Può la débâcle di Ftx comportare la fine delle cripto? No,
come il fallimento di Lehman Brothers’ (fatte tutte le dovute proporzioni) non
ha portato alla fine del mondo bancario e finanziario. Nei giorni in cui
scriviamo la società dell’ex presunto enfant prodige Sam Bankman-Fried è in
mano al curatore fallimentare John J. Ray – per inciso, lo stesso che si era
occupato del caso Enron. Ray sta rivoltando la società come un calzino
verificando un inedito “fallimento dei controlli aziendali e una totale assenza
di informazioni finanziarie affidabili”. Tutto era in mano, per usare le sue
parole, a un piccolo gruppo di “individui inesperti, non sofisticati e
potenzialmente compromessi” – che approvavano le spese aziendali con una emoji
su whatsapp. Insomma, un caso acclarato e magistrale (poiché SBF aveva mandato
al mondo un’immagine di sé come un filantropo benefattore) di fode. “ll film
non cambia rispetto agli speculatori del passato che sono sfruttatori sia che
investano in crypto che in succo di arancia”, per usare le parole di un
operatore italiano del mercato, ovvero Massimo Carozzi, presidente di Young
Platform, ecosistema al cui centro c’è un exchange di criptovalute per
principianti (la società è iscritta all’Oam, come tutte quelle interpellate da
We Wealth).
Ftx: cosa viene dopo
Rileviamo che sulla vicenda Ftx non è mancata la voce apocalittica di Nouriel Roubini che si è scagliato contro i criptoasset in quanto al centro di un “ecosistema totalmente corrotto”, i cui attori si caratterizzano per le sette C (e nessuna è un complimento): concealed, corrupt, crooks, criminals, con men, carnival barkers (occulti, corrotti, imbroglioni, criminali, truffatori, imbonitori). È davvero così?
“La vicenda Ftx ri-apre un antico squarcio – più che su bitcoin e dintorni – sulle architetture finanziarie complesse e fragili come castelli di carta: destinate a dissolversi al primo soffio di vento”. La pensa così Andrea Medri, co-founder di The Rock Trading, il più longevo exchange al mondo, parte di una holding che garantisce con le varie consociate – tra cui tinkl.it e il consorzio Cryptovalues – una copertura totale sull’intera filiera del settore dei crypto assets. “Il fallimento di un colosso apre in generale a una serie di benefici: la selezione di un modello di business vincente e maggior protezione per chi investe. Potrebbe essere la vittoria delle piattaforme che scelgono di operare in regimi regolamentati”.
Il vero tema è proprio questo: che Ftx operasse in una struttura del tutto fuori qualsiasi schema – a partire dalla sede legale in un Paradiso legale, che non è mai garanzia di trasparenza.
Gli effetti su bitcoin come asset class
Se guardiamo agli effetti su bitcoin come asset investibile, che è crollato fino a 16mila euro di valore, nel breve termine e almeno fino a fine anno, dovremo aspettarci volatilità anche estrema. “La corsa a fuggire potrebbe essere ancora importante, almeno da parte del retail – continua Medri – I grandi investitori staranno alla finestra per individuare la dimensione del contagio. In un mercato in cui le coins sono profondamente correlate il crollo sarà complessivo. Ma, guardando più in là nel tempo, come avvenuto da Lehman Brothers in poi, si accenderà un faro sulla necessità di regolamentazione, che è quanto mai auspicabile, per diversi ordini di motivi. Perché le regole servono a garantire i risparmi di chi, soprattutto negli ultimi anni, ha incrementato il peso in portafoglio delle crypto, che a ogni effetto sono diventate un’asset class”. La Micar in arrivo offrirà un primo framework normativo. Il secondo effetto di lungo termine è quello di selezione: il tracollo di un colosso non implicherà, a nostro avviso, la fine di un settore ma forse determinerà quello che si può e quello che non si può fare e farà emergere un business model vincente. Inoltre, le prospettive di medio-lungo termine delle crypto restano positive: non sono infatti cambiati i fondamentali dei migliori progetti né il potenziale per lo più ancora inesplorato della tecnologia sottostante”. E non è scemato – anzi il contrario, l’interesse di big tech e banche d’affari che da Instagram a JP Morgan, continuano a investire.
E forse è proprio il momento giusto per entrare perché il contesto è quello del “sangue nelle strade”, come si dice. E poi c’è in vista il prossimo halving (statisticamente sempre drive di crescita per bitcoin): i 16mila euro di valori toccati sulla scorta della vicenda Ftx sono il punto di minimo?
Le previsioni hanno senso?
“Il modo migliore per non sbagliare previsioni è non farle – risponde il presidente di Young Platform Mariano Carozzi – ma in un’ottica generale bitcoin ha avuto nella sua storia una forte ciclicità legata agli halving che ha sempre prevalso sugli eventi eccezionali come questo o il più lontano crack di MtGox, riconducendo tutto a dinamiche pluriennali. Il trend negli ultimi mesi ha dimostrato grande stabilità ed a valle di questi eventi dovrebbe riprenderla in attesa dell’halving”.
E allora, se si sceglie di entrare oggi in questo mondo, il vantaggio è che si sa che le porte non sono tutte equivalenti. E bisgna fare selezione. “Bisognerebbe guardare alle caratteristiche delle piattaforme da molti punti di vista – continua Carozzi – sicuramente la sicurezza informatica, poi la storia dei manager, soci, investitori e quando non ci fosse niente di tutto ciò guardare alle scelte ragionevoli che ci aspetteremmo da una società perbene: è ragionevole avere la sede in un paradiso fiscale? Entrare nel mercato europeo passando da Cipro come ha fatto Ftx? Investire in un concorrente per poi farlo crollare? Vendere prodotti nuovi e poco conosciuti senza investire nella formazione dei propri clienti? La formazione è un grande tema: se io spiego al cliente cosa compra è molto più difficile che si trovi in situazioni di perdita eclatante. Non si entra nel modo crypto per diventare ricchi e poi scapparsene, si entra per scoprire le avvisaglie di un mondo nuovo che con il web 3 sarà sempre più diffuso”.
Come individuare l’exchange giusto
“Gli investitori che volessero diversificare il proprio portafoglio entrando in questo mercato hanno bisogno di operatori professionali, in grado di accompagnarli in tutto il percorso, e in particolare nelle fasi di acquisto e di custodia – dice Ferdinando M. Ametrano, ceo e Cofondatore di CheckSig, ledear italiano per le soluzione crypto dedicate a Hnwi e istituzionali e professore di Bitcoin e Tecnologia Blockchain, Dipartimento di Statistica dell’Università Bicocca di Milano – La strada è quella di servizi di brokerage e custodia specializzati, sulla falsariga delle banche depositarie del mondo finanziario tradizionale. Qui i clienti possono acquistare e vendere con l’assistenza di un desk dedicato, con un servizio con i “guanti bianchi” in grado di eseguire operazioni di compravendita disegnate su misura per ciascun cliente. La custodia permette di mettere le proprie crypto al riparo da furti ed errori tecnici. È però fondamentale che i fondi siano segregati dal patrimonio aziendale del custode e che non vengano impiegati in operazioni di staking, farming, yielding, lending e altri servizi che mettono a repentaglio i risparmi dell’investitore con profili di rischio/rendimento opachi. Infine i custodi più seri beneficiano di garanzie assicurative, ottengono le attestazioni SOC tramite audit indipendente di una terza parte e, nei casi di eccellenza, offrono una prova di riserva periodica e pubblica di avere il pieno controllo degli asset a loro affidati”.
... e comporre un portafoglio con bitcoin
Una volta individuato l’operatore giusto, con che percentuale mettere bitcoin in portafoglio? “Nonostante l’elevata volatilità, che è cifra caratteristica dell’asset, anche in assenza di terremoti come quelli di questi ultimi mesi – conclude Ametrano – l’analisi di portafoglio mostra chiaramente come l’allocazione agli asset digitali di una piccola percentuale di un patrimonio ben diversificato abbia storicamente avuto profili di rischio/rendimento significativamente migliori rispetto ai portafogli senza esposizione agli asset digitali. Sulla base di queste analisi storiche, il consensus tra gli analisti è che il livello di allocazione corretta possa essere tra il 2 e il 8% del portafoglio, a seconda della propensione al rischio dell’investitore, con un orizzonte temporale di 3-5 anni”.