Quello che avvenne il 6 febbraio 1967 sul circuito di Daytona Beach, in Florida, e? tutt’oggi impresso nella mente di tutti gli appassionati di automobilismo: lo spettacolare arrivo in parata delle 3 Ferrari schierate per la 24 Ore, che conquistavano cosi interamente il podio. Questa mossa fu accuratamente orchestrata dagli uomini di Maranello, dopo avere sfiancato le temibili Ford GT 40, per dimostrare che, anche con risorse economiche infinitamente inferiori al colosso Ford (che aveva sfidato con successo la Ferrari a Le Mans), la piccola fabbrica modenese era in grado di stravincere proprio a casa dei rivali. Questa vittoria e la sua celebre coreografia ebbero vasta eco in tutto il mondo, tanto da convincere Ferrari, si dice, a consacrarla ulteriormente battezzando il nuovo modello di Granturismo (che stava per essere presentato), con il nome della corsa americana.
A conclusioni analoghe era peraltro pervenuta anche la Rolex, la celebre Maison leader nel settore dell’orologeria che, in quanto sponsor della corsa, denomino? Daytona il proprio Cosmograph, che divento? in breve un vero e proprio oggetto di culto. Tuttavia, forse a causa di una intempestiva fuga di notizie che aveva bruciato l’anteprima, il nome Daytona non fu mai ufficialmente adottato dalla Ferrari e rimase unicamente il soprannome, anche se universalmente utilizzato, della vettura 365 GTB/4. Quest’auto, identificata quindi con la misura di ognuno dei 12 cilindri (365 c.c.), con l’acronimo di Gran Turismo Berlinetta e con il numero degli alberi a camme (4), doveva essere la risposta di Maranello alla Lamborghini Miura, la rivoluzionaria supersportiva di Bertone a motore posteriore centrale, in quel momento all’avanguardia della tecnica.
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La Ferrari opto? tuttavia per una soluzione più tradizionale, mantenendo ancora una volta il motore in posizione anteriore; cio? si rivelerà un vero e proprio canto del cigno, poiché la successiva sostituta della 365 GTB/4, ossia della “Daytona”, fu la BB, Berlinetta Boxer, questa volta con motore posteriore, Miura docet. La cosiddetta Daytona, tradizionale si?, per certi aspetti, ma stilisticamente innovativa, e? comunque una pietra miliare della produzione Ferrari e resta l’ultima supercar prodotta prima dell’epoca Fiat nonché l’ultima classica Ferrari a motore anteriore. Presentata al Salone di Parigi del 1968, traeva origine da un disegno di Leonardo Fioravanti per Pininfarina, che lo propose a Ferrari, trovando immediati e positivi riscontri.
Destinata a sostituire la 275 GTB/4, della quale manteneva il V12, presentava un telaio a traliccio di tubi ed un cambio manuale montato posteriormente in blocco con il differenziale, secondo lo schema transaxle. La linea era sinuosa, elegante e originale, con andamento a cuneo, grande muso affilato, lunghissimo cofano, abitacolo in posizione arretrata e coda corta, tronca e spiovente. Il frontale era caratterizzato da una fascia in plexiglas che correva per tutta la sua larghezza nascondendo la fanaleria, fascia che dovrà successivamente essere abbandonata a scapito dell’originalità, a favore di più comuni fari a scomparsa, resi necessari dalla sopravvenuta normativa nordamericana.
La vettura ebbe da subito un posto di grande rilievo nell’olimpo delle GT più desiderate, peraltro in un momento in cui le più titolate contendenti erano la Lamborghini Miura e la Maserati Ghibli, tutte eccellenze della Motor Valley emiliana. La capacita? della “Daytona” di fondere armonicamente caratteristiche apparentemente molto distanti, consente di capire come la vettura possa essere stata scelta da personalità senza dubbio eterogenee, che di primo acchito non sembra abbiano tra di loro molto a che spartire. Si va ad esempio da Michelangelo Antonioni, Ugo Tognazzi, Paul Newman e Steve McQueen a Elton John, Mick Jagger e Roger Waters, oppure da Raul Gardini e Dodi Al Fayed a James Hunt, Mario Andretti e Clay Regazzoni. Quest’ultimo era talmente pazzo per la sua Daytona (che definiva “parte della mia vita” e con la quale, se convocato in Ferrari, raggiungeva Maranello da Lugano in solo un’ora e un quarto), da averla anche modificata con i comandi al volante dopo il terribile incidente che lo privo? dell’uso delle gambe.
La “Daytona” fu anche protagonista di un curioso episodio, relativo alla famosa serie televisiva anni ’80 “Miami Vice”. La puntata pilota mostrava infatti una Daytona Spider nera con funzioni di auto della polizia impegnata nella lotta contro il narcotraffico; peccato che la vettura non fosse pero? originale, ma era un falso, un simulacro su base Chevrolet Corvette C3. La Ferrari diffido? quindi la produzione dal farne uso, offrendo le due Ferrari Testarossa in livrea bianca che vennero poi effettivamente utilizzate per le riprese. La “Daytona” si pone oggi indubbiamente tra le vetture di altissimo interesse storico e collezionistico. Costruita fino al 1973 in 1.284 esemplari, di cui solo 122 Spider, e? raramente presente nelle aste internazionali. Quando cio? accade le quotazioni si avvicinano sovente al milione di euro per la GTB, superando anche i due milioni e mezzo nel caso delle pochissime Spider; sfuggono da ogni quotazione le vetture appartenute a personaggi celebri (come avvenuto per la Daytona ex Elton John dotata altresì di un sofisticatissimo e costosissimo impianto HI-FI con 14 altoparlanti) o per le introvabili vetture in alluminio della versione Competizione.