Tra le auto classiche di pregio e di grande interesse collezionistico, le Dino della Fiat fanno parte di quelle meno ricordate e celebrate, forse soprattutto per via del marchio normalmente associato alle sole vetture utilitarie. Ma a ben guardare poche altre auto possono annoverare tra i propri creatori una gamma cosi? ampia di nomi tra i più altisonanti del gotha automobilistico. Tra gli ideatori e ispiratori da un lato e i progettisti dall’altro, figurano infatti Enzo e Dino Ferrari, l’Avvocato Agnelli, Pininfarina, Bertone tra i primi; Jano, Brovarone, Giacosa, Hruska, Gandini, Giugiaro, e Lampredi tra i secondi. Il progetto fu originato da una modifica apportata dalla Federazione Internazionale al Regolamento della Formula 2, che giunse a riservare l’omologazione alle sole vetture dotate di propulsori fino a sei cilindri e 1600 centimetri cubici di cilindrata, costruiti in serie in almeno cinquecento esemplari. La Ferrari, che intendeva iscrivere al Campionato di Formula 2 la Dino 166, non aveva pero? ancora le dimensioni industriali e la capacita? produttiva per soddisfare in poco tempo questi requisiti. Propose quindi alla Fiat, che aveva in listino una coupé di alta gamma ormai obsoleta, la 2300 S, di sostituirla con una nuova vettura, per la quale suggeriva l’utilizzo, previo adattamento, di un motore già disponibile in Ferrari, il V6 denominato “Dino”, dal nome del figlio prematuramente scomparso, che lo aveva ispirato e poi supervisionato.
La Fiat aderì dopo qualche titubanza, ma cio? costituì l’inizio di una proficua collaborazione tra le due Case che sfociò, di lì a poco tempo, all’ingresso in forze di Fiat nel capitale Ferrari. Era comunque nel frattempo allo studio l’utilizzo dello stesso motore anche per una nuova piccola vettura costruita da Ferrari, che vedrà poi la luce nel 1967 come Dino 206 GT. Ma a differenza di questa ove il motore era posizionato centralmente, il progetto Fiat seguiva un’impostazione tradizionale: motore anteriore montato longitudinalmente, trazione posteriore, avantreno con ruote indipendenti, retrotreno con ponte rigido ancorato a due balestre.
Il motore, nervoso e scorbutico, soprattutto perché progettato specificamente per le corse, venne rielaborato, addolcito e riadattato anche per renderlo compatibile alla produzione su scala industriale. In breve il piano si sdoppio?: le vetture Fiat divennero due, una spider ed una coupé, la prima progettata e prodotta da Pininfarina, la seconda da Bertone. Il 3 novembre 1966 fu presentata al Salone di Torino la Spider, una vettura aggressiva, vivace, molto compatta e sportiva e di grande personalità. Richiamava nell’immagine le Ferrari dell’epoca, ed in particolare (specie nella sottile calandra ribassata e nel tipico andamento dei parafanghi ondulati e molto pronunciati) il prototipo Dino Berlinetta Speciale del ’65, dal quale derivo? poi anche la Dino di Ferrari.
Pochi mesi dopo, il 9 marzo 1967, venne presentata al Salone di Ginevra la Coupé di Bertone, un’imponente fastback a quattro posti, più lunga della Spider di 27 centimetri e più pesante 130 chili. Era una vettura di grande impatto ed eleganza, di immagine meno sbarazzina della Spider, ma di maggior lusso e prestigio, curiosamente concepita a quattro mani da Giugiaro, che stava lasciando la Bertone, e da Gandini, che ne assumeva il ruolo, proponendo gli stilemi tipici di entrambi i progettisti. Aveva la stessa meccanica della Spider ed una linea slanciata ed equilibrata, con lungo cofano anteriore e coda spiovente, era assemblata con grande cura e qualità, ma era tuttavia meno brillante e veloce della Spider, anche se offriva comunque prestazioni di tutto rilievo.
Rispetto alla Spider era inoltre meglio rifinita ed accessoriata ed era più confortevole e pacata su strada, anche grazie al passo allungato. Le due auto, entrambe molto sportive, si rivolgevano tuttavia ad un pubblico alquanto diverso: più giovanile e spregiudicato quello della Spider, più tradizionale e formale quello della Coupé, fruibile anche come auto di famiglia. Insolitamente le due Dino non riportavano alcuno stemma Fiat, ma solo il logo “Dino”, cosi? come poi accadde anche per la Dino Ferrari, che si differenziava poiché utilizzava come marchio un badge rettangolare, contro quello rotondo di Fiat.
Dopo la conclusione dell’accordo di partecipazione tra le due case, Fiat inserì il suo marchio sulle sue auto, conservando il nome Dino solo per contrassegnare il modello; Ferrari continuo? invece a mantenere separato il marchio Dino, senza concedere alle vetture cosi? denominate l’utilizzo del brand Ferrari e del cavallino rampante (che apponevano pero? poi “clandestinamente” quasi tutti gli acquirenti). Già al Salone di Torino del 1969 vennero presentate nuove versioni rinnovate di Spider e Coupé, modificate apparentemente solo in qualche particolare, ma migliorate profondamente dal punto di vista tecnico. Venne finalmente abbandonato il superato ed antiquato retrotreno a ponte rigido per adottare le sospensioni a ruote indipendenti progettate per la Fiat 130, migliorando notevolmente in sicurezza e comportamento stradale e ponendo fine alle criticità di tenuta della prima versione.
Fu inoltre adottato un nuovo V6 con basamento in ghisa, anziché in alluminio come il precedente, portato da 2 a 2,4 litri e potenziato da 160 a 180 cavalli, perfezionando cosi? affidabilità, elasticità e ripresa. Le Dino raggiunsero quindi la piena maturità, divennero più versatili e sfruttabili e meno impegnative nella guida. Nel 1972 la Fiat pose fine alla produzione, che aveva superato le 7.500 unita?, di cui l’80% declinato come Coupé, a riprova della sua maggior versatilità. Il motore Dino sopravviverà comunque alle due Fiat, equipaggiando la Dino 246 (sostituta della 206) fino a costituire il cuore pulsante della straordinaria Lancia Stratos, che dominerà i rally negli anni ‘70.
L’immagine sportiva ed esuberante delle due Fiat venne ampiamente sfruttata dal mondo del cinema, con frequenti e rilevanti apparizioni in vari film di successo, come “Banditi a Milano”, “Il commissario Pepe”, “The Italian job” o “Il gatto a nove code”, oltre a comparire in serie come quelle di “Lupin III”. Con il passare degli anni le Fiat Dino hanno acquisito ancor più prestigio che nel passato, essendo oggi maggiormente apprezzata l’origine nobile dei propulsori e la particolare qualità degli allestimenti. Le quotazioni delle due auto sono pero? molto distanti tra loro, anche in considerazione dei diversi volumi produttivi (che incidono sulla rarità) e della non paragonabile rispettiva appetibilità: mentre ottime Coupé sono trattate a cifre vicine ai 70.000 euro, esemplari in condizioni perfette di Spider possono agevolmente superare i 150.000.