L’Alfa Romeo passava infatti in quegli anni da una produzione elitaria di alta gamma e da un segmento super sportivo – le “Alfa rosse” guidate da Nuvolari e gestite da Ferrari avevano infatti dominato le corse fin dagli anni ’20, per poi stravincere i primi campionati del Mondo di Formula1 del Dopoguerra – a una dimensione più accessibile, prima con la serie delle 1900 e poi con le Giulietta, conservando comunque le proverbiali doti velocistiche. I grandi volumi di vendita che si prospettavano per la Giulietta avevano quindi indotto l’Alfa Romeo ad affidarsi, per lo stile e la costruzione delle carrozzerie delle versioni più sportive, alla collaborazione con Bertone per la Sprint, e a Pininfarina per la Spider.
La Sprint divenne subito protagonista dei terreni di gara nelle mani dei piloti ufficiali e della clientela sportiva, seguita in breve tempo dalla Sprint Veloce che, alleggerita e potenziata, lasciò ben poco spazio alle rivali. E qui entrò in scena la causalità: alla Mille Miglia del ’56, i fratelli Leto di Priolo, famosi gentlemen driver, alla guida di una nuovissima Giulietta Sprint Veloce, al termine della discesa di Radicofani, in Val d’Orcia, finirono nel greto di un torrente, si dice per colpa di un commissario di gara che, durante un nubifragio, anziché segnalare la viscida pozzanghera nella quale i Leto di Priolo persero il controllo dell’auto, era andato a ripararsi sotto una tettoia. La Giulietta era distrutta e la carrozzeria irrecuperabile.
Nacque così la Sprint Veloce Zagato, la SVZ, un’auto ispirata dalla ricerca della semplicità assoluta, dall’assenza del superfluo, e disegnata dalla sua stessa funzionalità. La leggerezza, notoriamente la cifra di Zagato, era l’obiettivo principale: la SVZ, costruita in lamierino di alluminio su una gabbia di profilati d’acciaio, pesava oltre 100 chili meno della SV di serie, era di gran lunga più bassa, fluida e profilata ed era veloce come una fucilata: quasi 200 km all’ora con un motore di soli 1300 cc.
All’esordio a Monza nel ‘56 la SVZ dei Leto di Priolo vinse, dominando, la classe 1300, davanti ad uno stuolo di ben 19 Giulietta Sprint Veloce di serie e trasformando la berlinetta Zagato nell’oggetto del desiderio dei piloti e degli appassionati. L’Alfa Romeo dovette prenderne atto, e ciò dopo un primo ed infruttuoso tentativo di affidare a Bertone lo studio di una nuova sportiva, la Giulietta Sprint Speciale, che tuttavia, nonostante la superba ed avveniristica linea, si rivelò troppo pesante e poco maneggevole per l’impiego agonistico. La clientela sportiva continuava infatti a richiedere la Giulietta in versione Zagato, costringendo quest’ultimo, in assenza di accordi ufficiali, ad acquistare le vetture finite e complete, per poi privarle della carrozzeria e plasmare le SVZ, “fuoriserie” nel vero senso della parola, poiché costruite una ad una su misura e quindi tutte più o meno diverse l’una dall’altra.
All’Alfa non restava quindi che incaricare direttamente Zagato per dare un seguito ufficiale alla sua creazione, utilizzando allo scopo proprio il pianale nudo della SS di Bertone, sul quale Zagato approntò una linea simile a quella della SVZ, ma ancora più compatta e raccolta, sinuosa e arrotondata, di foggia ovoidale e quasi priva di sbalzi anteriori e posteriori, tanto da essere definita, all’interno della stessa Zagato, la “saponetta”. Era inoltre caratterizzata da una scalfatura orizzontale lungo tutta la fiancata e da accresciute doti di agilità e maneggevolezza.
Pur restando comunque un’auto artigianale, con la carrozzeria costruita e battuta interamente a mano, vinse ovunque, gare in salita, corse su strada o in pista, mietendo successi in tutta Europa; valga per tutte la definizione che ne diede il grande pilota, nonché ex possessore, Arturo Merzario, che la riteneva “un’auto nata perfetta”. Ma tutto ciò ai fratelli Zagato ancora non bastava, avendone individuato qualche limite nelle gare su piste veloci, specie nei lunghi rettilinei, nei punti cioè dove era privilegiata la velocità pura. Forse l’eccessiva compattezza, che costituiva un grande vantaggio nei percorsi tortuosi, poteva esserne la causa. Sviluppando alcune teorie aerodinamiche preesistenti, con la collaborazione del tecnico Spada ed il supporto di contributi scientifici ed accademici, i fratelli Zagato notarono che allungando la carrozzeria, previamente abbassata di alcuni centimetri, e tagliando di netto la coda, si poteva migliorare la deportanza, ottenendo maggiore aderenza e favorendo l’uscita dell’aria.
Fedeli alla loro dimensione artigianale e quindi con una serie di interminabili prove compiute in autostrada, cronometrate manualmente, ottennero risultati strabilianti: oltre 220 km all’ora, cosa fino all’ora del tutto impensabile per una piccola 1300.
La SZ coda tronca non solo vinse anch’essa a Monza il giorno dell’esordio, come la sua progenitrice, ma ebbe l’ulteriore merito di ispirare l’auto di serie più famosa e forse più importante di tutta la storia dell’Alfa Romeo, la Giulia, presentata alcuni mesi dopo e dotata di una analoga e rivoluzionaria coda tronca del tutto inusuale, specie per una comune berlina, ma assolutamente efficace. Come forse è destino delle Giulietta Zagato, anche la SZ delle prove in autostrada sembra essere recentemente riemersa dopo decenni di oblio, in un garage di Philadelphia, per opera di un noto collezionista.
È innegabile che ritrovamenti di auto di questo livello costituiscano notizie bomba, tali da far sobbalzare il mondo degli appassionati. Nel caso della SZ di Torino ciò è stato senza dubbio amplificato sia dalla particolarità del luogo in cui la Giulietta era stata nascosta, praticamente un caveau, come a sottolinearne la preziosità e con tutti gli annessi risvolti di fascino e di mistero, sia dalle condizioni eccezionali nelle quali si trovava la vettura. La carrozzeria in alluminio era pressoché perfetta nel suo inconsueto azzurro metallizzato, aveva documenti originali dell’epoca e interni in vipla perfettamente conservati, oltre addirittura agli adesivi che indicavano il rodaggio, apposti sui vetri, da nuova, dal concessionario. Lo stesso recupero è stato senza dubbio scenografico.
Un albero era infatti cresciuto vicino alla piattaforma, in posizione tale da impedirne l’accesso ai mezzi meccanici. Oltre a ciò, il montacarichi che originariamente permetteva l’uscita dell’auto era rotto ed inservibile da anni. Le foto con la gru che, abbattuto l’albero, riportava alla luce la vettura, avrebbero fatto in un attimo il giro del mondo, accrescendo l’interesse e l’attesa per l’asta che avrebbe permesso a qualche fortunato di accaparrarsi questa regina del passato. Partendo da una base di soli 14mila euro, come indicata da una perizia giudiziaria non certo stilata da addetti ai lavori, in solo un quarto d’ora è stato abbondantemente superato il mezzo milione di euro.
Il clamore internazionale è stato poi ulteriormente aumentato dall’immediata esibizione dell’auto alla manifestazione Automotoretrò di Torino, già il giorno successivo all’asta, seguita subito dopo dalla presentazione a Retromobile di Parigi, una delle più rinomate mostre d’Europa. L’aggiudicatario, un noto salone della bergamasca, ha quindi raccolto i frutti del colpaccio rivendendo, all’inizio del 2020, la Giulietta ad un collezionista tedesco per una cifra, si dice, intorno ai 680mila euro. Se è vero che circostanze particolari come quelle del rinvenimento della SZ, ed il conseguente impatto emotivo determinato dall’atmosfera che lo avvolgeva, influenzano in genere in maniera significativa le quotazioni, nel caso specifico si trattava comunque di un’auto ambitissima ed estremamente rara, costruita fra tutte le versioni in poco più di 200 esemplari, un’auto che in buone condizioni è difficile immaginare possa essere trattata a cifre inferiori ai 400mila euro.
La fama ed il prestigio internazionale del marchio Alfa Romeo, come spesso sottolineato in tempi recenti anche dallo stesso Sergio Marchionne, sono infatti rimaste immutate nel tempo, come si può costantemente verificare in occasione delle aste. Del resto, fin dalle cronache degli anni ’20, il nome Alfa Romeo era considerato sinonimo di “perfezione, eleganza e velocità“, al punto da indurre Henry Ford in persona, il fondatore dell’omonima casa automobilistica nonché ideatore della produzione industriale in serie, a pronunciare le famose parole: ”ogni volta che vedo passare un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello”.