Mentre l’economia globale lotta per non entrare in recessione, la zona Euro rischia il collasso ed il dollaro non smette di rafforzarsi, le tensioni sul fronte geopolitico con Cina e Russia sembrano peggiorare di giorno in giorno, dunque esaminare la crisi in corso nella sua prospettiva storica credo possa essere utile per inquadrare il contesto al di fuori della cronaca. La guerra in corso in primis è economica. Ma ha tutta l’aria di uno scontro fra potenze in un sistema in cui risulta difficile regolare gli scambi in un mondo che vuole diventare multipolare e dove le unioni monetarie sembrano destinate al fallimento. Eppure anche se pare un affare recente già molte volte nella storia si è assistito a tentativi di guerre non convenzionali che hanno spostato i conflitti fuori dai campi di battaglia per trasferirli nel più complesso e ambiguo ambito economico.
Lo storico Carl Schmitt nella sua opera maestra scrisse: “Chi domina il mare domina il commercio del mondo e a chi domina il commercio del mondo appartengono tutti i tesori del mare ed il mondo stesso”. Tenendo a mente questo assunto, la cui nascita risale addirittura al conflitto tra Atene e Sparta, narrato da Tucidide ne “La guerra del Peloponneso”, è chiaro che oltre alle armi, avere il controllo del denaro è da sempre la fonte principale per imporre il proprio potere sugli altri. Gli antichi Greci ad esempio, chiamavano la loro moneta Nomisma, ovvero imposta per legge, riuscendo per primi ad attribuirle un valore di scambio superiore a quello del metallo prezioso che conteneva, il primo esempio di effetto leva della storia.
Molte Polis, soprattutto quelle situate nel sud Italia, nella Magna Grecia, provarono a ribellarsi a questa idea rivoluzionaria ma con scarsi successi e si fecero ben presto ammaliare da un denaro nuovo e standardizzato che agevolava gli scambi, consentendo il trasferimento di ricchezza tra generazioni, contribuendo altresì alla nascita ed all’affermazione di una nuova classe abbiente di commercianti e professionisti in grado di dare vita ad una delle fasi culturali e tecnologiche più effervescenti della storia antica.
I Romani poi fecero della moneta e del suo utilizzo non convenzionale uno dei perni su cui si resse la forza dell’impero, dapprima usando l’oro solo per scambi di grande valore e tendenzialmente al di fuori dei territori nazionali, imponendo una moneta d’argento poi, il Denarius, per la maggioranza delle transazioni e soprattutto applicando dazi in metallo prezioso a tutte le nuove province conquistate, impedendo quindi l’insorgere di qualche moneta “più pura” che avrebbe fatto concorrenza a quella “ufficiale”.
La raffigurazione della Vittoria Alata, in genere per solennizzare un trionfo ottenuto sul nemico di turno, è tra le immagini più utilizzate sui rovesci di molte monete imperiali romane. A partire dall’anno 29 a.C., a ricordo della vittoriosa battaglia navale che aveva opposto Ottaviano ad Antonio, fu stampato un altare con una statua d’oro della Vittoria. La figura ritraeva un donna alata che portava una palma e una corona di lauro, il viatico della cosiddetta Pax Augustea, un periodo di oltre 40 anni nel quale grazie alla diplomazia e soprattuto allo scaltro utilizzo del denaro non ci furono grandi guerre. Per tutti i periodi successivi si continuò a usare il denaro come mezzo di propaganda.
E così si è andati avanti per secoli, finché nel 382, l’imperatore Graziano, convinto cristiano, decise di fare togliere l’altare dal Senato in quanto simbolo pagano. Dunque sono migliaia le coniazioni che ricordano vittorie in battaglia ma che nascondono invece sotterfugi di natura economica che hanno agevolato il lavoro dei militari ancor prima di scendere in campo. In tempi più recenti e sempre con il mito degli antichi romani in mente, Napoleone provò a sperimentare una guerra economica frontale contro il Regno Unito attivando il cosiddetto blocco continentale. Dopo aver conquistato moltissimi territori celebrando ogni vittoria con coniazioni in stile imperiale Romano, decise di fare un salto in avanti nella strategia militare coinvolgendo anche la sfera economica e per questo attivò il “blocco”.
Con questo termine si intendeva il divieto, emanato dall’Imperatore il 21 novembre 1806 col cosiddetto Decreto di Berlino, per impedire l’attracco in qualsiasi porto dei paesi soggetti al dominio Francese, alle navi battenti bandiera inglese. Poiché l’economia d’oltremanica non era autosufficiente e contava sulle importazioni da diversi paesi coi quali aveva rapporti di lunghissima data, disponendo però di una flotta navale e competenze marittime molto superiori a quelle francesi, Napoleone fu costretto a imporre a tutti i territori sotto il suo controllo, di interrompere ogni rapporto con i sudditi di Sua Maestà. Giustificò questa palese violazione del diritto internazionale con l’esigenza di rispondere all’azione di blocco dei porti francesi già operata dalla Gran Bretagna la cui marina sequestrava da qualche tempo le navi transalpine.
Chiaramente si rilevò un’idea fallimentare poiché poco dopo la sua emanazione, chiunque commerciasse con gli inglesi faceva affari d’oro potendo spuntare prezzi molto più alti. Ma la situazione precipitò a tal punto che lo Zar di Russia si svincolò in fretta e pure il super fidato Gioacchino Murat, suo braccio destro fin dai tempi in cui era solo un imberbe generale, nonché marito di sua sorella Carolina, lo tradì, aprendo un ricchissimo mercato nero con gli Inglesi quando divenne re di Napoli. Insomma le sanzioni si ritorsero contro lo stesso Napoleone che in risposta ebbe la bizzarra idea di iniziare la campagna di Russia che lo avrebbe portato da lì a poco all’esilio all’isola d’Elba prima e a quello definitivo fino alla sua morte nella remota isola di Sant’Elena, poi.
Già da questi primissimi esempi risulta chiaro che la guerra è una decisione politica, ed al di là di qualsiasi spiegazione pseudo scientifica o peggio religiosa, è un’attività che comporta sempre nefande conseguenze sia ai vinti ma molto spesso anche agli stessi vincitori. Come aveva intuito brillantemente Victor Hugo nel 1859: “Verrà un giorno nel quale non ci saranno altri campi di battaglia se non i mercati che si aprono al commercio”. Fino al XIX secolo la moneta è stata essenzialmente rappresentata dalle disponibilità di metalli preziosi. Oro e argento sono rimasti per millenni gli strumenti monetari principe e poi a garanzia del valore dei biglietti di banca, che erano integralmente convertibili in metallo prezioso. La libertà dei prezzi, dei cambi e dei movimenti di capitali finiva per imporre un cambio fisso, basato sul rapporto tra questi due metalli.
Il primo più raro e caro, era per lo più riservato alle transazioni importanti, mentre l’argento veniva impiegato nell’uso corrente. Quando finalmente dopo la rivoluzione Francese la moneta fiduciaria venne introdotta su larga scala, l’espansione economica conseguente iniziò a porre il problema in termini nuovi, destabilizzando il sistema bimetallico e creando nuove forme di conflitto finanziario che non erano più legate esclusivamente sull’accaparramento e sfruttamento dei giacimenti minerari. Scoppiò l’inflazione come mai era capitato prima nella storia, portando sul lastrico in pochissimo tempo migliaia di ignari commercianti ed avidi speculatori come accadde con l’esplosione della bolla del Missisipi prima e quella dei Mari del Sud poi. In tempo di pace la guerra economica ha come obiettivo il ribaltamento, negli scambi internazionali, dei giochi di potenza e delle rivalità fra gli Stati senza colpo ferire.
Ma in diverse circostanze hanno fatto più morti le privazioni e le carestie indotte da guerre economiche di quanto ne abbiano inflitte cannoni e fucili. Proprio nel tentativo di creare una zona di influenza esclusiva, il nipote di Bonaparte, ovvero Napoleone III creò nel 1865 sotto il nome di Unione Monetaria Latina una sorta di zona Euro ante litteram che però finì miseramente. Oltre alla Francia incluse Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Italia e infine la Grecia dal 1868, con l’intento di opporsi nuovamente alla supremazia del Regno Unito negli scambi commerciali e smantellare il dominio della Sterlina. Furono coniate monete dello stesso peso in oro ed in argento con una veste grafica molto simile ma i simboli di ogni nazione aderente:
L’Unione monetaria latina sopravvisse ufficialmente fino al 1927, largamente svuotata della sua sostanza dall’adesione al sistema del lingotto d’oro di riferimento e soprattutto dallo scoppio della Prima guerra mondiale. In ogni caso, l’Unione, che al suo apogeo contava 32 membri, rimane il primo tentativo di organizzazione del sistema monetario a cambi fissi con perno l’Europa continentale. In pratica, la guerra economica, è la prosecuzione delle operazioni militari con altri mezzi e si traduce nell’intervento degli Stati sui mercati dei capitali al fine di distorcere, a loro vantaggio, la concorrenza per catturare attività ed impieghi, investimenti e talenti.
Il protezionismo è la forma principe nella quale si gioca questa guerra occulta attraverso norme giuridiche, fiscali, contabili, sociali o ambientali.
Questa strategia, essenzialmente difensiva, è stata completata negli ultimi decenni con strumenti più offensivi come la presa di controllo di tecnologie all’avanguardia, il dominio di nuovi ambiti ancor più strategici dei mari, come lo spazio ed il cyberweb. Fino a giungere a forme più meschine quali la contraffazione, il mercato nero, e la coercizione di fornitori e distributori con ricatti più o meno velati. Ma esistono mezzi ancor più subdoli come l’accaparramento militare delle materie prime e delle fonti energetiche inclusa l’acqua, come nel caso di Egitto e Sudan, o ancora il presidio delle vie di comunicazione, gli investimenti dei fondi sovrani che distorcono la concorrenza ed infine il proliferare dei paradisi fiscali che sottraggono risorse alle nazioni.
Ma il campo dove si gioca la madre di tutte le guerre è quello finanziario, attraverso in primis la svalutazione competitiva, perché diminuendo il prezzo delle esportazioni rincarano le importazioni istantaneamente, in un gioco delicato sulla bilancia dei pagamenti. In un sistema di cambi flessibili, la svalutazione può assumere forme dirette o indirette: manipolazione dei mercati, controllo dei cambi, non convertibilità, spinta al ribasso dei costi di produzione, dazi che colpiscono consumo ed importazioni. La moneta ha da sempre giocato un ruolo centrale, perché è la prima leva che controlla gli scambi e i pagamenti e perché definisce i rispettivi margini di manovra. La moneta costituisce il più potente e più efficace strumento di politica economica. Coinvolge tutti gli attori ed in tempi molto brevi. Consente di agire sugli equilibri interni, pesando sul consumo, il risparmio e l’investimento, e sulla bilancia import-export.
Da qui il tentativo del potere politico di manipolare la moneta, specialmente nei periodi di crisi economica e finanziaria. Dopo la fine degli accordi di Bretton Woods del 1971 decadono definitivamente tutti i meccanismi di convertibilità in metalli preziosi e da lì in avanti tutte le grandi crisi, saranno state accompagnate da tensioni sul mercato dei cambi e quella che stiamo vivendo non poteva di certo esimersi. In tre decenni la globalizzazione ha provocato lo spostamento del centro di gravità del capitalismo verso i Paesi emergenti, che assicurano oggi oltre il 50% della produzione industriale e delle esportazioni detenendo l’80% delle riserve valutarie mondiali.
L’accelerazione regolare della loro crescita è simboleggiata dall’ascesa di una nuova superpotenza non solo più industriale ma anche finanziaria, politica e militare ovvero la Cina. La moneta è risultata quindi nuovamente al centro degli squilibri globali, portando alla grande crisi che ha avuto inizio nel 2008-9 e che oggi sta manifestandosi in tutta la sua evidenza dopo la pandemia. La politica monetaria esuberante, condotta della FED a partire dal fallimento Lehman, ha favorito l’insorgenza di bolle speculative, che hanno disconnesso il ciclo del credito dalla crescita dell’economia facendo risorgere lo spettro di una grande deflazione simile a quella degli anni ‘30.
Ora monete e banconote non contengono più simboli e immagini evocative di battaglie e guerre, ma stanno diventando strumenti dematerializzati ed impalpabili capaci di distorcere i mercati globali con un semplice clic su un computer. Non stupisce quindi la nascita delle criptovalute, in origine strumento di protesta verso il sistema e che si stanno sempre più trasformando in un asset speculativi digitali detenuti da investitori istituzionali simili ad azioni ed obbligazioni. Insomma la modernità ha portato nuovi strumenti che però restano sempre nelle mani degli uomini e proprio dal loro cattivo utilizzo ne può scaturire un nuovo ed ulteriore piano di conflitto globale fuori dal controllo delle banche centrali. Insomma il rapporto tra denaro e guerra è più antico dell’invenzione stessa dei soldi e come disse già Socrate nel IV Secolo Avanti Cristo tutte le guerre sono combatte per denaro ed aggiungo io molte, oggi, proprio usando il denaro.