Rispetto ai livelli attuali lo spread dei titoli italiani potrebbe aumentare di qui in avanti – in particolare se lo scudo della Bce deluderà aspettative
“L’impatto sulle banche italiane di un aumento dello spread e di un rallentamento economico è decisamente inferiore rispetto al passato”, ha dichiarato De Bellis a We Wealth, “le banche sono più equipaggiate in termini di capitale e qualità dell’attivo”.
L’arrivo dello scudo anti-spread della Bce, che si attende nell’arco di un mese, ha fatto rientrare il differenziale Btp-bund da quota 250 punti agli attuali (21 giugno) 200 punti. E’ un divario nettamente più elevato rispetto a quello osservato nel periodo pandemico, ma il ritiro delle politiche monetarie di sostegno ha inesorabilmente fatto riemergere le differenze fra i rischi dei vari Paesi europei. L’Italia, del resto, ha visto aumentare il debito-Pil al 150%, dal 134% pre-covid. Se ci si limitasse solo a questo indicatore, il Paese si troverebbe, oggi, in una posizione nettamente più rischiosa rispetto a quella del 2011, quando il rapporto si trovava introno al 120%. Come vedremo, il discorso è po’ più complesso.
Lo spread, comunque, potrebbe tornare ad allargarsi nei prossimi mesi. Quali sarebbero le conseguenze per le azioni bancarie, che in passato si erano rivelate molto sensibili al calo dei prezzi dei titoli di stato italiani? Secondo Luigi De Bellis, co-responsabile Research Team di Equita Sim, la situazione attuale vede oggi le banche italiane molto meglio attrezzate, rispetto al passato, per fronteggiare eventuali perdite dovute al calo di valore dei Btp in pancia.
“L’impatto sulle banche italiane di un aumento dello spread e di un rallentamento economico è decisamente inferiore rispetto al passato”, ha dichiarato De Bellis a We Wealth, “le banche sono più equipaggiate in termini di capitale e qualità dell’attivo”.
Il Cet1 medio delle banche italiane, il coefficiente di solidità patrimoniale che esprime quanto gli istituti possano coprire le perdite con il proprio capitale, “è salito di oltre 200 punti base tra il 2014 e la fine del primo trimestre di quest’anno, passando da circa l’11% al 13,5%”, ha dichiarato l’esperto di Equita. “In termini di asset quality, l’Npe ratio”, il rapporto fra i crediti deteriorati di difficile esigibilità sul totale dei crediti erogati, “è passato da oltre il 19% del 2015 a meno del 4%”. Insomma, bilanci più solidi rendono più improbabile una crisi bancaria sospinta dall’impatto dello spread. “Inoltre, c’e da considerare che un’importante quantità di prestiti erogati negli ultimi due anni hanno una garanzia statale”: per quelle esposizioni le eventuali insolvenze vengono garantite dalla mano pubblica – il che per gli azionisti delle banche è sicuramente una buona notizia.
Per il momento, il mercato sembra abbastanza persuaso dall’idea che le banche non risentiranno più di tanto dell’effetto spread. Nell’ultimo mese, al 21 giugno, l’indice settoriale Ftse Italia Banche ha ceduto quasi il 3%, molto meno rispetto al -8,4% subito nello stesso periodo dal Ftse Mib, nonostante (da inizio anno, invece, le performance dei due indici non sono particolarmente difformi).
Certo, rispetto ai livelli attuali lo spread dei titoli italiani potrebbe aumentare di qui in avanti – in particolare se lo scudo della Bce deluderà aspettative. “Anche in caso di significativo aumento degli spread, l’impatto sul capitale delle banche è gestibile, in quanto il 60% circa delle esposizioni in governativi italiani sono classificate a costo ammortizzato e quindi non soggette a rischio mark to market della posizione”, ha precisato De Bellis. “Il vero problema, più che i titoli di Stato in pancia alle banche italiane, è se l’aumento del costo del denaro crei un problema di finanziamento alle aziende, provocando un rallentamento economico”, ha aggiunto l’esperto di Equita. Un’economia più debole comporta un aumento delle insolvenze e dei crediti deteriorati. Secondo gli analisti di Mediobanca, citati dal Financial Times, se i livelli di crediti deteriorati delle banche italiane tornassero sulla loro media storica l’impatto negativo sugli utili sarebbe del 20%.
A proposito di un nuovo rischio speculazione sul debito italiano, infine, va notato che le vulnerabilità di un tempo si sarebbero ridotte rispetto agli anni della crisi dell’euro. “Se guardiamo al debito pubblico, è vero che il rapporto rispetto al Pil è salito oltre il 150%, ma la durata media è molto lunga (oltre 7 anni) e la sensitività agli aumenti dei tassi molto contenuta nel breve grazie al lavoro fatto negli ultimi anni”, ha affermato De Bellis. Per una volta, poi, l’inflazione torna utile: come ogni debitore, l’aumento dei prezzi facilita i pagamenti: “Aumenta il Pil nominale e permette una riduzione del rapporto debito/Pil”, ha concluso il co-responsabile del team di ricerca di Equita, “fino a quando il Pil nominale si manterrà sopra il costo marginale di rifinanziamento la situazione non deve preoccupare”.