La first lady ucraina Olena Zelenska sarà presente oggi ai funerali della regina Elisabetta II nell’abbazia di Westminster a Londra. Non inizio a caso da un collegamento come questo, tra la rappresentante del Paese protagonista di una guerra a tutt’oggi senza esiti e la regnante più longeva d’Inghilterra, giunta al termine della sua missione terrena. Un collegamento che sembrerebbe contingente, allusivo semplicemente (e lo è anche, ci mancherebbe) a una doverosa compassione di fronte a un evento come quello della morte della amatissima Elisabetta II, che ha portato anche la rappresentante del Paese più tristemente ricordato di questi tempi, a dover essere lì per un ultimo saluto.
Eppure, a ben guardare, non sembra essere tutto qui. Perché dietro l’apparenza di questa partecipazione dell’Ucraina ai funerali della regina c’è l’evidenza di quello che ha tutte le sembianze di un inizio, dentro la fine di una storia.
La fine di una storia
Quando si parla di fine di una storia si ha sempre l’idea che non ci sia altro, dopo quella storia. O meglio, altro che possa avere senso, peso. Inutile soffermarmi su quanto sia vero questo nell’esperienza umana perché a ciascuno possono venire in mente esempi molteplici. Ma se questo avvenimento della fine, a livello dell’esperienza individuale, ha come primo aspetto la percezione che dopo non vi sia nulla, non si può dire altrimenti pensando più in grande. Non è difficile correre con la mente a quanto la fine del regno di Elisabetta II abbia suggerito nelle menti, e sulla stampa, che dopo non vi possa essere altro. Perché in qualche modo la regina Elisabetta II rappresentava, giusto rimarcarlo, la tradizione. Ancora: la coerenza, il susseguirsi di un unico filo conduttore. E rompere quel filo ha in qualche modo suggellato e rappresentato ulteriormente la fine di un’era. Ulteriormente, perché di esempi di un mondo che sta andando da una parte diversa dalla tradizione ce ne sono stati negli ultimi anni innumerevoli, e verificatisi a distanza ravvicinata.
Senza andare sul nostro piccolo Paese, nel quale vi è pure stato ultimamente un chiaro esempio di fine di un’era, di un tentativo di ristabilire una tradizione (e perdonatemi se non collego questo alla fine di un uomo, per non esagerare), è come se i funerali di Elisabetta II intendessero mettere un altro suggello a tutta una serie di fatti e significati che si è pensato potessero durare per sempre, e che invece gli eventi degli ultimi tempi nel loro susseguirsi indiscriminato non hanno fatto che condurre a una inesorabile fine. E questo, a ben guardare, è stato riconosciuto, con forza, anche nel piccolo (che piccolo non è poi tanto) dell’esperienza dell’investitore, o meglio, nell’approccio all’esperienza dell’investimento. Peccato che nella dimensione ridotta di quest’esperienza l’accettazione della fine di un’era sia ancora in un certo senso sospesa, potremmo dire rubando una definizione di altro settore, col beneficio di amplissimo inventario…
Un mondo che sta lentamente rinascendo
Se infatti ci pensiamo, guardando da lontano per comprendere meglio quanto sta accadendo, la presenza della lady ucraina al funerale della regina inglese, nella fine di un regno palesa anche l’esordio di un mondo che sta lentamente rinascendo. Ed è proprio questo sguardo “alto” che l’investitore stenta ad avere, concentrato com’è sulla granularità di fatti che si susseguono da un giorno all’altro. Sicché risulta difficile farlo uscire dal panorama di una tradizione che sta finendo per puntare lo sguardo a un orizzonte che si sta disegnando. È vero che l’investitore capisce perfettamente che le cose non sono più come prima, che il mondo è cambiato, che le sicurezze di un tempo non ci sono più (frasi di questo tipo potrei citarne con le più diverse sfumature). Ma, attenzione, il suo pensiero rimane alto senza che evidenzi i motivi per i quali si riuscirebbe poi a mettere a terra certi tipi di discorsi, quelli sì davvero orientativi per continuare a costruire il portafoglio, guardando alla nuova era che si sta configurando nell’investimento.
Perché, qui è il punto, non si può continuare a parlare di fine di un’era senza accettare che l’inizio, o meglio, lo sviluppo, della nuova possa esserci solo nell’accettazione di eventi che, guardati da vicino e riconosciuti nel loro significato, dovrebbero essere considerati indispensabili per scegliere i corretti asset da inserire nel portafoglio, quello corretto ovviamente. Se davvero l’investitore fosse pronto a passare la tradizione, ad accettare la fine di un’era, col commiato della regina Elisabetta II (per darvi un’immagine), dovrebbe lui stesso puntare il dito a suggerire dove guardare per superare quella tradizione, per andare avanti. Ed è questo che non accade, perché nel riconoscimento della fine di un’era – incarnata nella fede nel conto corrente, negli investimenti obbligazionari che a differenza degli azionari «non rischiano tanto» (si dice ancora questo!?), o addirittura nell’esclusione degli asset azionari perché «fanno solo perdere» – queste affermazioni sono tutte ancora saldamente appartenenti alla mentalità del nostro investitore, che ritrova saldo l’ancoraggio a quella che continua a essere tutt’altro che la fine di un’era. E quindi, come dire, non c’è fine di regno che tenga per determinare la differenza, per dettare l’alba di un nuovo inizio, insomma per rompere con l’amatissima tradizione dell’approccio all’investimento.
Come aiutare l’investitore a capire?
Cosa può allora cambiare lo sguardo, aiutando l’investitore in questo difficilissimo passaggio di mentalità? Non ci sono regole per gli appuntamenti, e diffido di quanti si ergono a maestri di metodologie per sorprendere la psicologia dell’investitore. Ultimamente sono addirittura intollerante quando leggo delle raffinatissime analisi dei bias cognitivi come fossero le chiavi di lettura per cogliere in fallo l’investitore e portarlo dove si vuole. Perché l’investitore, come sostengo da sempre, è una persona, non è un destinatario di offerte. E allora. Se è così coinvolto nella declinazione degli eventi e dei cambiamenti che gli rendono impossibile capire come dettare la fine di un’era per aprirne una nuova (e come dargli torto!), è proprio questo suo essere coinvolto nella granularità e nella contingenza degli avvenimenti, che occorre seguire, per tentare (importante!) di accompagnarlo nella nuova era dell’investimento, anch’essa fatta di eventi, nuovi e interessantissimi. Senza false obiezioni di coscienza, definite in affermazioni di cosa si debba o non si debba fare.
Questo si traduce in suggerimenti (non dettami) che hanno e devono avere quella stessa veste di granularità, di parcellizzazione, nell’identificazione delle vere novità cui guardare per “esserci” davvero negli investimenti orientati al domani, al guadagno, quello in cui si stenta oggi a credere di nuovo. Novità che allora possono iniziare, o continuare – dipende da quando si sta facendo il vero nuovo percorso con l’investitore – a essere da lui accettate se inserite gradualmente e progressivamente nel portafoglio, attraverso un metodo che può essere compreso anche da chi fosse saldamente ancorato a una visione tradizionale dell’investimento, solo in quanto e se tradotte in piccoli investimenti successivi in tematiche (se non Paesi), coerenti con il nuovo mondo e la nuova era dell’investimento.
Il nuovo ruolo dell’Ucraina
Un mondo che è sempre più rappresentato anche da figure come la signora Zelensky, o meglio dal Paese di cui è first lady, quello stesso di cui non si sarebbe mai pensato potesse arrivare a essere, nel giro di sei mesi, definito uno se non il nuovo Paese emergente, su cui USA ed Europa hanno già orientato importanti capitali, pensando al futuro. Esattamente quel futuro che spetta a noi consulenti finanziari raccontare all’investitore, senza sconvolgere il suo portafoglio, piuttosto colorandolo sempre più intensamente con nuove sfumature di realtà o con i veri segni o temi di un mondo che sta cambiando, e che quindi deve esserci nel portafoglio.
Mi sento di dire che forse lo stesso consulente finanziario per primo deve stare attento a non mancare di occuparsene, della nuova era dell’investimento, di questa progressiva costruzione del portafoglio dentro la fine se non il cambiamento di quello tradizionale. Perché in un anno così complesso potrebbe capitare proprio questa mancanza, dettata dalla tentazione sempre presente nel nostro lavoro così umano, di un troppo stretto coinvolgimento emotivo con l’investitore. Il quale da sempre, bisogna ricordarselo, tenta di riportare il tutto alla tradizione, senza vedere che proprio la tradizione, se non ha smesso di esistere nel portafoglio, è diversa, tanto diversa. O meglio, va guardata in modo diverso. E a questo serve, e deve servire ora più che mai, la vera consulenza finanziaria.
Alla prossima!