Estetica, minimalismo e spiritualità le parole chiave per comprendere la Collezione Panza, una finestra sull’arte americana del Novecento in quasi 2,500 opere
Tra tutti i capolavori custoditi a Varese, i veri gioielli trovano casa nell’ala dei rustici e prendono forma grazie a diversi interventi site-specific di arte ambientale (Robert Irwin e James Turrell) e neon art (Dan Flavin)
La Collezione Panza si distingue per i suoi caratteri insoliti nel panorama italiano del dopoguerra e che si discosta notevolmente da altri esempi contemporanei come quello della Collezione Cerruti
Ma procedendo con ordine: da dove nasce la passione di Giuseppe Panza per l’arte? Come nasce la sua collezione? Quali i temi ricorrenti?
La Collezione Panza: estetica, minimalismo e spiritualità
Giuseppe Panza di Biumo nasce a Milano nel 1923 da una famiglia operante nel commercio di vini tra il Monferrato e la Lombardia. È il padre ad acquistare Villa Menafoglio Litta Panza sulle colline di Varese, appena fuori dal centro storico, luogo che oggi custodisce la collezione di Giuseppe Panza e della moglie Rosa. In quanto all’amore per l’arte, galeotto è un viaggio in America, da New York a Los Angeles, compiuto nel 1954, grazie al quale l’imprenditore – ora nel settore immobiliare – si interessa alla ricerca estetica dell’arte americana, proiettata al futuro con un atteggiamento positivo e fortemente idealista.
I diversi nuclei della Collezione Panza
Rientrato a Milano, Panza comincia a collezionare arte, inizialmente Informale europeo, pop art ed espressionismo astratto americano. Con due principi cardine: supportare il più possibile pochi artisti attentamente selezionati e affini “spiritualmente”, spesso agendo da vero e proprio mecenate, e non spendere mai cifre da capogiro. Negli anni Sessanta la collezione prende una nuova direzione grazie a opere minimaliste, di light e neon art, concettuali e ambientali. Dopo una lunga pausa negli acquisti, dovuta alla crisi del settore immobiliare, nel 1987 Panza riprende a collezionare opere di arte organica, arte dei piccoli oggetti e monocroma. Una passione, quella per l’arte, lunga tutta una vita.
La luce: simbolo ed estetica per Giuseppe Panza
Negli anni Panza dona e presta molte opere della collezione ai principali musei di tutto il mondo e nel 1996 cede la Villa e circa 150 capolavori al Fondo Ambiente Italiano, con la volontà che questa venga resa accessibile ai visitatori e promuova l’arte e la cultura nel territorio.
Tra tutti i capolavori custoditi a Varese, però, i veri gioielli trovano casa nell’ala dei rustici e prendono forma grazie a diversi interventi site-specific di arte ambientale e neon art. Ed è proprio grazie a queste opere che si ha modo di conoscere a pieno l’uomo, il collezionista, l’appassionato d’arte Giuseppe Panza. Protagonista assoluta la luce, che affascinava da sempre Panza per le sue qualità estetiche, simboliche e spirituali. Che si incarna nei lavori di tre artisti oggi ormai passati alla storia: Robert Irwin, James Turrell e Dan Flavin.
Robert Irwin e James Turrel: la luce come perdita di percezione
Robert Irwin e Panza si incontrano a New York verso la fine degli anni Sessanta. La conoscenza si rivela subito proficua: grazie a Irwin, il collezionista ha modo di entrare in contatto con una serie di artisti californiani la cui ricerca si incentra sull’arte ambientale, James Turrell in primis. Sono proprio Irwin e Turrell a realizzare i due progetti di arte ambientale nei rustici, opere in cui luce, architettura, psicologia e illusione si fondono insieme.
E mentre il primo crea delle quinte architettoniche in sottilissimo nylon che simulano pareti, e degli squarci nelle mura che incorniciano il parco, il secondo sfonda il soffitto per inondare di luce una stanza completamente bianca dove protagonista è il cielo. Si formano quindi dei “sensing spaces”, degli spazi percettivi che disorientano il visitatore, ideati grazie a una serie di ricerche a cavallo tra arte e psicologia (con riferimento al Ganzfeld, uno stato psicologico in cui l’uomo è impossibilitato a percepire la profondità degli spazi).
Dan Flavin: saper vedere oltre
Risale invece ai primi anni Sessanta l’incontro con Dan Flavin, allora giovane artista dal grande potenziale. Nel 1963 Panza acquista la prima di una lunga serie di opere che vede nel progetto Varese Corridor del 1976 il momento culminante: dodici sculture di luce in duecentosette tubi neon colorati, ideato da Flavin appositamente per l’ala dei rustici.
Per l’artista, che ha sempre respinto e disilluso ogni tentativo di intravedere un significato spirituale o religioso nelle sue opere, il motto era “It is what it is and ain’t nothing else”, “è quello che è e niente di più”. Per Panza, però, era proprio il lato nascosto e intenso della sua arte quello ad affascinarlo maggiormente. Ecco il perché delle stanze buie, volute proprio dal collezionista in forte contrasto con l’artista, in cui le installazioni diventano protagoniste assolute dello spazio e non incontrano interferenze con la luce naturale dell’esterno. La luce naturale di Irwin e Turrell fa spazio a quella artificiale di Flavin.
Collezionismi a confronto: la Collezione Cerruti
Fu la luce, quindi, a guidare le scelte estetiche di Giuseppe Panza. Una collezione che si distingue per i suoi caratteri insoliti nel panorama italiano del dopoguerra e che si discosta notevolmente da altri esempi contemporanei come quello della Collezione Cerruti. In che modo questo avvenga, però, nel prossimo articolo dedicato ai collezionismi a confronto.