Lo scorso maggio JPMorgan ha acquisito uno dei maggiori robo advisor britannici per asset gestiti, Nutmeg – che non ha mai raggiunto il pareggio
Varie analisi hanno messo in luce come il modello di business dei robo advisor puri si scontri con costi relativamente elevati
L’alleanza con gli attori tradizionali o modelli ibridi avranno, probabilmente, maggiori chance di successo nel lungo periodo
Essersi guadagnata il proprio spazio nelle classifiche dei migliori servizi fintech ed aver ottenuto per anni una consistente visibilità mediatica non è stato sufficiente a tenere in piedi il suo business. Oval Money, finita in liquidazione, è stata rilevata lo scorso maggio da Guru Capital e si appresta a vivere una seconda vita da challenger bank. Nel mese successivo Nutmeg, un servizio di robo advisory britannico con 3,5 miliardi di sterline in gestione è stato acquisito da JPMorgan per una somma rimasta riservata. Ad accomunare le due storie è un dato di fondo: nessuno dei due servizi dedicati agli investimenti “low cost” è riuscito a produrre profitti. Sono, però, in buona compagnia.
La consulenza finanziaria veicolata da algoritmi per la profilazione del cliente e delle sue esigenze viene spesso descritta come una sfida alla consulenza tradizionale. Con la promessa di commissioni ridotte all’osso, il robo advisor punta a conquistare una clientela che in molti casi non ha avuto precedenti contatti con la consulenza tradizionale o che comunque non pretende un livello di personalizzazione specifico. Le commissioni ridotte, inferiori all’1% per arrivare allo 0,25% per i servizi più aggressivi, allontanano il punto di break even costringendo queste società ad acquisire in tempi ragionevoli una quantità di asset in gestione assai significativa.
Secondo un rapporto della multinazionale ICT indiana Wipro, pubblicato nel luglio 2020, i servizi di robo advisor possono raggiungere il pareggio di bilancio se possono contare su 3,5 – 5,3 miliardi di dollari di asset in gestione. Questo assumendo una commissione media dello 0,45%.
Nutmeg, come detto, nonostante i suoi 3,5 miliardi di sterline in gestione, non ha mai raggiunto il pareggio. Per citare un altro caso, il popolare servizio anglo-italiano Moneyfarm ha raggiunto il miliardo di sterline in gestione nel primo semestre 2020, in crescita del 53% rispetto all’anno precedente, fissando l’obiettivo del break even al 2022. Per Moneyfarm le perdite pre-tasse nel 2019 sono state poco inferiori ai 13 milioni di sterline, non distanti dai 14 milioni di rosso di due anni prima, nonostante la rapida crescita delle masse gestite.
Un’analisi condotta da HSBC nel 2019 aveva calcolato che, sulla base di una commissione ridotta allo
0,25%, i robo advisor nordamericani avrebbero raggiunto il
break even point avendo in gestione asset fra gli 11,3 miliardi e i 21,5 miliardi di dollari. A raggiungere tali cifre sono solo una manciata di grossi nomi, fra cui i servizi robotizzati di Vanguard, Charles Schwab e Betterment.
Acquisire una dimensione di questo tipo rappresenta una grossa sfida per i robo advisor “a causa del modesto valore del portafoglio medio e degli elevati costi di marketing richiesti per acquisire nuovi clienti”, scrive Wipro. Per questo genere di servizi, in molti casi nativi digitali e privi della forza reputazionale dei nomi storici, è fondamentale comunicare e farsi conoscere. Ma queste sono attività che costano e che in questo settore attirano, mediamente, pesci piccoli.
“Per alcuni clienti”, afferma sempre Wipro, “i ricavi possono essere anche limitati a 100 dollari all’anno, laddove i costi di acquisizione del cliente per la maggioranza dei robo advisor è compresa fra i 300 e 1000 dollari”.
A minare alla base il modello di business del robo advisory, dunque, non ci sono solo le commissioni ridotte – essenziali per giustificare la scelta di un servizio meno personalizzato. Vi è anche il problema che per raggiungere la “massa critica” è necessario attirare un elevato numero di (piccoli) portafogli, spendendo di conseguenza cifre importanti in marketing e comunicazione.
Il cerchio si chiude nel momento in cui il cliente, magari approdato al robo advisor agli inizi della sua carriera professionale, inizia ad accrescere le sue disponibilità finanziarie. “Chi adotta precocemente i robo advisor tende a passare alla consulenza tradizionale in seguito ad un aumento della sua ricchezza”, prosegue Wipro, per la quale questi servizi dovrebbero essere organizzati in modo da poter accompagnare questo passaggio, dal robot all’umano, tramite accordi con gli operatori storici del settore.
Secondo il rapporto Morningstar “Robo-Advisor Upgrade! Installing a Program for Profitability”, pubblicato nel giugno 2018, una chiave per rendere finalmente redditizia la consulenza robotizzata sarebbe proprio la “partnership strategica” con altri attori del settore con lo scopo di ridurre “i costi di acquisizione della clientela e incrementare la scala e la leva operativa”.
L’acquisizione di Nutmeg da parte di JPMorgan va esattamente in questa direzione, e potrebbe indicare lo sbocco finale di varie altre società del settore che, forse, non riusciranno a mantenersi autonome sul mercato.
Un’altra strada verso la sostenibilità è quella dell’ibridazione fra i modelli robotizzati e quelli tradizionali, che secondo Wipro potrebbe espandere la quota di mercato verso una fascia più ampia di clientela. In particolare, i robo advisor puri “possono evolversi per rispondere alle esigenze del segmento affluent” attraverso migliori servizi di personalizzazione e “offerte premium che incorporano la consulenza umana”.
Lo scorso maggio JPMorgan ha acquisito uno dei maggiori robo advisor britannici per asset gestiti, Nutmeg – che non ha mai raggiunto il pareggioVarie analisi hanno messo in luce come il modello di business dei robo advisor puri si scontri con costi relativamente elevatiL’alleanza con gli attori trad…