Consob ce lo ricorda ogni anno: siamo ignoranti sui concetti, anche basici, della finanza. Il gap deve essere colmato per investire consapevolmente e anche per approcciarsi in maniera corretta anche ai professionisti della consulenza finanziaria
Al mondo della consulenza sono spesso i figli (Millennial e Gen Z) ad avvicinare i genitori. Facendo loro scoprire un mondo fee-only che ancora guardano con sospetto
Italiani, popolo di ignoranti finanziari
I dati sulle scarse conoscenze finanziarie degli italiani sono noti: li conferma Consob nell’ultimo Rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane. Un dato su tutti (ma potremmo citarne molti altri): solo il 27% di intervistati è in grado di identificare correttamente il concetto di diversificazione di portafoglio.
Eppure la conoscenza è ciò che serve ad affrontare gli imprevisti e a proteggersi dai rischi. Lo ha dimostrato il Covid: un’indagine Doxa ha misurato che cui tre famiglie su 10 intervistate tra maggio e giugno 2020 avrebbero avuto difficoltà ad affrontare una spesa imprevista di 2000 euro. Ma secondo Consob quella percentuale di famiglie in difficoltà si abbassa (dal 30% intorno al 18%) se teniamo conto solo degli intervistati con un livello di alfabetizzazione finanziario più alto.
Ma c’è dell’altro. “Conoscere quello che si sta facendo – continua Moretti – aiuta a risparmiare. Abbiamo misurato nella gestione di portafogli in sei mesi un risparmio di un milione in commissioni su 100 milioni di euro di patrimonio, a parità di rendimento. Commissioni che i clienti non sapevano di pagare ed erano completamente inutili”.
L’importanza di conoscere l’ammontare delle commissioni
D’altronde anche sulle dinamiche commissionali dietro le attività di vendita e intermediazione finanziaria non brilliamo: è ancora il Rapporto Consob sulla ricchezza delle famiglie italiane a misurare che nel 2019 solo il 30% degli investitori si rivolgeva a consulenti, oggi lo fa il 41%. Eppure, oltre il 40% di questi non sa nemmeno di pagare per il servizio (sa di pagare una commissione di gestione, ma non che questa, per il 70%, finisca al distributore).
Un’ignoranza su cui alcuni operatori hanno marciato a lungo, almeno fino alla promulgazione di Mifid 2, che ha imposto a tutti trasparenza. Ed è la stessa Consob a rilevare che circa la metà degli investitori italiani oggi è disponibile a versare una parcella per la consulenza indipendente.
La conoscenza si basa su due precondizioni: trasparenza e fiducia
Ci sono due pre-requisiti per avvicinare alla conoscenza finanziaria: trasparenza delle informazioni e costruzione della fiducia. “Quando si fa formazione o consulenza, si deve partire da un concetto base – aggiunge Zanni – ovvero che il mercato è imprevedibile. Noi dobbiamo ridurre il rischio di sbagliare, quindi evitare la concentrazione. Diversificare su tutti gli asset, senza prendere nessuna scommessa: nel lungo termine questa strategia paga. Inoltre dobbiamo andare a guardare i costi nascosti di banche e reti, imparando a leggere il contratto per capire se abbiamo perso soldi a causa di inefficienze dei prodotti”. Uno sforzo per cui la Mifid 2 sta fornendo un grande contributo avendo obbligato i produttori e i distributori a emettere report periodici sui costi per i clienti e introducendo il concetto della consulenza fee-only, nel qual caso il costo è dichiarato e non c’è nulla di sommerso.
E poi, è necessario istaurare la fiducia. “Il punto di partenza di ogni strategia di investimento sono gli obiettivi di chi investe – prosegue Zanni – che servono per legare orizzonte temporale, grado di rischio e utilità attesa. Una delle prime domande che bisogna fare al cliente è quanto sia disposto a perdere. Il livello di rischio che si è in grado si sopportare ci restituisce il rendimento a cui si può arrivare. Ma sono tutti concetti che vanno assimilati da chi deve affidare il proprio patrimonio a un consulente”.
Con il fai da te consapevole i piccoli patrimoni crescono
L’educazione finanziaria è utile anche per chi non rientra nella definizione di Hnwi (ovvero ha un patrimonio finanziario inferiore a 500mila euro) e dunque non rientra nei target dei consulenti fee-only. “Tendenzialmente avere un consulente che ti segue richiede un patrimonio consistente per ripagare il costo della parcella – spiega Moretti – se invece si parte dalla propria cultura finanziaria si può provare da soli a costruire un portafoglio corretto e ben diversificato e adeguato agli obiettivi e fare pianificazione finanziaria per arrivare a un patrimonio tale da potersi permettere una figura che ti segua”. Un mito che si sfata: il fai da te è possibile. “Sì, e lo stabilisce il principio di Pareto, secondo cui l’80% dei risultati proviene dal 20% delle azioni”, chiosa Moretti.
Con questa strategia IoInvesto riesce a seguire anche patrimoni decisamente inferiori, a partire da 100mila euro. “Nasciamo come formatori – conclude Zanni – e il modello a rete ci consente di offrire, per chi ha patrimoni non grandissimi, anziché di fare consulenza trentennale, di offrire un percorso di formazione che dura uno o due anni per trasferire i concetti fondamentali della gestione e sfociare in consulenza light con bassa parcella. Perché la persona formata è in grado di fare gran parte delle scelte iniziali da sola”.