Il 26% dei consulenti americani ha affermato alla Financial Planning Association che incrementerà l’uso delle criptovalute con i clienti, percentuale seconda solo agli Etf. Il 14% dei consulenti già le utilizza, in crescita dall’1% registrato nel 2020
Allo stesso tempo, il 28% dei consulenti ritiene che le criptovalute siano un “azzardo”, in crescita rispetto al 2018
Si tratta di uno slancio dovuto, presumibilmente, dal crescente interesse manifestato dai clienti: il 49% degli advisor, infatti, dichiara di aver ricevuto domande relative alle criptovalute nei precedenti sei mesi; l’anno scorso tale percentuale era solo del 17%.
“E’ molto facile per un consulente finanziario tradizionale rispettato dire al proprio cliente: “Stai lontano; è pericoloso’. Sfortunatamente, tale spregio non è nel migliore interesse del cliente”, ha affermato al Journal of Financial Planning Ric Edelman fondatore di una delle più grandi società di consulenza indipendente negli Usa, la Edelman Financial Engines. “L’unico modo per capirlo”, ha aggiunto Edelman, “tuttavia, è guardare più in profondità, guardare oltre i titoli, guardare oltre la volatilità dei prezzi la tecnologia sottostante della blockchain”.
Ad dire il vero, l’utilizzo di Bitcoin e simili da parte dei consulenti non ha seguito un percorso lineare. Secondo i sondaggi della Financial Planning Association le crypto erano raccomandate dall’1,4% dei consulenti nel 2018, per poi calare all’1% nei due anni successivi. Nello stesso periodo il Bitcoin usciva con le ossa rotte dopo lo scoppio della bolla a fine 2017; nei due anni successivi non ha più rivisto i massimi storici di allora. Per questo, sorge il sospetto che a stimolare l’adozione del Bitcoin da parte di consulenti (e banche mainstream) sia stata, più che le prospettive per la tecnologia sottostante, la crescita dell’interesse dei clienti in prossimità di nuovi picchi (di mercato e mediatici) per le criptovalute.
Eppure, anche investitori di provata esperienza come Ray Dalio e Paul Tudor Jones si sono espressi a favore dell’investimento sul Bitcoin a lungo termine, come strumento di diversificazione e come potenziale scudo anti-inflazione. A sostegno di quest’ultima tesi ci sarebbero l’offerta limitata di Bitcoin in circolazione, a fronte di un utilizzo destinato a crescere. Nel breve periodo, però, non si nota una alcuna relazione fra l’andamento dell’inflazione e il destino del Bitcoin: mentre negli Usa i prezzi sono tornati a livelli mai visti dai tempi della Crisi Finanziaria, i valori delle crypto sono crollati sotto il peso delle strette regolatorie, a partire da quelle cinesi.
“La chiave per investire in Bitcoin e in altre criptovalute è capire perché sono nel portafoglio”, ha dichiarato a SmartAsset, Isaiah Douglass (Vincere Wealth Management), “se lo acquisti solo perché pensi che continuerà a salire come investimento, allora questa è probabilmente la ragione sbagliata per entrarci”.
“La risposta è sempre la stessa, che si tratti di Bitcoin o azioni Apple, se aiuta l’investitore a raggiungere i propri obiettivi, allora va benissimo”, gli ha fatto eco Tyrone Ross, ceo della piattaforma Onramp, “ma se non dovesse essere così, perché discuterne?”.