Lo scenario di S&P sulla carbon tax mostra che un forte aumento del prezzo del carbonio a 100 dollari entro il 2030, rappresenterebbe uno shock più negativo per le economie con bassi prezzi del carbonio e dipendenza da fonti di energia ad alta intensità di carbonio.
L’impatto sul pil, senza misure di compensazione, potrebbe essere superiore all’8% per la Cina entro il 2030, e più vicino al 5% se le entrate fiscali fossero reinvestite dal governo. È invece inferiore per Usa (al 3%) e Ue (2%), e circa l’1% o meno dopo il reinvestimento per entrambi.
A livello microeconomico, le imprese meno produttive e le famiglie a basso reddito sono più vulnerabili ai costi di queste politiche ambientali. Un meccanismo di aggiustamento “border” del carbonio può avere senso per i paesi che hanno alti prezzi interni del carbonio, ma probabilmente sarebbe visto come una mossa protezionistica. L’esperienza europea dei bassi prezzi del carbonio tra il 2005 e il 2011 non fornisce inoltre alcuna evidenza sulla rilocalizzazione del carbonio, quindi un Cbam avrebbe senso soprattutto per le industrie ad alta intensità energetica ed esposte al commercio. Detto questo, ciò potrebbe cambiare dato che il prezzo del carbonio è di recente aumentato a 60 euro per tonnellata nell’Unione europea.
Gli investimenti globali del settore privato nelle energie rinnovabili sono triplicati a 2600 miliardi di dollari nell’ultimo decennio, con gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina che rappresentano circa i due terzi. Tuttavia, l’innovazione verde e le intensità di ricerca e sviluppo sono in stallo dal 2012. Bisogna però osservare che il recente aumento dell’interesse esg tra gli investitori potrebbe invertire questa tendenza, conclude il rapporto.