia un’intera nuova categoria sociale: la borghesia. Nello stesso periodo, gli artisti si ribellano alle ormai desuete dinamiche della committenza per dedicarsi a nuovi temi e soggetti nati da riflessioni personali, pieni di significato, che reclamano una voce, un punto di vista unico sulle vicende del tempo. È quindi nel tardo Ottocento che si incrociano un eccesso di offerta – l’artista crea “in anticipo”, senza aspettare la singola commessa – e un eccesso di domanda. E collezionare oggetti dal valore artistico diventa quasi “di moda”.
Passione e (ir)razionalità
Appare quindi chiaro come la pratica del collezionare evolva insieme al collezionista stesso, man mano che l’arte va a perdere il suo carattere elitario (sia per ragioni culturali che economiche) per trasformarsi in un’attività democratica e accessibile a molti. Ciò che però non viene meno, nel corso dei secoli, è la passione del collezionista. Passione che, secondo lo storico dell’arte Francesco Poli, può a volte sfociare nell’irrazionale, diventando “un’attrazione quasi patologica per il collezionare, in quanto attività soddisfacente di per se stessa”, o che coinvolge quei “collezionisti privi di preparazione culturale e di esperienza pratica del mercato, i quali infiammati dall’entusiasmo e dalla vanità, si illudono di potersi basare solo sul proprio gusto intuitivo”. Diverso è, invece, il collezionista “razionale , che considera coscientemente l’attività collezionistica non tanto come un fine quanto piuttosto come un mezzo per acquisire prestigio sociale, come una fonte di possibili guadagni o come uno strumento per contribuire allo sviluppo della cultura artistica”.
Comportamento e collezionismo
Passione quindi, che influenza e modella un comportamento umano. Qual è la tassonomia del collezionista d’arte? Anzitutto, si distinguono il collezionista “puro” (affascinato dall’esperienza estetica a meno sensibile al rischio) e lo “speculatore” che compra e vende arte seguendo le dinamiche di mercato). Vi sono poi altre motivazioni (estetiche, sociali, di investimento) che creano diverse figure di collezionista. Così, per esempio, si hanno il super-collezionista che è reticente alla vendita, anche in momenti di necessità, il “flipper”, mal disposto a sborsare somme da capogiro, il quale rivende in fretta indipendentemente dallo stato del mercato, oppure l’investitore opportunista, dal gusto estetico nella norma, disposto a spendere più del flipper ma meno del super-collezionista, attento a rivendere l’opera solamente in momenti favorevoli se non in casi di assoluta necessità.
Motivazioni per collezionare
Ma quali sono le ragioni che spingono il collezionista? Giunto alla sua sesta edizione, l’Art & Finance Report 2019 di Deloitte & ArtTactic delinea le principali motivazioni alla pratica del collezionismo, coinvolgendo un campione composto da circa 100 collezionisti.
In testa la componente emozionale (importante per l’85% degli intervistati), seguita dalla capacità dell’opera d’arte di diversificare il portafoglio d’investimento (52%) e di generare un ritorno economico (51%), passando per il valore sociale/status che l’arte e la cultura trasferiscono al proprietario (49%), il prestigio acquisito grazie al possesso di un bene di lusso (35%), la possibilità per l’arte di essere un bene rifugio (34%) e di proteggere contro il rischio d’inflazione (28%). Quello che emerge dai dati raccolti nel corso delle diverse edizioni del Report è una chiara tendenza verso la crescente importanza della componente finanziaria e di investimento nella pratica del collezionismo, fattore che contribuisce allo sviluppo del settore finanziario legato all’arte. Ma, anche, verso una perdita della componente elitaria del collezionare, testimoniata dalla preferenza per valori personali (piacere estetico, felicità individuale, ecc.) a discapito di valori sociali (come si è percepiti dall’esterno).
Identikit del collezionista nel mondo
Chi è il collezionista? È possibile individuarne l’identità incrociando le diverse aree geografiche, età, genere, preferenze artistiche, disponibilità finanziaria e altre caratteristiche. Una delle ricerche che si occupa di fotografare l’identikit dei collezionisti è l’annuale Art Collectors Survey di Arts Economics e UBS, parte del più ampio The Art Market Report. Nell’edizione 2020 si scopre che il tipico collezionista è per lo più uomo (63% rispetto al 37% delle donne), millennial (circa metà del campione composto da più di 1.300 collezionisti hnw), e con una disponibilità finanziaria superiore ai 10 milioni in dollari (il 50% degli intervistati.
Vi sono poi picchi del 26% della popolazione hnwi con patrimoni personali maggiori di 50 milioni di dollari tra i collezionisti di Taiwan). Anche le caratteristiche psicologiche dei collezionisti contano. In particolare il collezionista risulta aperto mentalmente e scarsamente amicale. Una persona finanziariamente di successo, “indipendente e curiosa, che dà importanza all’aspetto estetico ed esperenziale del collezionare così come al potenziale ritorno economico”.
Il collezionista in Italia
Il collezionista italiano è maschio (2/3 dei casi) con un’età media poco al di sopra dei 58 anni, residente per lo più nel nord Italia (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), con un livello di istruzione elevato e ritrovabile tra imprenditori, liberi professionisti o dirigenti d’azienda. I dati sono della ricerca Collezionisti e valore dell’arte in Italia di Intesa Sanpaolo Private Banking & Miart (ottobre 2020), su un campione di quasi 180 partecipanti. A spingere il collezionista del Belpaese sono principalmente ragioni emotive e personali, la volontà di condividere la propria passione con una comunità e il desiderio di supportare il sistema dell’arte unitamente al desiderio di raccogliere per poi donare a un museo. Un terzo del campione esprime poi almeno una giustificazione economico-finanziaria, con potenziale di rivalutazione del lavoro in primis, ma anche opportunità di conservazione del capitale e liquidabilità dell’opera.