Le collezioni di famiglia sono un patrimonio da tutelare e tramandare. La materia non può essere lasciata all’improvvisazione: è necessaria un’attenzione puntuale a ciò che si decide di far rientrare nella pianificazione ai fini di un ordinato passaggio generazionale. Perché conviene pianificare? Quali sono gli strumenti che il nostro ordinamento offre al collezionista? Esiste quello perfetto? A queste e ad altre domande si è cercato di dare risposta in una conferenza del ciclo “Collezionare cultura”, organizzata dalla Galleria Russo di Roma, alla presenza dell’avvocato Virginia Montani Tesei, del notaio Giovanni Floridi e del dottore commercialista Franco Dante.
Esistono almeno tre ordini di motivi per cui pianificare una collezione è essenziale. “Innanzitutto – spiega Virginia Montani Tesei si può decidere a tavolino cosa sia meglio per gli eredi, capire quale sia la loro attitudine e sensibilità nei confronti della collezione. In secondo luogo, li si solleva dagli oneri che si troverebbero a dover sostenere in assenza di pianificazione; infine, si tutela la collezione stessa, sia dal punto di vista giuridico che fiscale, mantenendola unita nel suo corpus. La collezione non smembrata ha un valore storico-artistico ed economico maggiore dei singoli pezzi che la compongono”.
Le fasi preliminari
Nel momento in cui si opta per la pianificazione – qualunque sia lo strumento che si sceglierà – bisogna attivarsi con delle operazioni propedeutiche di analisi e controllo dell’asset (due diligence): vedere cosa si possiede, fare un elenco, riordinare, capire se esistono vincoli ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio o vincoli di collezione; se si è in presenza di fedecommesso. I vincoli possono gravare anche solo su una parte della collezione; si pensi ai gruppi marmorei o ai servizi di porcellana di particolare importanza storica, magari perché utilizzati per servire il pranzo a uno degli ultimi imperatori europei, come raccontato in un diario d’epoca (vertenza realmente verificatasi): in questo caso il “gruppo” deve passare di generazione in generazione in modo unitario. In presenza di vincoli, ogni volta che si verifica un passaggio di proprietà, bisogna comunicarlo al ministero, che deve sempre essere informato sul luogo in cui è albergata la collezione e sull’identità del suo proprietario. Il fedecommesso era uno strumento di passaggio generazionale ampiamente adoperato dalle famiglie aristocratiche. È l’istituto in base al quale una collezione (o parte di essa) veniva destinata a un unico erede che a sua volta doveva tramandarla a un unico soggetto. Oggi questo istituto è molto diverso, ma negli atti delle grandi famiglie storiche è ancora possibile riscontrarne gli effetti.
I veicoli della pianificazione
Dopo aver eseguito le operazioni propedeutiche, bisogna sincerarsi che la pianificazione scelta non leda la legittima. Le opzioni di pianificazione sono varie. Spiega Virginia Montani Tesei: “Si può anche estrarre la collezione dal patrimonio familiare, destinandola alla fruizione di terzi, magari perché gli eredi non hanno intenzione di prendersene cura e conservarla. Si può prevedere per esempio la costituzione di un museo privato, che può essere creato grazie alla fondazione tradizionale o secondo la normativa delle fondazioni ETS (enti del terzo settore) – la cui disciplina è molto più snella e certa. L’attribuzione della collezione alla fondazione ETS è esente da imposta, in virtù dei fini solidaristici che questa dovrebbe perseguire. In generale, il conferimento di una collezione a una fondazione deve essere oggetto di perizia giurata.
A oggi, il veicolo più diffuso resta però la società semplice, la cosiddetta cassaforte di famiglia”. Sottolinea Giovanni Floridi: “Un vantaggio della società semplice è che il conferimento dei beni alla società semplice non è soggetto a perizia; la s.s. non ha scritture contabili, non ha obblighi di bilancio; e si può regolamentare come gestire le quote dei soci che vengono meno”. Sul punto, interviene anche Franco Dante: “È saggio staccare la proprietà dalla gestione. Ricordando che, se la società semplice pone in essere operazioni commerciali, viene fiscalmente trattata come società commerciale. Come accade per le persone fisiche”. Virginia Montani Tesei non dimentica il trust, “utile in situazioni specifiche – come la pianificazione transnazionale – ma non panacea di tutti i mali”. In un trust che gestisce opere d’arte, è sempre bene che ci siano due trustee. Uno che si occupa della gestione finanziaria e un altro di quella curatoriale, sia ordinaria (restauro, immagazzinamento…) che straordinaria (prestiti a mostre, musei…). Vi è poi il testamento, che non esclude la previsione di una fondazione o di un trust. Un’ipotesi è anche quella dell’associazione, specifica Giovanni Floridi, “oggi dotabile anche di personalità giuridica al momento dell’iscrizione al registro unico nazionale per il terzo settore”.
Non pianificare?
In mancanza di pianificazione tramite veicolo o testamento, i criteri che regolano la successione sono quelli indicati dal codice civile: si ricade nella comunione ereditaria dei beni. Situazione che può rivelarsi problematica in sede di divisione: alcune o- pere possono essere oggettivamente indivisibili, come visto. Il codice incentiva il ricompattamento della collezione: in caso di scioglimento della stessa a titolo oneroso, ovvero tramite vendita della propria quota, vi è il diritto primario dell’altro erede di acquistarla. In caso di beni vincolati, il ministero può esercitare la prelazione artistica. “E’ bene essere consapevoli che – prosegue il notaio – se si sceglie di pianificare tramite fondazione, trust, società semplice, il collezionista perde la disponibilità della collezione: non può venderne pezzi o anche solo prestarli”.
Il veicolo “perfetto”
Ai fini della pianificazione è importante essere consci che, soprattutto nelle collezioni di arte contemporanea, “il valore dell’asset può essere aumentato notevolmente nel tempo”. Franco Dante rileva che col trust di natura successoria si ha forse la tutela maggiore della volontà del collezionista, anche su un orizzonte temporale lungo. “Con questo negozio fiduciario il disponente trasferisce al trustee i beni per gestirli e amministrarli, in vista del trasferimento finale ai beneficiari. Il vantaggio immediato è lo stesso della fondazione: la segregazione del patrimonio. Il pagamento delle imposte si avrà solo quando il trustee trasferirà i beni. Se però la volontà del collezionista è l’ottimizzazione fiscale per gli eredi, questo strumento non va bene. Si badi infatti che l’aliquota odierna è nota, quella futura no. E il valore della collezione potrebbe verosimilmente aumentare…”.
La pianificazione è a tutti gli effetti “un compromesso fra quello che ci si auspica e ciò che si può effettivamente raggiungere. Quando si pianifica, bisogna essere consapevoli degli obiettivi che si intende privilegiare, sacrificandone alcuni, pur di conseguire i più importanti: si può scegliere di ottimizzare le imposte, privilegiare la tutela degli eredi oppure mettere a disposizione del pubblico i frutti della propria ricerca. Il veicolo perfetto non esiste. Tuttavia, più si pianifica, più si tramanda valore”.