Flash Art nasce nel 1967, nel pieno di quei movimenti culturali e artistici che volevano sovvertire l’ordine stesso delle cose. Oggi che quel periodo appare talmente lontano da sembrare alieno, cosa ne è rimasto?
Nel 1967 era già iniziato il ’68. I figli dei fiori, la minigonna, il femminismo che occupavano le piazze insieme ai Movimenti studenteschi. E affiorava la Minimal Art, l’Arte Concettuale (bisnonna degli nft), l’Arte Povera. Mi pare che siano stati anni seminali anche per il nostro tempo. Il sistema dell’arte (purtroppo o per fortuna, secondo i punti di vista) è ancora ben saldo e guidato dagli stessi criteri selettivi di sempre. Anche se enormemente dilatato e perfezionato.
Ma Pollock, Franz Kline, Jasper Johns, Rauschenberg, Manzoni, Hockney, Richter, Polke, Koons, Hirst, Cecily Brown, Kusama, Abramovic, Sherman, Eliasson, Liu Xiaodong, mi pare che tengano ancora saldamente testa alle controversie estetiche e sociali. E saranno ancora, per qualche decennio, dei riferimenti. Con strategie da parte di alcuni artisti (o del mercato, nel caso di chi non c’è più) molto sofisticate e innovative.
Copertina di Flash Art no. 1, Giugno 1967
E le gallerie? Dopo Leo Castelli e Sonnabend ci sono Zwirner, Gagosian, Pace, Hauser & Wirth, Perrotin, ecc. che hanno perfezionate sino al limite della genialità le strategie di vendita e di penetrazione di Leo Castelli e di Kahnweiler. Ma ora le gallerie sono numericamente centuplicate rispetto al 1967.
E poi MoMa, Guggenheim, Tate Modern, Pompidou, Reina Sofia, Lacma. E mille altri musei ancora in Europa, Asia, Africa, Filippine, Indonesia. Più molti, moltissimi, pubblici e privati che apriranno. Si pensi alle immense collezioni private che diventeranno musei. Il Rubell Museum a Miami è solo l’inizio.
Ma i desideri e le ambizioni dei protagonisti sono i medesimi. E il consenso, il bisogno e il consumo di arte sono esplosi in misura smisurata e pandemica. Inoltre dietro l’angolo ce ne sono migliaia in attesa. E prima di smontare un tale ingranaggio, alimentato da ingenti capitali o protagonisti ultraricchi ma colti e raffinati, vogliosi di cultura tangibile e da esibire, ce ne vorrà. Le persone raffinate, intelligenti e facoltose, con studi e frequentazioni adeguati e fermate dal Covid, scalpitano per tornare ad incontrarsi ad Art Basel, Art Hong Kong, Armory, Artissima e MiArt.
La fisicità dell’arte ha definitivamente ceduto il passo al cyber spazio (penso a Beeple e agli Nft, ma non solo)? Oppure “alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”, per dirla con Eliot?
Una rondine, anzi, un’ape (Beeple), incuriosisce ed eccita ma non fa primavera. Fenomeno interessante, da seguire con attenzione e con il sorriso, questo degli nft è ancora un fenomeno mediale, parte di una nicchia ricchissima ma ancora molto, molto esigua. Come dire che i Bitcoin sostituiranno l’euro e il dollaro. Voglio vedere chi riesce a chiudere i musei di tutto il mondo e a far dimenticare la fisicità delle opere. Solo un Covid centenario. Altrimenti molti collezionisti vorranno ancora orgogliosamente vedere appeso un quadro alla parete per mostrarlo, in luogo della Ferrari, ai loro amici.
Poi tra 50 anni non so. Io non faccio l’indovino. Ma allora l’Europa sarà ostaggio dei cinesi e dell’islamismo e dunque vedetevela voi. Peccato per chi si sarà perso un dripping di Pollock o la Guernica di Picasso. Per quanto mi riguarda io ho condiviso per anni (visitandoli più e più volte al MoMa, la mia Lourdes) questi e altri capolavori che un nft (per quanto curioso e interessante) non potrà mai sostituire, almeno per un paio di generazioni. O almeno per chi come me, è vissuto a contatto con l’arte che aveva una sua fisicità spirituale. La Cappella di Matisse a Vence sarà irripetibile. E la sola che a me, agnostico, ha dato emozioni mistiche, con le sue luci naturali e le forme leggere e trasparenti. Il grande capolavoro di un altro artista ateo che riesce ad esprimere l’assoluto attraverso il non senso della vita.
E in un futuro prossimo il cyber spazio, cioè la Nuova Estetica, sarà relegato in una stanzetta di ogni museo, piccolo e grande, con visori extra large per la goduria di qualcuno. Incrementando però anche le entrate del Museo e dei visitatori di Pollock e Franz Kline. E più che scomodare il grande T. S. Eliot io mi rifarei all’indimenticabile principe di Lampedusa, il nostro gattopardo siciliano Giuseppe Tomasi: Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Infatti sino ad ora è stato così.
A inizio anni ’70 Jeffrey Deitch istituì nella City Bank una sezione di Art Investment, come ha scritto in uno dei suoi ultimi Amarcord. A distanza di cinquant’anni, prolifera la pubblicazione di sofisticati (e per me divertenti) report sull’arte come asset. Cosa ci stiamo perdendo adesso di cui parleremo ossessivamente fra mezzo secolo?
Tra mezzo secolo non so di cosa parlerete. Non ho mai voluto fare l’indovino e la cosa non mi riguarda. Io penso sempre e solo all’hic et nunc. A mia moglie chiedo cosa c’è a pranzo, non la soluzione dei Massimi Sistemi. Nello stesso tempo penso che mi sarebbe piaciuto lasciare a mia figlia un Rothko (che non possiedo) con la sua magia e profumo di trementina, anziché Beeple.
Infine una domanda su Venezia. La nuova Biennale Architettura si chiede “come vivremo insieme”. Come vivremo?
Le Biennali veneziane (Cinema, Architettura, Arte) non hanno mai, dico mai, espresso lo Zeitgeist. Sempre fuori luogo e fuori tempo. Per cui i loro temi non mi sorprendono più. Quelli dell’arte poi, sono improponibili (la Biennale di Architettura è la sola a tentare di indagare il nostro tempo). Personalmente penso che vivremo sempre più come adesso. In un intelligente e misurato lockdown. Cioè sempre più da soli e sempre più con noi stessi. Con un libro e i videogiochi davanti.
Ma saranno sempre l’arte e gli artisti più propositivi ed intelligenti ad indicare le vie dell’arte. Le Biennali o Documenta alimentano curiosità, gossip ed epigoni.