La Russia gioca un ruolo di primo piano tra i paesi di provenienza dei combustibili fossili, raccogliendo quasi la metà delle importazioni di gas dell’Ue, il 44% nel caso del carbone e quasi il 25% per il petrolio
Nel 2022 l’incidenza dei costi energetici potrebbe giungere a rappresentare l’8% dei costi di produzione per l’industria italiana, contro il 7,2% dell’industria tedesca e il 4,8% di quella francese
L’annus horribilis per i prezzi energetici travolge le imprese italiane. Che, secondo una nuova indagine del Centro studi Confindustria, rischiano un impatto sui costi di produzione ben superiore rispetto alle “cugine” europee.
Lo scenario energetico
Il gas naturale guadagna un ruolo da protagonista nell’eccezionale corsa al rialzo nei prezzi delle materie prime. Già nel mese di gennaio, ancor prima dello scoppio della guerra russo-ucraina, aveva conosciuto una fiammata del 421% rispetto a dicembre 2019. Per petrolio e carbone, invece, si parlava rispettivamente del +24% e del +122% nello stesso periodo. Il conflitto nell’Est Europa non ha fatto altro che esacerbare la situazione. Ormai è noto quanto la Russia giochi un ruolo di primo piano tra i paesi di provenienza dei combustibili fossili, raccogliendo quasi la metà delle importazioni di gas dell’Unione europea, il 44% nel caso del carbone e quasi il 25% per il petrolio. Un contesto che, spiega Confindustria, dimostra come “le pressioni al rialzo dei prezzi già in corso a partire da metà dello scorso anno non potevano che essere amplificate dalla guerra”.
L’impatto sui costi di produzione
L’indagine si è spinta poi ad analizzare l’impatto del caro energia sui costi di produzione sostenuti dal sistema imprenditoriale e derivanti sia dall’acquisto delle materie prime sia dall’acquisto dell’energia prodotta con quelle materie prime energetiche e dei raffinati del petrolio. Quello che è emerso, considerando le variazioni dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche attese in media per il 2022, è che l’incidenza dei costi energetici risulta essere maggiore per le imprese italiane rispetto ai competitor europei. La differenza tra l’incidenza dei costi energetici nel 2018-2019 risultava pari allo 0,6% rispetto alle imprese tedesche e all’1,6% per quelle francesi. I rincari dello scorso anno avevano già portato tale divario a superare l’1% rispetto alla Germania e il 2,6% rispetto alla Francia. E gli ulteriori rincari innescati dalle tensioni tra Russia e Ucraina si stima potrebbero spingerlo a raggiungere il +2,1% rispetto alla Germania e il +4,9% rispetto alla Francia.
I settori più colpiti
Questa situazione riguarda indistintamente tutti i comparti dell’economia. Se si guarda solo alla manifattura, secondo Confindustria l’incidenza dei costi energetici potrebbe giungere a rappresentare l’8% dei costi di produzione per l’industria italiana, che si confronta con il 7,2% per l’industria tedesca e il 4,8% per quella francese. Nel confronto Italia-Germania, l’impatto maggiore riguarda il settore del legno (con una variazione nell’incidenza dei costi del +6,3% rispetto al pre-pandemia, contro il +2,3% tedesco), della gomma-plastica (+5,6% contro il +3,2%), dei minerali non metalliferi (+8,8% contro il +7,3%) e della chimica (+4,5% contro il +3,6%). Diverso è il caso della metallurgia, che incasserebbe il maggior rincaro in Germania (+14,4% contro il +12,4% per l’Italia).
Quanto pesa in bolletta
Di conseguenza, il caro-energia determinerebbe un’impennata della bolletta energetica italiana compresa tra i 5,7 e i 6,8 miliardi di euro su base mensile e tra i 68 e gli 81 miliardi su base annua. Tornando all’analisi per settori, le imprese italiane più colpite sarebbero quelle manifatturiere, per le quali l’incremento dei costi energetici si aggirerebbe tra i 2,3 e i 2,6 miliardi mensili (27,3-31,8 miliardi su base annua). In Germania, invece, la fiammata dei prezzi energetici peserebbe tra i 7,7 e gli 8 miliardi mensili (91,9-95,7 miliardi annui) e per la Francia tra gli 1,7 e gli 1,8 miliardi mensili (20,2-21,8 miliardi annui).