Quadri che a New York vengono battuti a 10 milioni di dollari (o più) e in Italia dieci volte meno (quando non 20…). Alcuni nomi legati ai casi più eclatanti: Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Umberto Boccioni, Gino Severini. Ma la lista è estensibile praticamente a tutti i nostri artisti. Perché? Cosa rende l’Italia così poco attraente da essere considerata la “maglia nera” del mercato dell’arte (nella cerchia dei paesi rilevanti per il settore)? La sua incertezza normativa e regolamentare sulla disciplina della circolazione dei beni culturali.
Se ne è parlato nella conferenza “Vincoli e circolazione dell’opera d’arte”, la prima del ciclo “Collezionare cultura”, tenuta dalla Galleria Russo di Roma, con gli interventi di Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati; delle dr.sse Lucia Calzona (storica dell’arte e curatrice presso la Galleria Borghese) e Federica Gualdi Piccirillo (storica dell’arte funzionaria del MiC); dei “nostri” avvocati Virginia Montani Tesei e Giuseppe Calabi. In Italia, ci sono tre momenti in cui un collezionista privato inizia a tremare: quando vuole portare un’opera fuori dai confini nazionali, quando la espone in un museo, quando la vuole vendere in asta. Ovvero nei momenti in cui l’opera “si muove”. Le dimensioni del fenomeno appaiono paradossali in Italia, paese con il maggior patrimonio artistico mondiale.
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Arbitrarietà e incertezza nella circolazione delle opere d’arte in Italia
In queste occasioni, può accadere per esempio che il funzionario non rinnovi il certificato quinquennale di spedizione di un’anfora greca antica acquistata regolarmente in asta a Londra per 20.000 euro. Motivo? Deve accertarsi che il bene archeologico sia legittimamente uscito dal paese di origine (non quello di provenienza), quindi in questo caso la Grecia. Nello specifico, il collezionista avrebbe dovuto verificare se l’anfora fosse uscita dal territorio ellenico prima del 1840. O, se posteriormente, con una licenza del governo greco. «Si tratta di prove diaboliche» commenta l’avv. Giuseppe Calabi. «Paesi come la Francia e il Regno Unito hanno sistemi di tutela efficientissimi e trovano un giusto punto di equilibrio fra interesse pubblico e privato», sottolinea Calabi.
Parigi per esempio ha una normativa certa, rassicurante per l’investitore. La soglia di valore per la notifica è molto più alta rispetto ai 13.500 euro dell’Italia (per i dipinti, è di 300.000 euro), e il tempo a disposizione per la valutazione statale è definito (30 mesi: si pensi all’esempio della Fondazione Vuitton e del quadro di Caillebotte). Inoltre, lo Stato indennizza il proprietario con una cifra che è in linea con il mercato internazionale. Risultato: la capitale francese ha soppiantato Londra nel mercato dell’arte dopo la Brexit.
Dalla protezione al controllo dei movimenti
In Italia l’istituto del vincolo era nato con la nobile funzione di proteggere il patrimonio culturale del nostro Stato, soggetto nei decenni a un costante depauperamento, ricorda l’avv. Virginia Montani Tesei; poi però, col tempo si è tradotto in una remora alla fluidità di circolazione del bene: «L’istituto del vincolo (il decreto legislativo in vigore risale al 2004) riconosce in capo a un bene un interesse culturale che si concretizza di fatto in una serie di oneri relativi alla gestione ordinaria e straordinaria del bene, alla sua circolazione e al passaggio di proprietà successivo».
Ne è consapevole Federico Mollicone: «Il sostegno dell’ecosistema artistico nazionale passa dalla definizione di una procedura unica all’esportazione delle opere d’arte e della loro fruibilità. Ci stiamo muovendo per equiparare la legislazione italiana a quella europea in materia di esportazione delle opere d’arte. Nell’ultima legge di Bilancio il governo ha approvato un fondo da 100 milioni di euro che servirà per il sostegno generale alla cultura, e anche a istanze come queste. Il tavolo sul mercato dell’arte al MiC sarà riattivato».
Nei fatti, il vincolo spesso viene utilizzato come strumento di controllo della circolazione dei beni culturali privati. Opera per tutti i beni di interesse culturale (di valore superiore ai 13.500 euro, trascorsi 70 anni dalla morte dell’autore) e richiede un attestato di circolazione rilasciato dall’ufficio esportazioni territorialmente competente. Tale rilascio comporta che alla richiesta del documento da parte del privato, la commissione ministeriale preposta dovrà visionare il bene, che potrà essere o meno considerato di “interesse culturale” secondo criteri totalmente arbitrari e tempi non definiti.
Un potenziale da non bloccare
Questa incertezza colloca l’Italia all’ultimo posto fra i paesi rilevanti per il mercato dei beni d’arte: il valore degli scambi che avvengono sul nostro territorio nazionale è nettamente inferiore a quello delle piazze più importanti. Ciò provoca perdite economiche sia ai privati che allo Stato.
Federica Gualdi ammette che sia «un errore pensare che tutte le opere debbano avere la stessa soglia economica».
Il limite di 13.500 euro risulta infatti irrisorio per le opere d’arte moderna e contemporanea, ma assolutamente troppo elevato per i libri antichi, per dire. Inoltre, «sarebbe utile un efficientamento di certe attività: in un anno vengono rilasciati circa 500 attestati di libera circolazione. Su questi, 15 sono dinieghi; circa 1900 le dichiarazioni di valore. I tentativi di truffa sono numerosi, per tutte le categorie: contemporaneo, archeologia, arte orientale, strumenti musicali, orologi falsi. E fanno perdere molto tempo».
La filiera del mercato dell’arte impiega in Italia 35.000 persone, e genera Pil per 3,7 miliardi di euro (dati Nomisma-Intesa Sanpaolo, ricerca commissionata dall’associazione non profit Gruppo Apollo): cifra che non riguarda solo pochi fortunati ricchi, ma una fetta importante dell’economia nazionale. Compromettere la crescita di questo sistema significa operare un danno grave allo sviluppo del paese.
Immagine apertura: Renato Guttuso, “Coltivazione del limone nel napoletano”, 1956. Courtesy Il Ponte