Eppure visti i tempi che corrono, con i continui episodi di fallimenti e crisi finanziarie, riappropriarsi di una coscienza storica sarebbe davvero necessario, se non altro per non ripetere gli errori del passato. Il caso più eclatante ed attuale è quello delle criptovalute, fenomeno sulla bocca di molti ma oscuro ai più. Parafrasando un illustre filosofo, “Solo conoscendo da dove proveniamo, possiamo sperare di capire dove stiamo andando”. Per questo voglio condividere con voi la mia passione per la Scripofilia. Si avete letto bene!
Monete, filigrane e scriptofilia. Chi era costei?
Non si tratta di una malattia, per lo meno non di una di quelle che ci fanno venire la febbre o il mal di gola. Scripofilia è un temine molto recente, che identifica quella forma di collezionismo diffusasi a partire dagli Stati Uniti riguardante la raccolta e la catalogazione degli strumenti originali emessi da aziende finanziarie nei secoli scorsi. Nelle righe che seguono proverò a raccontarvi alcuni eventi realmente accaduti e storie emblematiche che mi hanno affascinato a tal punto da avvicinarmi a questo tipo di collezionismo contribuendo sopratutto ad ampliare la mia conoscenza della storia e dell’evoluzione dell’economia.
Anche il meno attento tra i risparmiatori infatti, ha inconsapevolmente investito parte dei suoi averi in azioni ed obbligazioni, presenti ovunque: dai fondi pensione, alle polizze assicurative finanche nei conti correnti a remunerazione garantita. Una finanza, quella moderna sempre più impalpabile e lontana dal sentire comune. Oggi molti di questi strumenti sono dematerializzati e rappresentati da anonime sigle computerizzate, mentre in passato erano stampati su eleganti filigrane e preziose pergamene per garantirne l’originalità ed il valore.
La scriptofilia
La scripofilia dunque, oltre ad essere un hobby, contribuisce in modo determinante a preservare le più interessanti testimonianze della storia della finanza e dei mercati dei capitali che altrimenti andrebbero perdute per sempre. Inoltre con gli antichi certificati è possibile possedere dei veri e propri capolavori in miniatura, non di rado realizzati da grandi artisti. Nei secoli passati infatti, diventare autori di fogli preziosi che rappresentavano denaro contante era motivo di vanto e prestigio, soprattutto in periodi in cui la maggioranza della popolazione viveva nella più profonda indigenza.
Monete e filigrane come opere d’arte
Per farvi capire cosa intendo vi porto ad esempio i certificati emessi della Paris-France S.A. un’antica catena di negozi d’oltralpe che ormai non esiste più. Queste obbligazioni riportavano splendide grafiche allegoriche dell’artista Cecoslovacco Alphonse Maria Mucha, uno degli indiscussi maestri di inizio Novecento. Scambiato oggi per cifre da capogiro sul mercato del collezionismo, alcune delle sue opere più rapprensetative sono state esposte recentemente tra Milano e Roma, in una mostra personale a lui dedicata.
Ma per capire come questi documenti si intreccino con la storia, come non ricordare le preziose pergamene emesse nel periodo della dinastia De Medici dal Granducato di Toscana, oppure i certificati stampati dai grandi regnanti del passato come Napoleone, Ferdinando di Borbone o da Luigi XIV, il mitico Re Sole. Questi oggetti considerati per anni carta straccia e mandati al macero dalle banche una volta fuori corso, sono in grado di raccontare una storia molto attuale ed educativa tanto che già più di un secolo fa qualcuno ne aveva intuito il valore.
Haseltine
Si narra infatti che alla fine dell’800 un personaggio di nome Haseltine, raccogliesse e vendesse a Manhattan le obbligazioni che avevano finanziato solo pochi anni prima, la Guerra di secessione americana e la costruzione delle più importanti reti ferroviarie del Paese. Si trattava dei Confederate-State Bonds. Ma senza forzar troppo la storia, fu grazie al leggendario broker di Wall Street Roland Smythe, che questo collezionismo giunse all’attenzione della cronaca. In un’intervista rilasciata alla fine degli anni ’20 al New York Herald Tribune, Smythe predisse: “E’ solo questione di tempo e le persone inizieranno ad acquistare in massa vecchi certificati azionari nella convinzione che aumenteranno il loro valore”.
Smythe una volta ritiratosi dalla borsa, si dedicò al collezionismo di questi bellissimi documenti fuori corso. Purtroppo per lui, non visse abbastanza per vedere realizzata la sua predizione, però la sua passione fu portata avanti dai suoi eredi, tuttora al timone della R.M. Smythe & Co. INC. di New York, una delle più importanti case d’asta di titoli storici al mondo. Su una cosa il visionario americano aveva ragione, questi documenti finanziari hanno da sempre il pregio di raccontare la travolgente crescita o il rapido declino di una singola società, di un settore merceologico o addirittura della bancarotta di un’intera nazione come quello nel crack del ‘29.
La scoperta di Ruben
Ma per rendere ancora più intrigante questo racconto voglio proseguire con una storia realmente accaduta solo pochi anni fa. Nel 2010 un giovane studente olandese dell’università di Utrecht di nome Ruben Schalk si stava accingendo a terminare la tesi di laurea ricercando informazioni su antichi certificati azionari emessi nel suo paese. Le Fiandre infatti già nel medioevo primeggiavano insieme a Venezia, Firenze e Genova nei commerci internazionali. Mentre scartabellava nell’archivio Westfries nella cittadina di Hoorn, si imbattè in una scoperta mirabolante.
In uno dei cassetti dove erano contenuti migliaia di altri documenti, tra atti notarili e semplici passaggi di proprietà, scoprì un foglietto in parte stampato ed in parte manoscritto, datato 1606. Lo portò dal suo professore perchè non aveva trovato alcun riferimento per capire di cosa si trattasse. Il docente cadde quasi dalla sedia. Quella che a prima vista sembrava un’anonima lettera commerciale, si è rivelato essere il certificato azionario più antico del mondo fino ad allora del tutto sconosciuto. Il documento era intestato ad un certo Pieter Harmensz, che scopriranno essere il segretario personale del sindaco della località di Enkhuizen che lo aveva depositato nel municipio della sua città nel 1638.
Come un avventuriero alla ricerca di tesori
Tutto l’archivio era successivamente confluito del grande deposito Storico di Westfies a Hoorn, e lì in mezzo era rimasto sepolto fino alla sua riscoperta nel 2010. Si trattava di un’azione della Compagnia delle Indie Occidentali (VOC Verenigde Oostindische Compagnie), una delle più grandi aziende di commercio tra il XVI ed XVIII secolo, una vera e propria multinazionale; nonchè la prima società per azioni liberamente trasferibili al mondo. Venne fondata il primo Settembre 1602 e furono solo 538 i sottoscrittori iniziali, tra i più importanti dignitari e nobili dell’epoca tra i quali proprio Pieter Harmensz, come trascritto sul documento ritrovato dal giovane Ruben.
Insomma una scoperta sensazionale ma non unica nel suo genere dato che, come detto, questa branca del collezionismo è assai giovane e anche gli storici tradizionali l’hanno spesso relegata ai margini delle loro ricerche. Per cui non è improbabile ancor oggi scoprire tra mercatini di antiquariato e vecchie soffitte certificati azionari o obbligazionari di estrema rarità dimenticati tra le pieghe della memoria. Questo è ancor più probabile nel nostro Paese, territorio di nascita e sviluppo di svariati Stati indipendenti e grandi Nazioni secolari spariti dopo l’unificazione nel 1861. Per citare il grandissimo Paulo Coelho: La decisione se essere uno spettatore del mondo oppure un avventuriero alla ricerca di tesori, spetta solo a noi stessi. Tutto dipende dal modo nel quale indirizziamo la nostra vita.