È una possibilità che viene data agli iscritti ai fondi pensione: ovvero secondo l’ultima relazione annuale Covip 8,4 milioni di persone nel 2020, in crescita del 2,2% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 33% sul totale delle forze di lavoro. Alla fine del 2020, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 198 miliardi di euro, in aumento del 6,7% rispetto all’anno precedente.
“L’accesso anticipato alla pensione complementare, sebbene in forma diversa da RITA, era prevista già dal d.lgs. 252 nel 2005 – dice l’avvocato Alessandro Bugli, centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali – ma dal 2018, con l’attuale Rita, le cose sono sensibilmente cambiate. Stiamo infatti parlando di una peculiare modalità di anticipare la prestazione pensionistica, per la parte relativa all’assegno integrativo, di cinque o dieci anni rispetto alla maturazione del diritto alla prestazione”. La prestazione vale peraltro non solo per chi non è ancora andato in pensione, ma anche per chi ha usufruito di agevolazioni in uscita, es. quota 100.
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Luci ed ombre: il pregio di Rita è certamente quello di garantire un sostegno e una flessibilità di sistema, in un momento storico in cui le carriere sono tutt’altro che lineari e spesso precarie. Con un plus ulteriore: quello della fiscalità agevolata sull’intero importo che viene anticipato. “La parte imponibile della Rita è assoggettata alla ritenuta a titolo d’imposta con aliquota del 15% ridotta di 0,3 punti percentuali per ogni anno eccedente il 15esimo di partecipazione alla forma di previdenza complementare, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali – dice Bugli – ma se per le prestazioni ordinarie queste regole si applicano solo per i contributi versati ai fondi solo dopo il 2007 (e dedotti), nel caso della Rita valgono per l’intero montante accumulato anche prima del 2007, nel massimo di 15 annualità”. Insomma, lo strumento può fungere da volano per lo sviluppo del secondo pilastro, dando un sostegno a chi sia messo fuori dal mercato del lavoro o a chi abbia semplicemente deciso di utilizzare diversamente gli anni prima della pensione pubblica (per dare assistenza ai propri cari, per stare con loro o semplicemente godersi qualche anno di riposo e di svago; se non ai Caraibi, almeno a coltivare i propri interessi e hobby).
Ma attenzione ai lati pericolosi dello strumento, così congeniato. Proviamo a fare un esempio, Immaginiamo il caso di un 65 enne che matura la pensione pensione di vecchiaia due anni dopo e che possiede 200 mila euro su un unico fondo pensione. Se decide di destinare alla Rita il 50% del capitale maturato in 8 rate trimestrali queste ammonteranno circa a 12,5 mila euro o, a molto di più, destinando il 100% dei risparmi a Rita. In questo modo, ove l’operazione non sia ben pensata sotto l’aspetto dei vantaggi (anche fiscali per i contributi versati ante 2007) e dell’utilizzo di queste risorse, per investimenti di natura diversa, si rischia semplicemente di intaccare o elidere del tutto l’assegno della pensione complementare al raggiungimento dell’età pensionabile. “La Rita – spiega Bugli – di fatto, così strutturata, può condurre – senza la giusta consapevolezza e supporto di consulenza – può vanificare il fine previdenziale dell’adesione al fondo pensione, consentendo di riportare a casa il montante presso il fondo, peraltro con un beneficio fiscale senza contropartite (con discriminazione a danno di coloro che invece abbiano atteso la pensione complementare e abbiano versamenti ante 2007; non pochi). Il rischio che qualcuno possa disperdere in poco queste risorse è alto, anzi altissimo.
Insomma, luci e ombre. Lo strumento è ancora poco diffuso, ma cresce nell’utilizzo di anno in anno (soprattutto a guardare la relazione Covip per il 2020).
Bene quindi che il fondo pensione non sia integralmente allineato per prestazioni e termini al pilastro pubblico (rischiando di replicarne le rigidità), ma anche attenzione a non esagerare troppo con i benefici, finendo per vanificare la ragione stessa del fondo pensione e a non creare discriminazioni fiscali a danno degli iscritti che fruiscano della pensione complementare.