Lo scorso anno ci sono state 46.241 compravendite di abitazioni in meno rispetto al 2019 (-7,7% annuo)
Si è assistito a uno spostamento della domanda verso le periferie, verso l’hinterland e verso le località minori
Nel 2021, le compravendite sono attese su un livello simile a quello raggiunto tra il 2019 e il 2020: dovrebbero restare poco sotto quota 600 mila per qualche anno
“Un calo del 7,7% delle compravendite residenziali (che si sono attestate a quota 558 mila, ndr), con un recupero consistente nella seconda parte dell’anno. Un dato migliore delle previsioni, anche delle nostre – ha proseguito Dondi – perché davamo più credito a quelli che erano i fattori di condizionamento macroeconomico; invece forse hanno temporaneamente vinto i retaggi che hanno spinto da una parte le famiglie a cercare l’acquisto e dall’altra il settore bancario a sostenere le compravendite, probabilmente facendo affidamento sulla capacità di recupero della nostra economia”.
All’interno della dinamica del settore immobiliare è emerso poi un altro elemento interessante: uno spostamento della domanda verso le periferie, verso l’hinterland e verso le località minori.
Al netto della volontà di acquisto di seconde case in località diverse rispetto a quelle di abituale permanenza, sul mercato si è registrato un cambio di orientamento che ha visto privilegiare la ricerca di migliori condizioni di accessibilità economica o di dotazioni accessorie. Nomisma, nel suo Osservatorio, ha rilevato una maggiore capacità reattiva e una maggiore vitalità da parte dei mercati secondari; la recessione ha avuto un fattore di mitigazione nella correzione al ribasso dei prezzi, dinamica già avviata nella seconda parte del 2020 presso i centri maggiori.
C’è una ricerca di migliori condizioni di accessibilità economica e di possibilità di ingresso a valori più contenuti. Ma c’è anche una componente della domanda che non è sostenuta dal debito: ci sono, infatti, situazioni di immutata ricchezza e una parte di questa ricchezza è stata fatta confluire sul settore immobiliare proprio per un retaggio di solidità e sicurezza che il settore real estate continua a restituire a una parte (almeno) delle famiglie dei risparmiatori italiani.
“Non è necessariamente una ricerca di redditività; abbiamo infatti dati di redditività più contenuti rispetto al passato – ha proseguito Dondi – . Siamo in una fase di flessione dei prezzi, soprattutto nelle grandi aree – Al di là di quello che ci dice l’Istat rispetto all’evoluzione della seconda parte dell’anno, noi abbiamo infatti una visione molto diversa. Abbiamo registrato anche nelle grandi aree delle flessioni e delle pressioni che stanno arrivando a trasferirsi anche sui mercati intermedi che godono di un’inerzia favorevole”.
Dondi ha spiegato che a livello complessivo, la redditività lorda e quella da allocazione è su livelli contenuti, 4% lordo, ai minimi degli ultimi anni, per cui tra le ragioni che hanno indotto all’acquisto non c’è propriamente la redditività, ma piuttosto – forse – un’idea di salvaguardia.
Ci sono infatti una serie di segnali di preoccupazione che emergono dal settore residenziale e non solo. Quale sarà quindi l’evoluzione del comparto? È molto difficile fare delle stime, perché siamo in una situazione in cui lo scenario cambia quasi di settimana in settimana e ci sono molte variabili che influenzano il mercato.
“La nostra previsione è di sostanziale stazionarietà rispetto ai livelli che sono stati raggiunti lo scorso anno. Questo si riflette in una dinamica ondivaga del settore delle compravendite residenziali, con un livello tutto sommato simile a quello raggiunto tra il 2019 e il 2020. Balleremo poco sotto quota 600 mila compravendite per qualche anno”, ha precisato l’ad di Nomisma, spiegando che è una previsione che andrà poi rivista alla luce dell’evoluzione del contesto macroeconomico e soprattutto alla luce di quello che sarà l’atteggiamento degli istituti bancari.
Se si passa al settore non residenziale, qui il calo dei prezzi e della redditività sono ancora accentuati (maggiormente nelle grandi città rispetto alle piccole). “Abbiamo tassi di rendimento totale che stanno pericolosamente scendendo verso lo zero, anche se si mantengono ancora al di sopra di questa quota”, ha precisato l’esperto.
Quanto infine al mercato corporate, la flessione degli investimenti è stata più accentuata in Italia (-28%) rispetto agli altri Paesi europei. “Un calo atteso, che deriva da un atteggiamento più diffidente e attendista degli investitori stranieri. Questi ultimi, infatti, mentre dal 2013 rappresentavano oltre il 70% del mercato, ora sono tornati a una quota nell’ordine del 50%, con un effetto di disinvestimento netto dettato da un maggior numero di transazioni in uscita rispetto a quelle in entrata . Sorprendente, è stato, invece, l’attivismo della componente domestica degli investitori nazionali che hanno contribuito ad attenuare gli impatti della fuoriuscita e l’attendismo degli investitori stranieri privilegiando anche tipologie diverse dal solito, come la logistica e parte del residenziale”, ha concluso Dondi.