I dirigenti di AAX, un exchange di criptovalute basato a Hong Kong sono finiti nel mirino degli utenti della piattaforma, che si sono coalizzati per rintracciare i dirigenti. Dallo scorso 13 novembre ritirare i fondi da AAX non è più possibile, ufficialmente “per un previsto intervento di manutenzione” volto a risolvere “serie vulnerabilità”. Nei fatti, invece, si tratterebbe di problemi di liquidità – situazione che avvicinerebbe quella di AAX alla vicenda, ormai celebre, di Ftx. Secondo quanto risulta al Financial Times il personale dell’exchange sarebbe stato scollegato dai sistemi di email aziendali. Segnali che fanno propendere gli utenti per l’ipotesi che anche AAX sia “saltato” perché i soldi che gli utenti reclamano non ci sono più.
Mentre le piattaforme per lo scambio di criptovalute risentono dell’improvvisa crisi di fiducia, il Bitcoin per ora sembra mantenere il suo range intorno a quota 16mila dollari. Con una domanda che, però, continua ad aleggiare: qualcosa si è rotto nel meccanismo che aveva innescato una crescente e costante domanda di criptovalute? Su questo aspetto le opinioni continuano ad essere molto diverse. We Wealth aveva approfondito alcuni giorni fa la posizione di chi continua a difendere e distinguere l’essenza dei progetti cripto dalle iniziative truffaldine di cui Ftx è diventata un roboante esempio. Negli ultimi giorni, però, si sono infittite le voci critiche dai piani alti delle istituzioni finanziarie che il Bitcoin, del resto, non l’avevano mai difeso. In particolare, un post comparso sul blog della Banca centrale europea, intitolato, “L’ultima resistenza del Bitcoin” sembra alludere a una capitolazione definitiva.
Bitcoin, la pacchia è finita?
Dal mondo accademico, una delle voci entrate nel dibattito è stata quella del direttore del Systemic Risk Centre della London School of Economics, Jon Danielsson. Dopo una prima fase di rapida crescita nei prezzi e di “uscita dall’oscurità” e una seconda di “riconoscimento globale”, le criptovalute sarebbero entrate nella terza e ultima parte della loro parabola. Secondo Danielsson questo avrebbe a che fare con la presa di coscienza che le criptovalute non sono all’altezza delle promesse che avevano posto in primo luogo: ad esempio, quella di creare un sistema di pagamenti più efficiente e libero delle decisioni politiche che portano le monete tradizionali a svalutarsi costantemente. Anche se la gran parte degli aumenti dei prezzi osservati in passato nel mondo cripto non sono guidati dai veri “fedeli” al progetto rivoluzionario delle cripto, la conservazione del “mito fondativo” della blockchain deve rimanere in piedi per mantenere intatto l’orientamento rialzista. “Il prezzo elevato delle cripto si basa su speculatori che scommettono sul loro successo”, ha scritto Danielsson su VoxEu, affinché ciò accada, “le promesse del ‘mito fondativo’ dovranno essere considerate a portata di mano. Altrimenti, gli speculatori probabilmente si perderanno d’animo e abbandoneranno le cripto; il che può trasformarsi in una spirale negativa”.
I veri adepti del mondo cripto “sono essenziali per plasmare la narrativa”, mentre “il successo e il fallimento dipendono prevalentemente dagli speculatori che hanno portato il Bitcoin alla sua spettacolare crescita”, rispetto al suo valore originario di pochi cent. Mentre le virtù di maggiore efficienza delle cripto sono rimaste ancora dubbie, ha sostenuto Danielsson, il crollo di Ftx avrebbe posto un forte deterrente alla speculazione che poi decide le sorti delle criptovalute: “Quando gli speculatori subiscono perdite sostanziali a causa di frodi e tali perdite vengono ampiamente riportate, ciò scoraggia nuove speculazioni, facendo scendere il prezzo delle criptovalute. Allora uno speculatore potrebbe chiedersi: perché non scegliere Tesla o Gamestop?”. L’idea che potrebbe diventare prevalente di qui in avanti, secondo l’accademico della Lse, è che esitano opportunità di speculazione che, al contrario di diversi exchange, siano sottoposte a un maggior controllo sul rispetto delle regole del gioco.
La dura “versione” della Bce
Le parole utilizzate dal direttore dell’infrastruttura dei pagamenti Bce, Ulrich Bidseil, sono state ancora più decise: Bitcoin sarebbe ora avviato verso “la strada dell’irrilevanza” e destinato a scendere “al di sotto dei 16mila dollari”. In un blog post co-firmato con Jürgen Schaaf, Bindseil ha sostenuto che Bitcoin “non sembra essere adatto né come sistema di pagamento né come forma di investimento” e che, pertanto, “non dovrebbe essere trattato come tale in termini normativi e quindi non dovrebbe essere legittimato”. Il discorso si applica anche all’industria finanziaria che “dovrebbe diffidare dei danni a lungo termine derivanti dalla promozione degli investimenti in Bitcoin, nonostante i profitti a breve termine che potrebbero ottenere”.
La tesi tradizionalista, fatta propria dai due esponenti della Bce è la seguente: le cripto non producono utili, non distribuiscono dividendi, consumano energia (o almeno, lo fa Bitcoin), ma sono poco usate come mezzo di pagamento e, a differenza di una casa o anche dell’oro, non possono avere utilità reali ti restano in mano e nessun altro intorno a te le vuole. Anche le monete tradizionali non hanno valore intrinseco, ma avendo corso legale nessuno può rifiutarsi di riceverle in cambio di beni e servizi. Per queste ragioni, l’aspettativa di un ineluttabile aumento di prezzo del Bitcoin non potrebbe durare all’infinito.
Bindseil e Schaaf sono convinti che ad aver trainato il Bitcoin siano state “bolle speculative che si basano sull’afflusso di nuovo denaro”. Il Bitcoin ha “ripetutamente beneficiato di ondate di nuovi investitori”: continuerà ad essere così anche dopo Ftx? E se sarà così, interesserà davvero agli investitori sapere se le criptovalute offrono un valore “intrinseco” e unico?