Una tensione alla perfezione che non abbozza a diminuire, anzi. “Siamo in grado di produrre anche tecniche di tessiture antiche la cui produzione è stata dismessa un secolo fa a causa della loro complicatezza. E di renderle ancora più perfette”. È quella della Tessitura Luigi Bevilacqua. “Una società che nasce a Venezia nel 1875, a opera del mio bisnonno Luigi. Riprende la tradizione tessile cittadina del velluto, del damasco, del broccato. La fondazione dell’impresa arriva dopo che Napoleone aveva chiuso le scuole di tessitura della città”. Ma è ben più antica. “Testimonianze della tradizione della famiglia Bevilacqua come tessitrice risalgono almeno al maggio 1499: lo si può leggere in un cartiglio dell’epoca». A parlare è Rodolfo Bevilacqua, presidente del consiglio di amministrazione della Luigi Bevilacqua Srl.
È una tessitura che vive e funziona completamente a mano, nel cuore nobile della città lagunare, sul Canal Grande. “La più grande e antica del mondo, se parliamo di tessitura a mano di velluti. I telai sono gli stessi di oltre due secoli fa”. Telai che sono molto faticosi da manovrare. “Richiedono sia lavoro di braccia che di gambe. La macchina jacquard che sta sopra (invenzione dei primi dell’800), va manovrata con la gamba e richiede una grande concentrazione mentale. La produzione giornaliera può variare fra i 30, massimo 70 centimetri al giorno, se le bobine sono cariche e non ci sono intoppi. Ma si tratta di teoria: se si sommano tutto il tempo, i preparativi e gli imprevisti, la media giornaliera spalmata sull’anno scende anche a 5-10 centimetri”.
Rodolfo Bevilacqua. Foto Lozza. Copyright Derigo Vision, courtesy Luigi Bevilacqua
A ciò si aggiunge che le tessitrici sono una decina, per venti macchine in totale. Ne servirebbero altre, la formazione minima per andare al telaio – rigorosamente interna – richiede almeno due anni. “Siamo però una realtà industriale a tutti gli effetti. Le commesse arrivano da tutto il mondo, spesso occupano da sole anche tre telai anche per due o tre anni”. E il tessuto prodotto oggi è indistinguibile da quello intrecciato nel XIX secolo: “Al limite può esservi una schiaritura dovuta alla luce, ma se la stoffa è stata ben riposta – nella carta velina e senza sbalzi di temperatura o umidità – questo non accade. I due tagli di velluto possono essere assolutamente identici”.
Tutte le foto sono courtesy Luigi Bevilacqua
Il punto di raccordo fra tessitrice e cliente è il tecnico, che studia con il committente la fattibilità della sua richiesta, prepara il disegno se si tratta di un modello non presente negli archivi corposi della tessitura. Dà la tempistica del lavoro, sceglie la tipologia di telaio a seconda delle necessità. Affianca le tessitrici per la manutenzione, che è solo interna. Provvede alla fabbricazione dei pezzi di ricambio.
Il tessuto simbolo della casa è il velluto ‘soprarizzo’. La base è il raso: sopra sta il riccio, un filo di seta che viene sfilato. È in tensione: sotto ci passa un piccolo ferro che quando viene sfilato forma un ricciolino. E sopra ancora sta il velluto, che si ottiene con un ferro piccolissimo, attraverso il quale passa una lametta che taglia il raso. Il velluto è proprio quello ‘spazzolino’ di peletti che sta sopra il riccio. Si ricordi che “il velluto non è una fibra in sé, ma è qualunque fibra tagliata e vista in sezione. Può essere in qualunque materiale, anche crine, per dire. Noi abbiamo provato persino a fare il velluto col denim: morbidissimo”.
Per quanto riguarda le ordinazioni, “l’arredamento la fa da padrone, ma si fanno strada sempre più le commesse dell’alta moda”. Le
maison (italiane, parigine, londinesi) “adottano un approccio molto rispettoso della nostra realtà, comprendendo che non si possono avere risultati dall’oggi al domani. Accade spesso che vengano gli stilisti in persona”.
Nota alle cronache è la commessa del Cremlino, la quale segna un’importante soddisfazione nazionale. Un architetto del committente voleva infatti a tutti i costi riprodurre un tessuto francese che oltralpe non erano più in grado di fare. “E noi abbiamo raccolto (e vinto) la sfida: in svariati mesi abbiamo montato il telaio e portato a termine la commessa”. Un altro ordinativo epocale è stato quella del palazzo reale di Dresda: 800 metri di velluto rosso a mano, “che doveva essere semplicemente perfetto: tre tessitrici vi hanno lavorato ad altrettanti telai per tre anni”.
Due generazioni della famiglia Bevilacqua
In generale, il mercato che cosa domanda? “
Il mercato ci ha spinti nella fascia più alta in assoluto, e noi volentieri vi ci siamo lasciati spingere. Ma è chiaro che possiamo arrivare ancora più in alto”.
La maestria della tessitura Bevilacqua è tale che “la committenza non guarda più nemmeno alla materia prima. Può essere anche tutta seta: il costo non è un parametro che rileva. Può essere seta, cotone, cotone-seta, seta-viscosa (che ricordiamo, è una fibra naturale)”. La maggior parte dei tessuti è fabbricata per la fascia altissima dell’arredamento.
“Per un divano e due poltrone ci vogliono trenta metri di tessuto meccanico, ‘alto’ 130 cm. Ma se il tessuto è fatto a mano la larghezza è la metà, 65 cm. Quindi la quantità richiesta raddoppia. Per un capo di abbigliamento varia invece fra i tre e i sei metri”. E nel 2020, come è andata la domanda? “Molto bene. Ci siamo dovuti fermare tre mesi e perciò sospendere la produzione. Ma poi c’è stata una ripartenza piuttosto sostenuta: non solo da parte dei mercati più vivaci del mondo, come Stati Uniti,
Emirati, Medioriente, Russia, Europa (si segnala un crescente interesse da parte di Olanda, Germania, Austria) e dai designer, ma anche dai clienti privati che vogliono farsi una bella casa, magari a Venezia”.
Orditoio
A questo punto, la curiosità nasce spontanea (e profana). Come si puliscono simili tesori? “Non si puliscono. Al limite, li si aspira delicatissimamente. Non si devono sporcare: meglio avere una scorta di tessuto da parte. A tal proposito, per un collezionista ritrovare le casse dei tessuti di scorta del passato è il massimo”. La Luigi Bevilacqua ha radici familiari estese e dalla sua fondazione è sempre stata controllata in linea retta. Grazie al suo indotto vivono una cinquantina di famiglie, ma la ricchezza che l’impresa produce va chiaramente al di là delle sue immediate ricadute territoriali: concorre fattivamente a quel complesso di tesori vivi e vitali che vanno sotto il nome generale di ‘eccellenza italiana’.
A volte questi centri nevralgici della nostra identità culturale ed economica entrano nell’orbita dei colossi internazionali del lusso: si pensi – solo a titolo di esempio – a Loro Piana, ora parte del gruppo di Bernard Arnault (
Lvmh). La nuova filosofia di questi mega attori è quella di preservare la tradizione della realtà acquisita, le maestranze e le professionalità del luogo. Nessuno oggi direbbe che Loro Piana non è italiana. L’italianità, valore riconosciuto internazionalmente, rimane tale: un generatore di ricchezza da preservare.
Le macchine tessili. Ph. Angela Colonna
Venezia, dal canto suo, “non ha bisogno di essere rivitalizzata. Ha bisogno di essere ripopolata”. Un sogno, una chimera? No. La demografia di Venezia può e deve crescere “con le attività produttive cittadine”. Arti e mestieri di elevatissimo profilo e valore commerciale, da propagare negli anni a venire tramite scuole di altissima formazione specialistica in grado di attrarre giovani per una scelta di vita e famiglia in Venezia. L’Associazione Alto Artigianato Venezia, di cui la Tessitura Luigi Bevilacqua è cofondatrice (con Orsoni Venezia 1888, Martina Vidal Venezia e Lunardelli Venezia) aggrega questa volontà robusta. L’appuntamento prossimo è l’esposizione sui mestieri d’arte Homo Faber 2021, dal 9 al 26 settembre alla Fondazione Cini sull’Isola di San Giorgio Maggiore. Ma questa è un’altra storia. E noi saremo lì a raccontarla.
Una tensione alla perfezione che non abbozza a diminuire, anzi. “Siamo in grado di produrre anche tecniche di tessiture antiche la cui produzione è stata dismessa un secolo fa a causa della loro complicatezza. E di renderle ancora più perfette”. È quella della Tessitura Luigi Bevilacqua. “Una societ…