In pochi, anzi pochissimi, camminando tra le vie del centro di Milano fanno caso alla sua storia millenaria. Milano città di business, Milano dai soldi facili, “Milano da bere” come riecheggiava un vecchio slogan di successo degli anni ’80. Eppure sotto la sua coltre di cemento e smog, esiste una città d’arte, di storia e di cultura di straordinaria bellezza. Una Milano magica da scoprire.
Sì perchè tra le strade dello shopping e del buon mangiare, appena dietro al Duomo, incastonato tra Via Spadari e Via Armorari le antiche contrade dove si compravano e costruivano armi nel Rinascimento, sorge
un luogo straordinario, ricco di tesori e segreti, gelosamente custoditi per secoli e quasi del tutto sconosciuti agli stessi milanesi. Alla fine del XVI secolo queste vie della città che oggi percorriamo senza badarci più di tanto, erano
un brulicare di nobili e commercianti, che furono colpiti dalla peggiore piaga dell’epoca ovvero l’epidemia di peste, raccontata sapientemente dal Manzoni e che fece centinaia di migliaia di vittime. Qualcuno dice che le nostre cellule abbiamo una loro memoria ancestrale, ed è forse per quello che ancor oggi in pieno incubo lockdown, siamo così terrorizzati dal virus. Chissà.
Tornando invece alla nostra storia, fu proprio in questo luogo e nel bel mezzo di quel contesto complicato che il Cardinale Federico Borromeo ebbe l’intuizione geniale di costituire un centro straordinario di cultura, dove fosse possibile alimentare lo sviluppo delle arti e delle scienze. Un po’ come aveva fatto alla fine del quattrocento il duca Ludovico il Moro, quando aveva portato a Milano il grande Leonardo Da Vinci. Ed il Genio Fiorentino ebbe il privilegio di lavorare proprio in alcune sale dell’edificio nel quale il Cardinale fondò un secolo più tardi la Biblioteca e a seguire la Pinacoteca Ambrosiana. Federico Borromeo, che poteva contare sull’immagine straordinaria costruita intorno alla sua famiglia dal cugino, il celebre San Carlo, fece di più, inviando decine di delegati nelle città più importanti dell’epoca alla ricerca di tesori strepitosi.
Passarono in rassegna Italia, Olanda, Svizzera, Germania, Spagna e Grecia. Andarono anche fuori Europa, fino in Siria e nei paesi del Medio Oriente alla ricerca dei libri più preziosi e dei manoscritti più rari. Quando iniziò a costruire la biblioteca nel 1603, Il cardinale aveva già selezionato oltre 15.000 manoscritti e più di 30.000 libri stampati, insieme a numerosi disegni e quadri dei più grandi maestri, parte della sua stessa collezione. Li donò tutti all’Ambrosiana nel 1618.
Fu soprannominata ben presto la Biblioteca delle Meraviglie anche perché fu una delle prime al mondo a essere aperta al pubblico. Divenne un centro di studio e di cultura, affiancata da altre importanti istituzioni come il Collegio dei Dottori, l’Accademia di Belle Arti e la già citata Pinacoteca. Nel 1625 fu acquistato per l’Accademia il bozzetto a grandezza originale de “La Scuola di Atene” di Raffaello, disegnato per l’affresco della Stanza della Segnatura in Vaticano.
Ma proprio in questo luogo si cela uno dei capolavori dell’arte più riconoscibili di sempre, perché riprodotto per anni su una delle banconote iconiche della storia del nostro paese. Andiamo per ordine. Nel 1595 Federico Borromeo di ritorno da Roma, dove fu nominato arcivescovo, aveva la mente che era un brulicare di idee. Proprio in quell’occasione aveva incontrato uno dei più promettenti e già controversi pittori dell’epoca: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Geniale, profetico, rivoluzionario. Chi era davvero Caravaggio? Sono ancora molti i misteri che circondano la figura sfuggente e controversa di questo straordinario artista. Ma all’epoca era giovane e non ancora all’apice del suo burrascoso percorso terreno che lo avrebbe portato a morire misteriosamente durante un viaggio via mare dalla Sicilia a nemmeno 40 anni dopo aver compiuto omicidi, risse ed evasioni.
Nonostante tutto il cardinale pensò subito a lui per affidargli un incarico davvero importante. Qualche tempo prima infatti, un dignitario s’era vantato con lui dell’acquisto di un dipinto raffigurante
un piatto di pesche, realizzato da
Ambrogio Figino, uno dei pittori più in voga tra i nobili milanesi dell’epoca, e Borromeo grande collezionista ed esperto d’arte, non poteva essere da meno. Si trattò di
una sorta di gara tra talento e capacità realizzative. Federico bramava un pezzo di qualità superiore a quello dell’amico.
Caravaggio, sfidando se stesso e le rigide regole dell’epoca,
realizzò un’opera memorabile. In molti hanno speculato sulla simbologia della natura morta come
allegoria e caducità della vita.
Ma sfogliando il libro di appunti, un vero e proprio testamento spirituale del Borromeo, si scoprirà quanto poco gli interessassero simboli e misteri. Nonostante fosse un arcivescovo della controriforma nutriva una passione estetica molto materiale. L’arte era il suo momento di svago, il rifugio dalla rigida etichetta ecclesiastica. Poche dietrologie, solo complicità fra artista e committente legati dai segreti di un cesto di frutta.
Ma le sorprese non mancarono di certo. Per esempio
le dimensioni originali, furono penalizzate da una cornice più tarda, che nasconde l’ardita prospettiva del dipinto che si regge sui
pesi e contrappesi dei frutti e della canestra. O gli studi illusionistici condotti da Caravaggio per dare l’effetto di un quadro che bucasse la parete.
Magnifica, inarrivabile, scriveva l’arcivescovo con un misto di rimpianto e di commozione, a proposito di quella splendida tavola che già allora considerava come la gemma
più preziosa della sua collezione.
Un capolavoro che ha segnato non solo l’affermarsi di un nuovo genere nella pittura, la cosiddetta “natura morta”, ma probabilmente la nascita stessa dell’arte moderna così come la intendiamo noi oggi. Morto Caravaggio, morì per lunghi secoli anche la sua opera, in una sorta di damnatio memoriae ante litteram, che fece precipitare l’artista maledetto in un oblio forzato fino ai primi del ‘900. Come dice Sgarbi, Caravaggio può considerarsi il più antico tra i pittori moderni. Dunque non stupisce se questo capolavoro senza tempo fu scelto per decorare una delle banconote più usate nella storia del nostro paese: le mitiche centomila lire. Nei primi anni Ottanta del ‘900 l’inflazione era ancora in piena esplosione, raggiungendo un tasso del 20% a metà del decennio.
La somma di 100.000 lire del 1983 equivaleva, in termini di potere d’acquisto a quella di 15.000 lire del 1967. Il governo Craxi ed il ministro del Tesoro Giovanni Goria con il placet dell’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi, decisero di rinnovare tutte le vecchie banconote circolanti, introducendone delle nuove con una grafica molto più accattivante e moderna e con dei rimandi a personaggi chiave della storia dell’Italia e del mondo intero. Sulle nuove banconote da 100.000 a partire dall’ottobre del 1983, si decise quindi di raffigurare sul frontespizio per l’appunto il nostro buon Caravaggio.
Mentre sul verso, fu scelta tra tutte le sue indimenticabili opere proprio la Canestra di frutta a simboleggiare abbondanza e ricchezza. Nel frattempo la svalutazione non accennava a rallentare e alle soglie degli anni ‘90 le banconote da 50.000 e 100.000 lire arrivarono a valere poco più delle 5 e 10.000 Lire nel 1967. Nel ‘94 l’esigenza di lottare contro la contraffazione spinse Antonio Fazio a proporre un nuovo modello per le banconote da 100.000 lire pur mantenendo la stessa veste grafica delle precedenti, con solo alcune sfumature di colore diverse ed una nuova filigrana, e che quindi rimasero invariate fino al loro definitivo tramonto nel 2002 per far posto all’euro.
Ma perché Federico Borromeo ed i diversi Governatori della Banca d’Italia hanno così amato quest’opera di Caravaggio? Per la sua bellezza? Senza dubbio. Ma c’è ben altro, evidentemente. In quel capolavoro è racchiusa infatti la sintesi di alcune delle più belle pagine bibliche, dal Cantico dei cantici al Vangelo secondo Matteo. Eppure, a ben guardarli, i frutti nella cesta sono imperfetti, alcuni troppo maturi, altri perfino bacati. È quindi un altro il messaggio nascosto dietro quelle sapienti pennellate, riconducibile anch’esso dalle Sacre Scritture: quello della caducità delle cose terrene, della vulnerabilità stessa della natura umana, mortale e corruttibile. Debolezza che tocca tutti, anche i più santi fra gli uomini. Figuriamoci i soldi!
In pochi, anzi pochissimi, camminando tra le vie del centro di Milano fanno caso alla sua storia millenaria. Milano città di business, Milano dai soldi facili, “Milano da bere” come riecheggiava un vecchio slogan di successo degli anni ’80. Eppure sotto la sua coltre di cemento e smog, esiste una ci…