Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, ingegnere lui e ceramista lei, collezionano opere d’arte per tutta la loro vita. Oggi sono custodite nella loro casa, diventata un museo, in via Giorgio Jan 15 a Milano
Nelle 300 opere esposte delle 2000 in collezione, si raccolgono tra gli altri Funi, Sironi, Marussig, Carrà, Casorati, de Chirico, Campigli, Fontana, Manzoni, Vedova e Turcato
I due coniugi donano la loro collezione al Comune di Milano attraverso due donazioni al Comune di Milano, la prima nel 1973 e la seconda nel 1987
Un ingegnere e un’artista. Marito e moglie. Due anime, una collezione dall’unica essenza. Sono Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, tra i collezionisti più attivi del Novecento milanese. Una coppia che nel salotto della propria casa in via Giorgio Jan, 15 ha accolto come amici alcune tra le personalità più importanti dell’arte italiana (e raccolto le loro creazioni). Solidarietà e vera passione hanno creato così la collezione che ancora oggi è in parte esposta nella casa dei due coniugi. Ma come nacque la loro passione per l’arte? Qual è la storia della collezione?
Due anime, una collezione: i coniugi Boschi Di Stefano
Antonio Boschi, classe 1896, era novarese di origine. Conosce Marieda Di Stefano, classe 1901, tra le montagne della Valsesia durante una vacanza nel 1926. L’intesa è tale che i due decidono quasi subito di sposarsi. Dovranno attendere l’anno successivo: sebbene sia già chiaro il carattere inconsueto e non convenzionale della coppia, i due giovani si trovano a dover convivere con le severe norme della borghesia del tempo. Trasferitosi a Milano, Antonio lavora alla Pirelli: il suo successo professionale si deve all’invenzione del giunto Boschi, ancora oggi prodotto in tutto il mondo, che garantisce alla coppia quella stabilità economica tale da potersi permettere di raccogliere negli anni più di duemila opere.
Marieda la passione per l’arte la respira fin da bambina. Il padre Francesco, costruttore edile, colleziona opere soprattutto legate alla cerchia di Margherita Sarfatti, scrittrice e critica d’arte e mentore di artisti come Wildt, Martini, Sironi e Marussig. Lo stabile di via Jan è commissionato proprio dal padre all’architetto preferito della Milano degli anni Trenta: Piero Portaluppi. Così l’edificio, in pieno stile Art Dèco, accoglie i due coniugi e gli altri quattro figli Di Stefano. Ma la passione di Marieda per l’arte si tramuta ben presto in una vera e propria ragione di vita. Affascinata dalla scultura tra tutte le arti, Marieda prende lezioni da Luigi Amigoni e nel 1962 apre una sua scuola di ceramica al piano rialzato dello stabile di via Jan.
Il salotto culturale della Milano del Novecento
Se si osservano le fotografie d’epoca dell’appartamento, e se si ascoltano gli aneddoti sulla vita dei due coniugi, si ha modo di comprendere come la passione per l’arte in alcuni casi abbia preso il sopravvento su alcune buone regole o abitudini sociali. Un esempio? Il bel mobilio d’epoca che è oggi esposto nell’appartamento non corrisponde all’originale, ma è frutto di un’attenta ricerca dei curatori: Marieda ed Antonio riducono infatti i mobili all’essenziale, ricoprendo i pavimenti di pregiati tappeti ma lasciando alle pareti, sovraccariche di dipinti, il ruolo di vere protagoniste. O, ancora: i due tornano spesso a casa dagli studi dei loro amici artisti con i quadri ancora freschi di vernice, tant’è la voglia di accaparrarsi per primi opere nuove per la loro collezione.
Quando le pareti non bastano più
Tra le stanze dell’appartamento Marieda e Antonio accolgono quei giovani artisti che faranno poi la storia dell’arte italiana. Cercano di supportarli il più possibile, a volte ospitandoli per lunghi periodi, spesso scambiando l’accoglienza con nuove opere per la loro collezione. Tanto che a un certo punto le pareti non bastano più: ricoprono gli scuri delle finestre, le ante delle porte, riempiono i pochi mobili con le suppellettili, le sculture. Tanto che il nipote ricorda ancora come da bambino ogni sera a dargli la buonanotte vi fosse il suono di chiodi e martello, con gli zii intenti ad appendere nuovi quadri o spostarne di vecchi.
I grandi nomi del Novecento
Si raccolgono così centinaia di opere, da Funi, Sironi, Marussig e Oppi a Carrà e Casorati; da Guttuso a Morlotti; da de Chirico, Savinio e Campigli a Fontana e Manzoni; da Dova e Chighine a Vedova e Turcato. Per un totale di quasi 300 opere esposte. Un’immersione totale nell’arte, un luogo in cui gli occhi rimbalzano di quadro in scultura per poi fermarsi, attenti, su ciascun oggetto, ciascun particolare dell’architettura, ciascun volto o paesaggio ritratto. Un luogo in cui spazio e tempo si fermano, e ciò che emerge è solo la passione e l’amore per l’arte.
Le preziose porte d’epoca, restaurate
La Collezione Boschi Di Stefano oggi
Antonio e Marieda non hanno figli; al loro posto, moltissimi amici (e nove gatti). Marieda muore giovane, nel 1968; Antonio le sopravvive di vent’anni. Per dieci anni dopo la scomparsa di Marieda, Antonio non colleziona più, tant’è doloroso per lui il ricordo della moglie. Poi, per nostra fortuna, riprende e arricchisce la collezione delle opere più moderne.
Alla sua morte, un chiaro progetto: lasciare alla città che lo aveva accolto tutto ciò che lui e Marieda avevano raccolto negli anni felici della loro vita. Un progetto che si realizza attraverso due donazioni al Comune di Milano, la prima nel 1973 e la seconda nel 1987. L’entità e l’importanza della donazione è tale da costituire il nucleo fondante del Museo di Arte Contemporanea di Milano (quello che è oggi il Museo del Novecento, edificio tra l’altro progettato dallo stesso Portaluppi). Nel 1988 nasce la Fondazione Boschi Di Stefano, istituita con la volontà di accogliere i cittadini e gli appassionati d’arte, così come in passato la casa aveva accolto gli artisti e gli amici della coppia. Oggi, dopo un attento restauro, la Casa Museo è gestita dai volontari del Touring Club Italiano e visitabile gratuitamente.
Il Palazzo dell’Arengario a Milano, oggi sede del Museo del Novecento (su progetto, tra gli altri, di Piero Portaluppi), 1936-1956
In copertina: l’interno della Fondazione Boschi di Stefano. Photo by Alberto Lagomaggiore