La seconda grande pandemia della storia, dopo quella dell’epoca di
Giustiniano di cui abbiamo già parlato, (
qui) é stata sicuramente quella della
peste nera che dilagò dall’Asia in tutta Europa a metà del Trecento.
Negli anni trenta del XIV secolo soldati dell’impero mongolo, contagiati dai topi neri selvatici dell’Himalaya nell’India settentrionale, portarono l’epidemia in
Siberia, nella zona del
lago Baikal. Da lì la rete di danarosi commerci dell’Asia centrale la propagò in
Cina e attraverso la
via della seta nei territori bagnati dal
Mar Caspio.
Impero Mongolo. Abu Sa’id Bahadur (1316-1335). Dinaro d’oro (22mm, 7.39 g.).
Asta CNG, New York, 14/09/16
Nel 1346 la peste arrivò ad Astrakan e proseguì il suo viaggio ad occidente
verso il Mar Nero: uomini, animali e merci, con il loro carico di pulci e topi infetti, accompagnarono il virus
verso il Mediterraneo. Come un’onda, sempre più minacciosa, la peste aumentò di velocità e forza, pronta a scaricare la sua potenza distruttiva verso occidente.
Nel 1347 colpì la città di Costantinopoli e nell’ottobre dello stesso anno dodici galee genovesi, partite dalla colonia di Caffa sul Mar Nero, sbarcarono a
Messina il loro carico di virus.
Anche allora l’Italia fu la prima nazione europea ad essere aggredita dal virus orientale: le prime città colpite furono proprio i grandi centri di distribuzione merci dell’epoca, Genova e Venezia.
La peste nera, così chiamata per il colore degli ematomi che provocava, ebbe una forza dirompente: persone giovani che la mattina godevano di buona salute, la sera aumentavano la conta dei cadaveri per le strade. I medici cercarono disperatamente di curare i malati utilizzando i rimedi più disparati, con il solo risultato di infettare anche se stessi.
L’unica soluzione fu quella di scappare dalle città colpite dall’epidemia, anche se, come osservava Francesco Petrarca che si trovava a Genova proprio all’arrivo della pestilenza, “è accaduto spesso che una fuga dalla morte diventi una fuga verso la morte”. Proprio il grande scrittore e poeta (e importante collezionista numismatico), così come il suo amico Giovanni Boccaccio, raccontò con il suo peregrinare lo smarrimento e il tragico svuotamento delle città.
Solo Siena contò più di ottantamila morti e Firenze perse quattro quinti dei suoi abitanti. In tutta Europa la pandemia uccise 25 milioni di persone e alcune nazioni, rimaste senza sovrani, si abbandonarono ad anarchia e guerre interne.
All’interno di uno scenario tanto drammatico Milano fu una delle pochissime città europee che riuscì a fronteggiare la peste.
Alla notizia dei primi casi, individuati in tre abitazioni vicino alle mura cittadine, il signore di Milano, Luchino Visconti, grande politico e stratega militare, non si fece scrupolo a farle murare lasciando morire di malattia e fame i poveri malcapitati. Allo stesso tempo, nonostante non mancassero anche allora i negazionisti, fece chiudere le porte della città adottando controlli estremamente severi su merci e persone. Milano riuscì così, a differenza delle altre città italiane ed europee che ebbero un tasso di mortalità dal 30 al 70 %, a mantenere in questa prima ondata gli effetti del virus al di sotto del 15 %. Fu proprio un medico milanese, Cardone de Spanzotis, a raccogliere questi risultati nei suoi scritti De preservazione a pestilentia mettendo in risalto per la prima volta i principi di contagiosità della malattia, fino a quel momento ignorati dalla scienza medica che ricoverava gli appestati in ospedali insieme a tutti gli altri malati.
MILANO. Luchino e Giovanni Visconti (1339-1349)
Fiorino d’oro (21 mm. 3,49 g.)
Al diritto: scudetto con la biscia sormontato da elmo e cimiero ornato da drago alato, con fanciullo nelle fauci. Al rovescio: Sant’Ambrogio, mitrato e nimbato, seduto in cattedra di prospetto, benedicente e con pastorale nella mano sinistra. Crippa Numismatica
La grande decisione e fermezza di carattere di Luchino, che spesso travalicava in ferocia, venne ben rappresentata sulle sue monete dove il drago crestato, simbolo di fedeltà, vigilanza e valore militare, posto tradizionalmente di profilo sull’elmo visconteo, venne raffigurato per la prima e unica volta, di tre quarti e con le ali aperte, a dimostrazione di potenza e grandezza.
Dopo cinque anni l’epidemia ridusse la sua forza in tutta Europa fino a scomparire, anche se, in un’epoca che non poteva sperare nella scoperta di un vaccino, si ripresentò con nuove ondate negli anni successivi.
Niente fu più come prima. La peste provocò un profondo mutamento culturale, politico e religioso nell’Europa medioevale. La reazione alla grande crisi che ne seguì generò inattese risorse e aprì orizzonti inediti. Il crollo demografico liberò nuove ricchezze, l’aumento del costo della mano d’opera spinse l’innovazione tecnologica, il ritorno di attivi commerci portò a nuovi sistemi amministrativi e di conto e alla successiva costituzione delle prime Banche con l’introduzione sistematica del credito.
Cambiò la medicina e la visione dell’uomo, del suo valore, della sua posizione all’interno dell’universo: era tracciata la strada di una nuova illuminata epoca chiamata Rinascimento.
La seconda grande pandemia della storia, dopo quella dell’epoca di Giustiniano di cui abbiamo già parlato, (qui) é stata sicuramente quella della peste nera che dilagò dall’Asia in tutta Europa a metà del Trecento.Negli anni trenta del XIV secolo soldati dell’impero mongolo, contagiati dai topi neri…